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BOLOGNA- “Noi ragazzi non siamo cattivi”. Come se ci fosse bisogno di dirlo, ad alta voce, perché spesso c’è chi, certi ragazzi, li dipinge così, cattivi. E, invece, basta aprire una porta, tenere accesso un microfono, tendere l’orecchio e aprire gli occhi per vedere altro. Lo dice Vincenzo Manganaro, preside dell’Istituto tecnico Belluzzi-Fioravanti, uno dei più affollati di Bologna, devastato dai vandalismi durante un’occupazione finita nel mirino del ministro dell’Istruzione, scosso dalla morte del sedicenne Fallou Sall, accoltellato a morte in una strada non lontana da un coetaneo.
“Questa drammatica esperienza mi ha permesso di vedere voi studenti sotto un’altra luce, siete stati attenti, partecipi, vicini alla famiglia”, riconosce Manganaro nel corso dell’incontro conclusivo del progetto promosso dalla Curia, ‘Giovani Protagonisti’, che ha visto impegnate 14 classi terze e 300 studenti. “Il progetto è partito dopo lo sfortunato tentativo di occupazione dello scorso anno. Lì abbiamo capito che il dialogo tra giovani e adulti non era positivo come pensavamo”, ammette Manganaro.
In effetti, le 14 ore di lavoro in classe con operatori ed educatori esterni alla scuola, sono servite soprattutto a questo, a trovare le parole per far capire agli adulti, agli insegnanti, che i ragazzi non si sentono compresi e ascoltati abbastanza. Lo hanno scritto anche in alcune lettere che hanno inviato al preside e i coordinatori delle classi che hanno partecipato all’iniziativa, con richieste grandi e piccole, come la condivisione di un’agenda per fare in modo che interrogazioni e verifiche non si sovrappongano o la proposta di coinvolgere i ragazzi nelle scelte su come spendere i soldi dell’istituto.”Spesso i diritti degli alunni con dsa con vengono rispettati. L’abbiamo scritto nella lettera, non credo che ci risponderanno“, riporta uno studente.
Non c’è solo la difficoltà a trovare un terreno comune di confronto con gli insegnati, c’è anche un senso di insicurezza che li pervade nell’affrontare la città, soprattutto certi luoghi. Del resto, nemmeno a scuola ci si sente del tutto sicuri. “Non si diventa protagonisti perché ci si impone, ma perché si impara a stare con gli altri. Non credo che ci abbiate detto tutto”, li stuzzica l’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, consapevole che resta ancora, per vergogna, paura di non essere capiti, di non detto dai ragazzi. “Prendere in giro da è da fessi, chi prende in giro sarà preso in giro“, scandisce Zuppi ottenendo in cambio un’ovazione.
Poi a incontro terminato, i selfie: a due a due, da soli, a gruppetti si avvicinano al cardinale per chiedere una foto insieme. “Molte delle cose che avete detto, che riguardano noi, io le so già. So che molti di noi hanno difficoltà a confrontarsi con voi. Ma avete anche tanti docenti che non fanno fatica ad ascoltarvi, imparate a scegliere le persone con le quali rapportarvi. Se avete l’impressione con non vi ascoltiamo, però, vi sbagliate. A volte non vi ascoltiamo come vorreste essere ascoltati. Cercheremo di fare meglio“, promette il preside.
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