VIDEO | Del Re: “Il Sahel non è più lo stesso, è in cerca della sua identità”

La rappresentante speciale dell'Ue 2021-2024: "Assistiamo a una riconfigurazione della regione, a una ricerca profonda dell'identità e di nuovi orizzonti"

Pubblicato:23-12-2024 11:45
Ultimo aggiornamento:23-12-2024 17:34

Sahel
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ROMA – Il Sahel, il cuore dell’Africa, non è più lo stesso. Sta cambiando, in cerca di una “ricerca profonda” della “propria identità” e di nuovi orizzonti. “Un desiderio di autonomia” che prende anche la forma, da ultimo in Ciad e in Senegal, di una rottura della cooperazione con la Francia. Parole, spunti e riflessioni di Emanuela Claudia Del Re, dal 2021 al 2024 rappresentante speciale dell’Ue per la regione.
L’occasione è un’intervista con l’agenzia Dire, alcuni giorni dopo l’annuncio di N’Djamena. La Francia, ex potenza coloniale, dovrà ritirare i suoi circa mille uomini di stanza in una base militare proprio accanto all’aeroporto della capitale saheliana.

Professoressa e ricercatrice sui diritti umani, deputata e viceministra italiana degli Affari esteri e della cooperazione internazionale prima di essere incaricata di rappresentare nel Sahel i 27 Paesi dell’Ue, Del Re allarga lo sguardo. “Stiamo assistendo a una riconfigurazione della regione, a una ricerca profonda dell’identità e di nuovi orizzonti, che a volte va in direzioni che per noi europei sono rischiose e anche negative” dice. “Tutto questo ci porterà a guardare l’area con occhi diversi”.

Tappa di questo percorso è la decisione di N’Djamena, annunciata dopo le elezioni che hanno confermato al potere Mahamat Deby Itno, figlio di Idriss Deby Itno, alla guida del Paese dal 1990. “Direi che la scelta di privarsi della presenza francese è parte di una tendenza all’opera in tutta la regione e in Africa occidentale” sottolinea Del Re: “Non ci sono solo il Ciad ma anche il Senegal e prima ancora il Mali”.
Il punto chiave, secondo la diplomatica, è il “desiderio di essere autonomi e di appropriarsi del proprio destino”. Solo a partire da questa premessa si potrebbe valutare il ruolo giocato nel Sahel da altre potenze, “come ad esempio la Russia”, che eserciterebbero, questa la tesi, “un’influenza negativa”.


La rottura tra N’Djamena e Parigi, secondo Del Re, è comunque “preoccupante”. Tanto più alla luce delle sfide che il Ciad si trova ad affrontare, nel cuore geografico della regione. “Amo molto questo Paese” dice la diplomatica. “Abbiamo molto da imparare dal Ciad: sta facendo fronte a un’ondata di rifugiati in arrivo dal Sudan che hanno bisogno di tutto”.

Da rappresentante speciale, Del Re ha visitato i campi di accoglienza presso Adré, cittadina alla frontiera, prossima alla regione del Darfur. “E nella capitale N’Djamena ho invitato il prefetto locale” riferisce Del Re: “Volevo che condividesse la propria esperienza di gestione di questa emergenza enorme con gli inviati di tutti e 27 i governi dell’Ue oltre che con gli Stati ‘like-minded’, come Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Norvegia, Svizzera e Giappone”.

Ci sono poi anche altre crisi. All’estremità opposta del Paese, in riva al Lago Ciad, operano gruppi armati riconducibili spesso a Boko Haram, una formazione di matrice islamista che ha intensificato raid e violenze. Lo specchio d’acqua, sul quale si affacciano anche Niger, Nigeria e Camerun, ha visto la propria superficie ridursi fortemente a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso. Questa dinamica, acuita da siccità prolungate e più frequenti, ha ridotto le risorse disponibili, dall’acqua ai pascoli, alimentando conflitti tra le comunità.

“Sono stata sulle piroghe di pattuglia, impegnate in azioni anti-terrorismo” ricorda Del Re. Convinta che ci siano però, in Ciad, anche spunti incoraggianti. Il riferimento è alle elezioni legislative in programma domenica prossima, il 29 dicembre. La diplomatica riconosce che il percorso verso il voto si è rivelato difficile, come confermato anche da episodi che hanno preceduto le presidenziali di maggio: tra tutti l’uccisione di Yaya Dillo Djérou, a capo del Partito socialista senza frontiere, uno dei principali oppositori di Deby, colpito a morte in uno scontro a fuoco con le forze di sicurezza.

Nel complesso però, sottolinea Del Re, “il Paese ha espresso la volontà di trovare soluzioni politiche sostenibili”. E di “sanare”, avverte la diplomatica, guardando all’appuntamento elettorale, “grandi questioni interne, che riguardano anche le comunità e le etnie”.
L’auspicio è che ci sia capacità di dialogo. Lo stesso che su altri tavoli, in altri spazi, deve ispirare l’azione diplomatica. Rispetto al proprio mandato da rappresentante Ue, Del Re parla di inclusione e coinvolgimento, a livello politico e di società civile. “Nel corso di questi anni”, dice, “mi sono battuta perché si dialogasse anche con governi dove c’erano stati golpe militari, come Mali, Burkina Faso e Niger, con l’obiettivo di trovare soluzioni”.

L’assunto è che la diplomazia non si possa fare né al telescopio né sui social. “E’ fondamentale”, sottolinea Del Re, “ascoltare le associazioni, i giovani, le donne, gli intellettuali e i ricercatori locali, che spesso non hanno voce sul piano globale”. La soddisfazione più grande? Da un lato, “la conferma dell’impegno dei 27 Paesi dell’Ue nel Sahel, nonostante una certa ‘fatigue’, una mancanza di fiducia nel futuro”;
dall’altro, il rapporto con le comunità, sia in Africa che fuori.

Ne sarebbe testimonianza un riconoscimento attribuito alla rappresentante speciale da Madlead, rivista della diaspora del Mali. “Si è distinta”, si legge nella motivazione, “per la capacità di mantenere aperti canali di comunicazione con i Paesi della regione, nonostante i complessi contesti politici e di sicurezza”.

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