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VIDEO | Anteprima mondiale di “Teranga – Life In the Waiting Room”, da Napoli al The Guardian

Sabato 25 gennaio sarà proiettato all’ex Asilo Filangieri prima di approdare, da febbraio, sulla piattaforma on line del The Guardian

Pubblicato:24-01-2020 14:31
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 16:53

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NAPOLI – Esistono parole che, pur nella loro semplicità e unicità, esprimono concetti diversi: i loro significati spaziano e abbracciano modi di essere, di presentarsi e di approcciarsi al mondo. È questo il caso di ‘teranga’ che nella lingua wolof del Senegal vuol dire ospitalità, accoglienza, rispetto, cortesia, gioia e ancora solidarietà, condivisione, reciprocità. Ma Teranga è anche un luogo fisico che prende vita a migliaia di chilometri dall’Africa e precisamente nel cuore di Napoli.

È un piccolo locale che, nel centro storico della città, a piazza Bellini, ha fatto dell’accoglienza verso i migranti la sua parola d’ordine. È qui che si ritrovano la sera, per ascoltare musica e ballare, ragazzi di ogni dove. Si mescolano, si divertono e stanno insieme incarnando lo spirito di quella parola che ha origini geografiche tanto lontane.

Una storia di integrazione che tre giovani registe, Sophia Rose Seymour, Lou Marillier e Daisy Squires hanno deciso di raccontare in un documentario dal titolo “Teranga – Life In the Waiting Room”. E lo fanno seguendo la vita di Fata e Yankuba, due giovani gambiani, che hanno lasciato l’Africa per inseguire i propri sogni: per il primo lo sfavillante mondo della musica per il secondo lo studio e il raggiungimento della laurea in biochimica.


È un documentario – racconta alla Dire Seymour – che segue le tracce di due ragazzi, richiedenti asilo, che vivono a Napoli in attesa di ricevere il “documento”. Napoli è pensata, in questo caso, come una grande sala d’attesa, dove dentro ci si può rimanere anche per quattro o cinque anni ma, nel frattempo, questi ragazzi si creano una vita. È proprio nel locale di piazza Bellini, ascoltando le loro storie, che sono rimasta colpita di quanta gioia potessero trovare nella loro esistenza, di quanta resistenza e resilienza potessero esprimere nonostante tutte le difficoltà passate. È questo che abbiamo voluto raccontare nel documentario”.

I protagonisti non sono stati scelti a caso, spiega la regista britannica: “hanno mostrato una grande personalità davanti la telecamera ma, in realtà, sono come tutti i ragazzi che abbiamo conosciuto: intelligenti, con sogni, desideri con una spiccata resistenza alle difficoltà. Rappresentano tutti i ragazzi che si trovano a Napoli, e non solo”.

Anche Sophia Rose è, in qualche modo, una migrante. Dopo aver deciso di lasciare l’Inghilterra nel 2015 per vivere a Napoli grazie al suo lavoro di documentarista ha potuto toccare con mano come possa cambiare il concetto di accoglienza.

“Io – sottolinea – sono stata accolta come una napoletana e, pur essendo Napoli una città molto accogliente con tutti e in tutti i sensi, il “sistema” tratta questi ragazzi in maniera diversa da me. È questa la cosa che mi ha interessato di più e ha ispirato il documentario”.

Tra centri di accoglienza e piccoli lavori in nero, la vita di Fata e Yankuba ruota intorno alla ricerca e alla possibilità di ottenere dall’Italia un riconoscimento legale che possa aprire loro le porte di una vita normale, fatta di occupazione regolare e una casa.

Opportunità negate a chi vive a tempo indeterminato in una “sala d’aspetto” per volere della politica. Nel documentario c’è anche questo. C’è l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini con i suoi decreti sicurezza, c’è l’alimentare la paura dello straniero, c’è l’abbandono dei migranti ad una vita fatta di nulla se non di attesa. “Abbiamo voluto raccontare questa storia – ancora Seymour – proprio per togliere la paura di quello che non conosci. Dopo aver visto il nostro documentario, di appena 35 minuti, lo spettatore avrà consapevolezza della vita di queste persone raccontate molto dai mass media ma solo in una certa maniera. Nel nostro film li potrà vedere nella loro vita quotidiana e potrà conoscerli, magari come un amico, perché si ha la possibilità di vederli quando sono tristi, quando sono felici, quando hanno delle difficoltà. Il nostro film è questo. Napoli è una città molto speciale, un luogo che nel corso della sua storia ha sempre accolto e continua a farlo ma è la politica dall’alto che influisce su questo gran cuore che hanno i napoletani. Ma, in generale, resta una città accogliente e i ragazzi lo sanno e non è un caso che proprio qui trovi tutte queste comunità, srilankesi, ucraini, cinesi, africani, che vivono insieme. È questo quello che mi ha colpito”.

Teranga – Life In the Waiting Room sarà trasmesso domani, sabato 25 gennaio, in anteprima mondiale, all’ex Asilo Filangieri di Napoli prima di approdare, da febbraio, sulla piattaforma on line del The Guardian. Alla proiezione napoletana, con le autrici, Andrea Morniroli, cooperativa sociale Dedalus, la cantante e attrice tunisina M’Barka Ben Taleb, Omar Marong, attivista e rifugiato gambiano, e Pierre Vercosutre presidente dell’Associazione senegalese.

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