Cosa significa Incel e cos’è la Manosfera: perchè tutti parlano della serie ‘Adolescence’

Un ragazzino di 13 anni che commette un terribile delitto. Dei genitori che non riescono a spiegarselo. E un linguaggio in codice, sui social, di cui nessuno forse è ancora (abbastanza) informato: ecco perchè di 'Adolescence' stanno parlando tutti

Pubblicato:24-03-2025 14:43
Ultimo aggiornamento:25-03-2025 16:01

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BOLOGNA – Un mese fa parlavano tutti di Lucio Corsi, ora l’Italia non fa altro che parlare di ‘Adolescence‘, la nuova miniserie Netflix che è diventato un vero ‘caso’ televisivo e non solo. La serie inglese, ideata da Stephen Graham e Jack Thorne e diretta da Philip Barantini, racconta la vicenda di Jamie, un ragazzino di 13 anni dalla faccia pulita, che viene arrestato per aver ucciso a coltellate una ragazza che frequenta la sua stessa scuola. Un omicidio efferato che lui ha effettivamente commesso. Ma di cui nessuno capisce il perchè. La serie, girata con la tecnica particolarissima del piano sequenza unico (le quattro puntate sono riprese tutte d’un fiato senza stacchi o piani visivi diversi), racconta proprio lo choc che questa vicenda provoca sulla famiglia, assolutamente impreparata a una verità del genere (e chi lo sarebbe?), che suo malgrado si trova a scoprire un mondo di cui non sapeva nulla. Un mondo di fatto di social e complessi esistenziali, di parole dette dietro, etichette, bullismo, odio, linguaggio in codice, senso di esclusione e rabbia, che è quello in cui vivono immersi il 13enne e i suoi amici. Un mondo dove una banale ‘faccina’, una emoticon messa a commento di una foto su Instagram, può significare un’offesa mortale, un affronto, o peggio ancora una sentenza di condanna. Come salvarsi da tutto ciò? Come salvare i nostri adolescenti? E soprattutto: li conosciamo davvero i nostri adolescenti? “Stava nella sua cameretta, era al sicuro no?”, chiede disperato alla moglie nell’ultima puntata della serie il padre di Jamie, interpretato da un bravissimo (per l’ennesima volta) Stephen Graham. E il punto è proprio questo: l’assenza di dialogo tra genitori e figli, la non sintonia, la distanza tra sentimenti reali dei ragazzi e quello che viene percepito all’esterno. Una dura realtà che consegna più di ogni cosa un input in chi guarda la serie: passiamo più tempo con i nostri figli, non chiediamogli come è andata a scuola ma come sta, proviamo a trovare il modo di parlare con loro.

IL VASO DI PANDORA E IL SUCCESSO DELLA SERIE

Mentre la serie si inoltra nell’ambiente scolastico e nei rapporti tra i ragazzini, reali e virtuali, alla ricerca delle motivazioni per questo assurdo delitto, scoperchia di fatto un vaso di Pandora su uno spaccato generazionale oscuro, difficile da capire e cogliere se non ci si è dentro. E solo gli adolescenti lo sono. Uno spaccato che colpisce e lascia allibiti (molti critici hanno scritto che la serie “toglie il fiato” ed è come “un pugno nello stomaco“) nella sua gravità, pesantezza. E sproporzione, anche. Ed è proprio per questo che la serie sta riscontrando un successo stratosferico, in Inghilterra dove è stata girata ma anche in tutto il mondo. Perchè l’immedesimazione per chi è genitore (e sono tanti, tantissimi quelli che la stanno guardando e si passano parola) è immediata, ma l’interrogativo su un substrato sociale di questo tipo, che guida o meglio ‘inquina’ la testa dei teenager di oggi, attanaglia anche chi genitore non lo è. Perchè se l’effetto dei social sui ragazzi e ragazzini è questo, dove andremo a finire? Se gli adolescenti sono prigionieri di idee tossiche, complessi esistenziali e vissuti virtuali così distanti dal mondo reale, come si può rimediare? Adolescence parla di bullismo, sessismo, genitorialità e dei rischi che si corrono oggi nel periodo dell’adolescenza, cercando forse di mettere in guardia i genitori e tutta la società su una realtà e su fenomeni che ancora si conoscono troppo poco. E racconta la dimensione di giovani arrabbiati, cupi, insofferenti e irrispettosi dell’autorità (basta guardare ai rapporti disgregati e al limite dell’assurdo che si vedono nelle scene girate all’interno della scuola) che non vengono capiti dal di fuori. E che finiscono per gestire tra loro, malamente, emozioni e frustrazioni che avrebbero bisogno di ben altre cure.

