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In orbita niente mal di schiena, ma rischio osteoporosi. Paolo Nespoli racconta il ‘suo’ Spazio

ROMA - La prima sensazione è quella che

Pubblicato:24-04-2015 06:47
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 20:17

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Nespoli_Scarpellini ROMA – La prima sensazione è quella che ti manchi il terreno sotto i piedi. Poi  capisci che non ti puoi muovere, non servono le gambe se non per spingersi: al contrario diventano determinanti le mani per appigliarsi, spingersi, fermarsi. Per dormire bisogna legarsi (non importa se al pavimento, sulla parete o al soffitto), la testa ondeggia liberamente e va fermata con una specie di cuffia-cuscino che immobilizza il collo.

È la descrizione dei primi meccanismi di adattamento all’assenza di gravità nel racconto di Paolo Nespoli, l’astronauta milanese che ha partecipato al congresso Magenta Osteoarea 2015.

“Molto più pesante è il ritorno a casa dopo mesi senza gravità”, ha raccontato Nespoli. “Al rientro è impressionante il peso che schiaccia il corpo, comprime la testa e schiaccia la colonna vertebrale”.


L’assenza di gravità e l’allentamento di tensione di muscoli e legamenti comporta una distensione della colonna vertebrale, che perde le sue fisiologiche curvature (destinate a meglio assorbire il carico del peso) e diventa rettilinea. “Mi ero allungato di sei-sette centimetri – spiega  Nespoli – proprio per l’allungamento della colonna. La contropartita è al rientro: molti astronauti soffrono di forti mal di schiena per il ritorno della colonna vertebrale al solito carico compressivo”.

“In orbita non si soffrirebbe mai di mal di schiena e di ernie al disco”, spiega Magda Scarpellini (nella foto con Nespoli), responsabile della divisione di reumatologia dell’ospedale Fornaroli di Magenta e presidente del congresso Magenta Osteoarea. “Al contrario – precisa però Scarpellini – è molto più alto il rischio di osteoporosi, favorita dall’assenza di movimento sotto carico, come si verifica nelle persone sedentarie o allettate e anche negli astronauti. Per questo motivo è molto importante l’esercizio fisico e l’integrazione di vit. D.

Studi condotti in orbita hanno indicato che lo scheletro perde circa l’uno per cento di massa ossea al mese, anche in presenza di esercizi fisici regolari che gli astronauti devono eseguire quotidianamente. “Si tratta di una velocità di rarefazione ossea – precisa Scarpellini – molto superiore anche a quella che si osserva nelle persone invalide allettate”.

Arriva l’evidenza di quanto sia importante il movimento fisico, adeguato alle proprie capacità e all’età, per prevenire l’osteoporosi. Nella routine spaziale due ore di esercizio fisico al giorno: un’ora di allenamento cardiovascolare su apposite cyclette o tapis-roulant, anche per evitare l’atrofia del cuore che va ‘a riposo’ in microgravità, e un’ora di esercizio di resistenza su una piattaforma costruita dagli ingegneri della NASA, dove fare piegamenti. “In orbita la capacità muscolare è ridotta del 30 per cento”, spiega Nespoli. “A fine missione siamo addirittura più allenati e in forma”.

Nello spazio è, inoltre, impossibile esporsi alla luce solare, così come fanno i terrestri, per stimolare la produzione di vitamina D. Per questo ogni pasto degli astronauti ne prevede una supplementazione con 400 UI (unità internazionali).

Magda Scarpellini ha presentato durante il convegno Magenta Osteoarea un trattato del tutto inedito sull’artrosi (Osteoartrosi: dal danno tissutale alla condroprotezione, Sinapsis editore) nel quale vengono discusse criticamente le reali possibilità di inibire la degenerazione tipica dell’artrosi.

Paolo Nespoli è uno dei sette astronauti italiani che hanno affrontato lo Spazio. Nespoli ha compiuto due missioni, la STS 120 (programma Space Shuttle, 16 giorni, ottobre-novembre 2007) e Sojuz TMA-20 (circa sei mesi).

In totale gli astronauti, dal primo volo del russo Jurij Alekseevič Gagarin nel 1961, sono a oggi 546 di 40 diversi paesi.

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