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Covid, in Italia più bimbi contagiati dal virus: lo studio

Un articolo pubblicato su The British Medical Journal (TheBMJ), la rivista della British Medical Association, si focalizza sui casi di Italia e Israele

Pubblicato:24-02-2021 12:12
Ultimo aggiornamento:24-02-2021 12:43

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ROMA – Che rispetto alla prima e alla seconda ondata pandemica il Sars-CoV-2 avesse iniziato a diffondersi maggiormente tra i bambini, i pediatri italiani, nelle ultime settimane, ne avevano avuto sentore. “Soprattutto nel Centro Nord c’è un certo aumento di casi nei piccoli, cosa che prima era piuttosto rara”, spiega Paolo Becherucci, presidente Sicupp (Società italiana delle cure primarie pediatriche). Ora quel sentore è confermato anche da un articolo pubblicato su The British Medical Journal (TheBMJ), la rivista della British Medical Association. Nel testo dal titolo ‘Covid-19: More young children are being infected in Israel and Italy, emerging data suggest’ viene riportato il caso emblematico di Corzano, comune in provincia di Brescia, dove all’inizio di febbraio il 10% della popolazione locale (140 persone su 1.400) è risultato positivo al virus, e il 60% dei casi era rappresentato da bambini in età scolare o più piccoli. “Si ritiene che molti di questi- si legge nell’articolo- abbiano infettato altri membri della famiglia”.

Così in Israele, l’altro Paese preso in considerazione dall’articolo di TheBMJ, i pediatri hanno segnalato un forte aumento nelle infezioni da Covid-19 tra i giovani, registrando nel solo mese di gennaio 2021 oltre 50.000 bambini e adolescenti positivi. “Un numero più alto di quanto il Paese avesse visto in qualsiasi altro mese durante la prima e la seconda ondata pandemica”, si legge sempre nell’articolo. Non solo. The British Medical Journal riporta anche che da metà dicembre, da quando è emersa la variante inglese, in Israele la percentuale di nuovi casi giornalieri rappresentati da bambini di età inferiore ai 10 anni era aumentata di quasi un quarto (23%). Dunque sotto osservazione ci sono le varianti emergenti, anche se al momento non sembrano esserci prove che siano più trasmissibili tra i bambini. “I dati non riportano una chiara attribuzione di una maggiore incidenza della specifica variante inglese nella popolazione infantile- sottolinea Becherucci- il fatto che si registrino più casi tra i bambini potrebbe essere legato a un dato epidemiologico”.

In Israele, per esempio, “le vaccinazioni hanno coperto gran parte della popolazione anziana- continua Becherucci- i bambini attualmente non possono essere vaccinati e, diminuendo un po’ l’incidenza del virus negli adulti, può aumentare quella nei bambini“. La cosa certa è che “la variante inglese è più contagiosa, sembra che abbia addirittura un tasso di contagiosità maggiore del 50% rispetto al coronavirus originario- dice ancora il presidente Sicupp- quindi ovviamente si diffonde di più e probabilmente si diffonde nelle popolazioni che precedentemente non sono state colpite dal ceppo originario o che non sono vaccinate”. A riprova Becherucci cita anche lo studio React: un’indagine epidemiologica realizzata mensilmente in Gran Bretagna. “Questo studio- dice il pediatra- dimostra che in quel Paese c’è un aumento della prevalenza del virus nelle fasce d’età 5-12 anni e 18-24 anni, a fronte di una diminuzione totale in tutta la popolazione. Però dallo studio- precisa- non c’è una chiara attribuzione di una maggiore virulenza del virus nei confronti dei bambini, c’è solo una maggiore virulenza in generale della variante”.


In Italia al momento la variante inglese sembra essere limitata ad alcuni focolai in determinate regioni. “Il sequenziamento genetico, ossia la metodica che ci permette di capire che tipo di coronavirus ha infettato il soggetto, nel nostro Paese è solo all’inizio, non viene fatta a tappeto ma solo in situazioni particolari. Dunque- spiega il presidente Sicupp- i tamponi rilevano la presenza o meno del virus ma poi per sapere se si tratti di una variante bisogna fare un’indagine più approfondita. Nel momento in cui questo sequenziamento anche in Italia verrà fatto in maniera diffusa, allora potremo avere dei dati più precisi e capire se la variante incide maggiormente su alcune fasce d’età”. Di certo il pediatra ricorda che “non possiamo abbassare la guardia”. E sul tenere aperte o meno le scuole, tema di cui si discute sempre molto, Becherucci tiene a sottolineare “che è importante fare tutti gli sforzi possibili per non chiuderle, perché la scuola è fondamentale dal punto di vista sia pedagogico sia sociale. Piuttosto- afferma in conclusione- bisogna fare attenzione ad evitare gli assembramenti fuori dagli istituti“.

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