LE EMOTICON (E IL LORO VERO SIGNIFICATO)

Tra le tante ‘verità’ spiattellate da Adolescence, c’è il significato ‘vero’ delle ‘faccine’, quelle che in tanti usano nelle chat e sui social. Perchè non tutti sanno che una emoticon, per un ragazzino di 15 anni, può avere un significato che va ben oltre la faccina di per sè. A spiegare queste cose nella serie è Adam, il ragazzino figlio dell’ispettore a cui è affidata l’indagine su Jamie: ha un anno più di lui, 14 anni, e frequenta anche lui lo stesso istituto dove andavano l’assassino e la vittima. Dopo aver visto il padre brancolare nel buio per trovare una ragione a questo assurdo delitto, il ragazzino lo prende da parte e gli spiega alcune cose. “Lo hai visto Instagram”?. “Sì, l’ho visto”, risponde il padre. Ma non lo ha saputo leggere e capire fino in fondo. I cuoricini messi sui social? Hanno un significato diverso a seconda dei colori. Rosso significa una amore, giallo interesse, rosa interesse senza sesso, viola eccitazione e altro ancora. E poi le emoji: “100”, “dinamite” e “pillola rossa”, che sono tutti simboli della cosiddetta cultura Incel. Dove ‘incel’ sta per ”involuntary celibate‘, vergini non per scelta ma perchè non voluti da nessuno, scartati. Tanti, prima di aver visto questa seria, non ne sapevano niente. Meglio informarsi.

LA SOTTOCULTURA INCEL E LA TEORIA DELL’80/20

La dinamite sarebbe proprio un simbolo della cultura Incel. E il numero 100 è un riferimento alla teoria 80/20 per cui l’80% delle donne è attratto solo dal 20% degli uomini, quindi alcuni verrebbero proprio scartati a prescindere, condannati a restare vergini perchè considerati ‘brutti‘ (e Jamie in carcere spiega alla psicologa di pensare di esserlo, gridandogli poi drammaticamente in faccia più volte “Non mi trovi bello neanche un po’?”) o per colpa della selettività delle donne che ‘scartano’ gli uomini e li discriminano. E questo concetto alimenta la subcultura Incel, intrisa di misoginia e odio verso le donne, che si ritrova in molti forum e community online maschili. Anche la pillola rossa è legata a questo, perchè la pillola rossa permette di vedere la verità della filosofia ‘Redpill’, secondo cui la selezione sessuale avvantaggia le donne che scartano la maggior parte degli uomini. Sono proprio queste emoticon, che la vittima aveva messo nei commenti ad alcuni post di Jamie sui social, a scatenare la rabbia e frustrazione che hanno portato il 13enne a ucciderla. Lui gli aveva chiesto di uscire. Lei gli ha risposto “Non sono così disperata”. E poi, sui social, gli ha dato lo ‘stigma’ dell’incel con tutte quelle faccine che altri hanno potuto vedere. Un’etichetta pubblica, quella di ‘vergine a vita’, con cui la ragazzina lo aveva messo alla gogna davanti a tutti. Lo si scopre nella terza puntata, quella del drammatico confronto con la psicologa. Jamie non appare pentito. Nè consapevole della gravità di ciò che ha commesso. Continua a ripetere che non è stato lui (ma non è possibile credergli). E dice alla psicologa che la vittima era “una bulla di merda“. “Lo pensi anche tu no?”, dice alla dottoressa.

