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Ucraina, nella chiesa di Firenze il pianto delle badanti: “Là ho i miei figli”

"Non ci resta che pregare"; e sui cellulari c'è la guerra in diretta

Pubblicato:24-02-2022 18:57
Ultimo aggiornamento:24-02-2022 18:58
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FIRENZE – Olga non smette di piangere. Si è seduta nella prima panca della chiesa dei Santi Simone e Giuda di Firenze, quella di via dei Lavatoi. In Ucraina “ci sono i miei figli e i miei nipoti”. Piange e trema nella parrocchia ucraina fondata in centro e dedicata a san Michele Arcangelo. Da Leopoli ha raggiunto l’Italia una ventina di anni fa. Qui fa la badante a un’anziana. Accanto a lei siede Anastasia, un’amica con la stessa storia: anche lei di Leopoli, badante e come Olga da tanti anni in Italia. “Siamo qui per pregare. C’è rimasto solo questo”.

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Il telefono e la preghiera. Quel cellulare unico filo diretto con i propri cari e allo stesso amplificatore di paure terribili. Da lì passano le immagini delle esplosioni, dei missili sganciati da Puntin e dall’esercito russo che le cronache raccontano già alle porte di Kiev. Lì vedono i raid degli elicotteri e leggono le notizie dei primi morti di un’invasione appena cominciata. Guardano e aspettano notizie. In un’attesa che logora e spezza.

“Ho un figlio e una figlia. Oggi li ho sentiti. Stanno bene ma vorrei venissero da me, solo che non possono lasciare la loro casa“, dice Olga tra le lacrime. “Vorrei solo la pace. Penso ai bambini, a chi non può fare niente”. Olga piange e Anastasia la consola. Anche lei ha in Ucraina figli e nipoti. “Ci ho parlato prima. Ma se verrà a mancare la luce non ci sarà più internet. Putin? Mente, non sta dicendo la verità“.

Passano i minuti, ci si avvicina alla messa delle 15 e le donne ucraine cominciano ad aumentare. Arrivano e alcune scrivono su un foglietto un pensiero per i loro figli e i loro cari (donando qualche euro): preghiere da affidare a don Volodymyr Voloshyn, il parroco. Che su Puntin ha un’idea netta: “E’ un uomo antico, dei tempi antichi, che non ha assolutamente visione del futuro. Per lui e chi gli sta intorno la nostra indipendenza è inaccettabile”.

Ma che intanto bombarda e spaventa il mondo: “Mentre venivo in chiesa ho ricevuto una telefonata dall’Ucraina: stanno attaccando Kiev, stanno bombardando la nostra capitale. E questo per noi è un po’ inaspettato. Da stamani, poi, i miei fedeli mi mandano video girati dai loro genitori. Viviamo qui questa guerra” ed è “nostro compito dare sostegno spirituale” per dar fiato una speranza che oggi sembra venire a mancare. Ma la storia di don Volodymyr Voloshyn e anche quella di sua sorella e della sua famiglia, intrappolate in quell’inferno. “Stanno come tutti, con la preoccupazione che cresce anche per l’incertezza della vita quotidiana. Adesso non si sa come andrà il lavoro: mia sorella lavora in fabbrica e non sa se dovrà fermarsi”.

Lo dice e intanto indossa i paramenti sacerdotali e si prepara al rito. Poco distante una signora è intenta a comporre uno dei pensieri da affidare al prete. “Non potete immaginare cosa sia stare lontano da casa in questo momento. Ho scritto per la mia famiglia e per quei ragazzi di 18-20 anni che si batteranno, che lasceranno la scuola per combattere Putin. Io due figli, di 39 e 37 anni”. Il più grande “ha combattuto contro i russi nel 2015. Li ho chiamati stamattina, gli ho detto di andare in Polonia: siamo vicini, abbiamo tanti parenti. Mi hanno detto che l’Ucraina è la loro terra e che non se ne andranno. Senza Ucraina per noi non c’è terra”.

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