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Luca Di Bartolomei: “Ago mi chiese di andare con lui a Salerno prima di uccidersi, solo ora riesco a chiamarlo papà”

Il figlio della storica bandiera della Roma suicidatosi il 30 maggio 1994 racconta le ore che precedono la morte di suo padre

Pubblicato:24-03-2023 12:42
Ultimo aggiornamento:30-03-2023 21:02
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ROMA – “Il 30 maggio è papà che scende dalla stanza dove dormiva con mamma e infila qualche moneta nella tasca dei miei pantaloni appesi alla ringhiera della scala; io lo vedo perché ero già sveglio, e quando entra in camera per salutarmi mi chiede se voglio andare con lui a Salerno. Io rispondo di no perché avevo una prova di latino a cui non volevo rinunciare. Poi mi vesto, preparo lo zaino, papà s’era seduto in terrazza al sole che batteva già alto, gli do un bacio. Vado a scuola. Dopo circa un’ora, con molto tatto, mi hanno avvisato di quello che era accaduto e sono tornato casa. Ago era già nella bara di zinco”. E’ il ricordo di Luca Di Bartolomei, figlio di Agostino, storico capitano della Roma campione d’Italia nel 1983, morto suicida con un colpo di pistola il 30 maggio 1994.

“LA SUA MORTE HA ERETTO UN MURO TRA DI NOI”

In una intervista al Corriere della Sera, per la prima pronuncia quella parola: papà. “Fino ad ora l’incapacità di capire come vivere questa vicenda ha provocato una rabbia che ha eretto una specie di muro tra me e lui – spiega Luca – . Molto. E alla fine dei conti, più che perdonare lui sarebbe bastato non colpevolizzare me stesso”. Sensi di colpa che spiega così: “Lui si è ucciso nonostante avesse me, oltre mia madre e mio fratello, e dunque pensai che dovessi avere anch’io una parte di responsabilità. Il suo gesto ha generato in me quel sentimento con il quale a un certo punto ho dovuto fare i conti, ma ha pure trasformato Agostino in un piccolo fenomeno collettivo per tante persone della sua generazione”.

“ARMI UNA RISPOSTA RIGIDA ALLE INSICUREZZE: MEGLIO QUELLE FLESSIBILI, MEGLIO LA VITA”

Un passaggio sul porto d’armi, su cui Luca ha le idee chiare tanto da trasformarla in una battaglia che porta avanti da anni: “Il possesso di un’arma aiuta a allontanare le insicurezze e le fragilità, che invece sono come le cuciture degli aerei: li rendono più forti perché più elastici. Le armi sono una risposta rigida: sì o no, sparo o non sparo, uccido o lascio vivere. Meglio le risposte flessibili. E meglio vivere, in ogni caso”.


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