LA MANOSFERA

Nella serie Adolescence si parla anche di “manosfera“, che è appunto l’ambiente dove prende piede la cultura Incel: forum e comunità online che promuovono la misoginia, l’antifemminismo, il sessismo e la supremazia maschile. Una rete che incoraggia all’odio e al risentimento verso le donne, promuovendo maschilismo e machismo. Idee tossiche che prendono piede nella mente dei giovani, a volte troppo giovani. Gli incel, a sentire gli psichiatri, cominciano a sentirsi tali (e a sviluppare rabbia) alla fine dell’adolescenza, verso i 18-20 anni. Prima è difficile. Ma questa serie choc racconta i concetti che serpeggiano (o possono serpeggiare) tra gli adolescenti fin da prima, da un’età giovanissima, nella quale i ragazzini fanno anche fatica a distinguere il peso delle cose (reali e virtuali). E dove un mix di cyberbullismo e insicurezza può spingere anche a commettere un crimine gravissimo che rovinerà loro la vita per sempre.

LA TRAMA DI ADOLESCENCE

La serie non si basa sua una storia vera ma verosimile. Il 13enne Jamie Miller, bravo a scuola, faccia pulita e assolutamente insospettabile, una mattina viene arrestato per l’omicidio di Katie, una sua coetanea. La Polizia fa irruzione in casa sua, con mitra e modi duri (un po’ eccessivo, forse) e sconvolge per sempre a vita del ragazzino e di tutta la famiglia. La serie mostra l’arresto, l’arrivo alla stazione di polizia, la cella, la perquisizione, il cambio di vestiti, il colloquio con padre e avvocato e poi l’interrogatorio. Dove al giovane vengono mostrate le immagini del delitto riprese dalle telecamere. Fine dei giochi, è colpevole. Ma il coltello non si trova. Vengono interrogati i suoi due migliori amici. E poi, nelle successive due puntate, si passa a 7 mesi e poi a un anno più tardi, col giovane Jamie in cella da ormai molto tempo e il processo alle porte. Qui si vedono i colloqui con la psicologa in carcere, davanti a cui emerge che Jamie era vittima di bullismo a scuola (dove è considerato “uno sfigato” e riceve sputi) e che la vittima era stata svergognata davanti all’intera scuola da un ragazzo che aveva fatto girare la foto di lei a seno nudo. Nel corso del colloquio con la psicologa, la scena decisamente più ad alta emozione della serie, dopo aver accusato più volte la dottoressa di cercare di “metterlo in trappola”, a un certo punto Jamie perde completamente le staffe ed esplode in una crisi aggressiva impressionante (dando una prova di recitazione sorprendente per il protagonista, Owen Cooper, incredibilmente alla prima esperienza da attore). La quarta puntata, l’ultima, è incentrata sui genitori dilaniati dai sensi di colpa e sfiniti nell’interrogarsi sull’educazione (sbagliata?) che hanno dato al ragazzino e sul non aver saputo vedere, o capire. Il finale della serie è aperto e toccante, anche se lascia aperti molti interrogativi sul destino di Jamie e della sua famiglia. ll 13enne decide di dichiararsi colpevole al processo, lo dice in una telefonata al padre. Non è dato sapere il suo destino. Il padre, disperato, nella scena finale entra nella cameretta di Jamie e rimbocca le coperte al suo peluche. Scoppiando a piangere e dicendo: “Mi dispiace, avrei voluto fare di meglio”.

LA REGIA E GLI ATTORI

La serie ‘Adolescence’ ha una regia straordinaria (che ha fatto ricorso in più occasioni a droni) di cui si sta parlando quanto della serie perchè ha colpito molto i telespettatori. Le quattro puntate procedono lente, molto lente, ed è forse l’unica critica che in questi giorni si sta sentendo in giro. Se amate i film d’azione e velocissimi, forse questo prodotto non fa per voi. Ma quella che contraddistingue le sequenze è una lentezza, una flemma quasi, che è probabilmente necessaria a metabolizzare ciò che accade e ciò che viene detto. Gli attori, che dire, sono bravissimi, tutti quanti, a maggior ragione pensando alla regina del piano di sequenza unica, che non permette errori. Piccola curiosità: nel terzo episodio Jamie a un certo punto sbadiglia, mentre parla con la psicologa. “Ti sto annoiando?”, chiede lei. Il ragazzino sorride e risponde subito “No”. È un sorriso molto spontaneo, più vero di altri. Il cast ha spiegato che si è trattato di un’improvvisazione, non era nel copione. A Owen Cooper è scappato uno sbadiglio e la bravissima Erin Doherty ha preso in mano la situazione magistralmente.

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