“Fu stupro punitivo”: a Bologna risarcito il movimento che aiuta le sex worker trans

Il giudice riconosce il "movente transfobico" a una violenza 'estrema e inaudita' subita da una prostituta transessuale e ammette per la prima volta il Mit come parte civile

Pubblicato:24-01-2025 11:48
Ultimo aggiornamento:24-01-2025 11:48

stupro di una sex worker a bologna
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BOLOGNA – Il Movimento identità trans (Mit) è stato ammesso come parte civile in un processo terminato, in primo grado, con la condanna di un uomo arrestato la scorsa estate a Bologna per aver violentato e tentato di rapinare una sex worker transessuale: è la prima volta che accade e in questo modo il giudice si è espresso “riconoscendo il movente transfobico della gravissima violenza”, sottolinea la legale del Mit, Antonietta Cozza, che ha parlato del caso durante una commissione del Consiglio comunale e poi con la ‘Dire’.

LA CONDANNA

L’uomo è stato condannato lo scorso dicembre, con rito abbreviato, a sei anni e quattro mesi oltre che al pagamento delle spese legali e di un risarcimento a favore della vittima che per ora, solo come provvisionale, è stato quantificato in 15.000 euro. Altri 5.000 euro li ha ottenuti il Mit: “Proprio perché uno dei tanti scopi dell’associazione è tutelare le sex worker, avevamo chiesto un risarcimento da utilizzare per l’apertura di nuove case rifugio che ultimamente sono sempre più necessarie”, spiega Cozza.

“RICONOSCIUTA UNA VIOLENZA ESTREMA E INAUDITA”

Intanto per lo stupro, avvenuto nel parco della Montagnola, il Giudice dell’udienza preliminare ha riconosciuto l’imputato colpevole di una “una violenza estrema e inaudita“, sottolinea la legale: “Le violenze sessuali sono brutte di per sé ma, per l’accanimento e la volontà di cancellare la persona, questa è la violenza più pesante che ho visto in 18 anni che faccio l’avvocata”.
Nella sentenza, in particolare, “il giudice scrive che è chiaro che l’imputato si è adirato per via del fatto che la persona offesa era trans- riferisce Cozza- cosa che lui non si aspettava e per questo ha infierito su di lei, come dimostrano le parole di scherno ‘chiama la Polizia, prova a chiamare la Polizia’ dette dall’imputato mentre le agiva violenza”.
In sostanza, il giudice ha rilevato che “il movente non era quello della violenza sessuale: era un movente transfobico che la persona ha agito con le modalità della violenza sessuale”, aggiunge la legale del Mit.
Inoltre, “sono state riconosciute le aggravanti della minorata difesa e della crudeltà”, segnala Cozza, aggiungendo che “la pena è stata ulteriormente aumentata per la continuazione con la tentata rapina, aggravata dalla menomazione fisica della persona offesa, che aveva le stampelle e problemi di deambulazione, cosa che ha reso quindi più difficile la sua difesa”. Il giudice ha invece escluso l’aggravante delle sevizie a danno della donna, “perché non sono stati utilizzati particolari mezzi per fare del male- spiega l’avvocata- se non quelli che corrispondono ai violenti rapporti sessuali già per sé integranti il fatto di reato”. Il giudice, poi, ha anche “non ritenuto di riconoscere l’applicazione dell’attenuante generica dello stato di incensuratezza dell’imputato richiesta dalla difesa”, riferisce Cozza: “Nella sentenza, infatti, il giudice ha specificato che questo elemento è insufficiente, se si considerano le modalità della condotta e il contesto successivo alla consumazione del reato”.

In conclusione, l’uomo è stato condannato a sei anni e quattro mesi, nonostante lo sconto previsto per il rito abbreviato, quindi “a una pena incompatibile con la sostituzione con pene alternative- prosegue Cozza- e poi il giudice ha aggiunto che le modalità del fatto indicano che l’imputato appare socialmente pericoloso, ritenendo di conseguenza di dover applicare la misura di sicurezza dell’espulsione dal territorio italiano una volta espiata la pena”.

IL MIT: “NOI COME PARTE CIVILE, SPIRAGLIO IMPORTANTISSIMO”

Il riconoscimento del Movimento identità trans (Mit) come parte civile apre “uno spiraglio importantissimo” per rafforzare la tutela delle persone transessuali, vista la “carenza legislativa” che su questo fronte si registra in Italia. Roberta Parigiani, portavoce del Mit e avvocata, commenta così l’esito del processo di primo grado che a Bologna ha trattato la violenza subita da una sex worker trans nel parco della Montagnola.
L’uomo arrestato per quell’episodio, risalente alla scorsa estate, in primo grado è stato condannato a sei anni e quattro mesi. La sentenza dimostra che “più che una violenza sessuale è stato un vero e proprio atto punitivo- afferma Parigiani- condotto attraverso una violenza, una punizione corporale in funzione del fatto che persona era una donna trans. È stata violentata con una violenza, una foga e un’acredine tale da scavallare quella che è già la gravità insita nella violenza carnale per approdare a un’altra vicenda, cioè a un grave attacco diretto a una persona in quanto espressione di una comunità, è questa l’innovazione”.
Per questo alla legale del Mit, Antonietta Cozza, “va dato il merito di aver creduto nella costituzione di parte civile laddove in giurisprudenza non c’erano precedenti”, sottolinea Parigiani. Fatto sta che, da parte del giudice, “è stato accettato il Mit come ente espressivo della comunità trans tout court”, aggiunge la portavoce, segnalando che contestualmente “è stato anche riconosciuto il diritto a un risarcimento del Mit, che diventa persona offesa al pari di tutte le volte in cui viene leso il decoro e l’integrità fisica di una persona trans”.

“RICONOSCIMENTO IMPORTANTE A FRONTE DI NORME CARENTI E DELL’AUMENTO DI VIOLENZE TRANSFOBICHE”

Si tratta di “un’innovazione di straordinaria importanza, perché riconosce che anche gli enti esponenziali (che tutelano cioè interessi collettivi, ndr) come il Mit e i pochi altri che ci sono- continua la portavoce- si inseriscono in un ordinamento che questi fatti non li qualifica e non li riconosce, non fornendo una tutela diretta contro le sempre più diffuse azioni sempre di sopraffazione derivanti da motivi di odio transfobico o omolesbobitransfobico”.
Di fronte dunque alla “carenza legislativa” che c’è in Italia, “grazie a questa costituzione di parte civile e al pronunciamento del giudice- conclude Parigiani- si apre per noi uno spiraglio importantissimo che proprio oggi, vista la costante recrudescenza degli atti transfobici a livello internazionale e nel nostro Paese, è di vitale importanza”. Per l’avvocata Cozza, in particolare, “è da rilevare che è stata riconosciuta la costituzione di parte civile di un’associazione, il Mit, che persegue gli interessi delle persone trans, riconoscendo quindi il movente transfobico”. Un precedente importante, sottolinea Cozza, perché “le persone trans spesso hanno difficoltà a rivolgersi alle forze dell’ordine e raccontare quanto hanno vissuto”: l’auspicio è che questa sentenza, dunque, aiuti a “dare voce a chi finora ha sempre pensato di non averla”.

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