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Pace, Hamdi (Iraq Forum): “Con le vittime di ogni guerra, da Kiev al Kurdistan”

Intervista a Batool Kreem Hamdi, co-segretaria dell'Iraqi Social Forum, un'organizzazione che da 11 anni mette insieme realtà non governative

Pubblicato:24-03-2022 19:19
Ultimo aggiornamento:24-03-2022 19:19
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ROMA – La società civile irachena si mobilita contro la guerra, la “maggiore e più clamorosa delle violazioni dei diritti umani”. Lo fa a partire da quella “poco nota a molti degli stessi cittadini dell’Iraq” che nel Kurdistan prende la forma di raid turchi e iraniani oltre confine, ma anche rispetto all’Ucraina, con una consapevolezza “ben lontana dalle polemiche misere” che vorrebbero profughi di “serie A” e di “serie B” e sofferenze a confronto. Con l’agenzia Dire ne parla Batool Kreem Hamdi, co-segretaria dell’Iraqi Social Forum, un’organizzazione che da 11 anni mette insieme realtà non governative.

L’attivista, 23 anni, nativa di Baghdad, fa il punto sulla situazione nel Paese mediorientale in collegamento da Palermo, arricchita da due recenti impegni che hanno coinvolto la società civile irachena. L’intervista si svolge infatti dopo la Conferenza della Iraqi Civil Society Solidarity Initiative (Icssi) che si è tenuta fra l’11 e il 16 marzo a Sulaymaniyah, città della Regione del Kurdistan, e dopo la firma della Convenzione dei diritti nel Mediterraneo, che domenica scorsa ha messo insieme nel capoluogo siciliano le esperienze della società civile di 20 Paesi della regione del Mare Nostrum.

“I due eventi sono legati, lo sfondo delle lotte è condiviso e sul tavolo ci sono tante questioni simili, dalla costruzione della pace fino alla tutela dell’ambiente”, scandisce Hamdi. “L’obiettivo è rafforzare la solidarietà fra i vari gruppi di attivisti”.


Il Mediterraneo inteso come spazio di confronto continuo, anche a partire da alcuni obiettivi molto concreti. “Venendo qui una delle questioni che è emersa è che diversi Paesi vendono armi alla Turchia, che poi vengono utilizzate anche contro i curdi nel nord dell’Iraq“, dice l’attivista, in riferimento a una questione che riguarda anche l’Italia: solo nei primi sei mesi del 2020, stando ai dati della Rete pace e disarmo, Roma aveva consegnato ad Ankara 60 milioni di euro di munizioni, un record dal 1991. “Cerchiamo di creare un fronte comune di pressione sui governi affinchè smettano di produrre e distribuire queste armi”, avverte Hamdi.

Il tema degli attacchi in Kurdistan torna più volte nelle sue parole. Il 13 marzo, nel pieno dei lavori della conferenza della Icssi, dei missili iraniani hanno colpito tre città del Kurdistan, compreso un presunto “centro strategico” israeliano situato nei pressi del consolato degli Stati Uniti nel capoluogo Erbil. “L’attacco ha riguardato anche Sulaymaniyah, dove ci trovavamo noi”, riferisce l’attivista. “Le persone che vivono nella zona ci hanno detto che questo tipo di aggressioni si verificano costantemente. Io stessa che sono irachena, non ne sapevo molto, la narrazione generale ci dice che va tutto bene ma quando si arriva qui ci si accorge che la situazione è molto diversa”.

Gli attacchi sono per lo più opera dell’Iran e della Turchia. Ankara colpisce spesso oltre la frontiera meridionale col Kurdistan iracheno. compiendo raid che avrebbero per obiettivo esponenti del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), considerato un’organizzazione terroristica da Ankara. L’attivista rende noto che “l’Iraqi Social Forum, il Kurdistan Social Forum e la Community Peacemaker Team (Cpt) stanno portando avanti una campagna per far si che le vittime di questi attacchi siano ascoltati in parlamento e che possano essere anche inclusi da una legge dello Stato per le compensazioni per le vittime di guerra”. Il tema, sottolinea Hamdi, è “sottovalutato completamente dall’esecutivo di Baghdad, che non fa nulla, ma anche dalle autorità del governo autonomo del Kurdistan, che allo stesso modo non intervengono o addirittura impediscono a chi ha subito questi attacchi di presentare cause presso la giustizia locale”.

La prospettiva, spiega Hamdi, è sempre quella di monitorare l’operato delle autorità irachene, anche a fronte della delusione maturata dopo le rivolte contro corruzione, settarismo e violenza delle forze di sicurezza che hanno attraversato il Paese a partire dal 2019. “Avevamo chiesto una legge elettorale ma questa è stata manipolata, e ora ci ritroviamo in Parlamento le stesse facce di sempre“, dice l’attivista in merito alle elezioni legislative dello scorso ottobre, che hanno visto la riconferma come maggioranza del blocco guidato dal clerico sciita Muqtada al-Sadr.

Molti movimenti cresciuti durante la mobilitazione si sono visti sbarrare la porta quando hanno cercato di entrare nell’emiciclo. In più tanti partiti in campagna elettorale hanno sfruttato le istanze dei giovani, a partire dal problema della disoccupazione, ma ora che sono al governo non stanno facendo più nulla a riguardo”, aggiunge la dirigente del Social Forum.

Fra denunce e proposte Hamdi traccia un bilancio delle ultime settimane, chiarendo un punto: “E’ centrale che la società civile irachena comprenda il potenziale e le ricadute politiche, e anche economiche, delle sue lotte e non le neghi, come succede fra alcune realtà, che si allontanta dalla politica in cerca di sicurezze”.

Consapevolezze da sviluppare, quindi, anche in un contesto internazionale complesso e dove è facile essere strumentalizzati. “Con la guerra in Ucraina molti hanno osservato che lo stesso interesse e la stessa accoglienza riservata al conflitto in Europa e ai profughi che sta causando non è stata concessa ai cittadini del Medio Oriente, a partire dall’Iraq” riferisce Hamdi. “La società civile irachena è più grande di queste beghe però e ha chiarito subito che la cosa importante ora è il sostegno al popolo ucraino, vittima di una guerra, la più forte delle violazioni dei diritti umani, che è illeggittima”.

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