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Sport e diritti Lgbtq+, quella volta che Hamilton corse in Qatar con il casco arcobaleno

Mentre le squadre ai Mondiali di calcio di Qatar 2022 cercano un modo (innocuo) per protestare, già un anno fa il campione di F1 aveva dato una lezione al pallone spaventato da un cartellino giallo

Pubblicato:23-11-2022 17:43
Ultimo aggiornamento:23-11-2022 17:44

hamilton casco arcobaleno
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(Photo credit @mercedesamgf1)

ROMA – AAA vendesi fascia arcobaleno ‘One Love’: ideale per l’uso ai Mondiali di Qatar 2022, come nuova, mai indossata. C’è anche questo nel gran bazar della paccottiglia da esposizione, feticcio simbolo dei diritti venduti un tanto al chilo, anzi del valore di un cartellino giallo. La metto, non la metto. Mi si nota di più se la metto o no? E se poi mi ammoniscono? Ognuno ha i suoi problemi e fa i suoi conti. Comprese le sette Nazionali di calcio che non avevano dubbi, volevano a tutti i costi indossare quella fascia e dire che “sì, noi combattiamo per i diritti” nel Paese che punisce con sette anni di carcere il solo accostare le parole ‘amore’ e ‘gay’. A tutti i costi, tranne quello di un cartellino giallo per il capitano in campo.

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fascia arcobaleno lbgtq

E così il mero calcolo del ‘cosa sei disposto a perdere’ si è sciolto sotto il sole rovente del deserto. Autogol e figuraccia mondiale sono gli annessi e connessi del dietrofront fulmineo eseguito borbottando non appena la Fifa ha fatto presente ai ribelli “Hey, le regole erano chiare eh”. Niente fasce per i diritti, al massimo c’è quella ‘No discrimination’. Evergreen, buona per tutte le stagioni, adattabile, l’attivismo pret a porter è trasformista. Il risultato? Hugo Lloris (Francia) ci aveva già rinunciato in tempi non sospetti, seguito poi da Harry Kane (Inghilterra), Virgil Van Dijk (Olanda) e compagnia tutta. Campioni in campo, un po’ meno fuori. Eppure c’è un campione che in Qatar la differenza l’aveva fatta.

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HAMILTON SCHIERATO PER I DIRITTI LGBTQ+

Bisogna tornare indietro nel tempo di appena un anno, al posto del palcoscenico del calcio c’è quello della Formula 1. E c’è un campione che compromessi non ne fa, figuriamoci calcoli. Circuito di Lusail, Doha, 18 novembre 2021. La lotta per il titolo mondiale è apertissima: da una parte Lewis Hamilton, dall’altra Max Verstappen. È il primo Gran Premio della storia nel Paese, le polemiche sullo sfruttamento dei migranti per la costruzione degli stadi sono striscianti, un neon che si accende a intermittenza, come il faro sui diritti delle persone Lbgtq+. “Attenzione a quello che si dice”, il monito silente della Fia (che da lì a poco vedrà eleggere alla presidente Mohammed Ben Sulayem, nato negli Emirati). Ma Hamilton ascolta e passa oltre, spingendo il piede sull’acceleratore. “La F1 deve tenere conto dei luoghi in cui sceglie di correre“, dice.

HAMILTON: “IL QATAR È UNO DEI PAESI PEGGIORI”

Apriti cielo. “Ci sono problemi qui e il Qatar è uno dei peggiori Paesi per i diritti in questa parte del mondo, ecco perché lo sport ha il dovere di sensibilizzare l’opinione pubblica: la parità di diritti è una questione seria”. Chissà cosa ha pensato Hamilton della gran ritirata delle sette Nazionali di calcio, lui che aveva detto “una sola persona può fare una piccola differenza, ma insieme possiamo avere un impatto maggiore. Mi auguro che più sportivi si esprimano su questi temi. Bisogna alzare il tono della discussione”. E mentre il calcio oggi teme che si alzino i cartellini gialli, lui in Qatar si è infilato in testa un casco arcobaleno e ha sfidato il Paese e i ‘poteri forti’.

hamilton casco arcobaleno
Photo credit @mercedesamgf1

Stop me if you can ma nessuno lo ha fatto. Anzi, pochi giorni dopo in Arabia Saudita ha rincarato la dose. In Inghilterra, patria di Hamilton, il dibattito sul confronto con i colleghi del pallone non è stato risparmiato. Certo, c’è anche chi si è domandato cosa avrebbe fatto il pilota se lo avessero minacciato con 10 secondi di penalità mentre stava per giocarsi il suo ottavo titolo iridato. “Ma i calciatori sono diversi, non sono come lui”, ha scritto un utente sui social. E poi… per 10 secondi in griglia si può perdere una gara (e un Mondiale), per un’ammonizione no.

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LA GERMANIA PROTESTA, MA IL CARTELLINO?

In ogni caso qualcosa si muove. Al quarto giorno di Mondiale, il portavoce del governo tedesco ha detto che la messa al bando della fascia per i diritti delle persone Lbgtq+ “è deplorevole” e che i diritti “non sono negoziabili”. Un via libera – verosimilmente – a quella che è stata la protesta in campo della Germania. Niente fascia arcobaleno per capitan Manuel Neuer, quella che avrebbe portato alla sicura ammonizione del portiere-capitano (ci risiamo), ma al momento della foto lui e i suoi compagni si sono messi la mano davanti alla bocca per dire “Ci silenziano, ma noi vogliamo parlare lo stesso”.

Lontano dalle telecamere, poi, si scopre un altro pezzetto di cronaca: il portiere indossava degli scarpini arcobaleno. Si attende la replica della Fifa. La Federcalcio danese, però, ha già fatto sapere che non sosterrà più il presidente Gianni Infantino. I tedeschi restano sotto il giogo dello spauracchio ammonizione ma minacciano: “Non finisce qua”. Ci si prova, insomma.

D’altronde, tornando alla F1, il ceo Stefano Domenicali ha sempre spiegato che “i cambiamenti culturali richiedono tempo, ma sport come la F1 possono accelerare il processo”. Si potrebbe quindi discutere per ore sulla differenza tra un campione e l’altro, sul diverso ruolo delle Federazioni, su chi minaccia sanzioni e su chi si gira dall’altra parte, del bilancino delle multe e del pallottoliere della convenienza. Del gesto più o meno sensazionale, più o meno trasmesso dalle telecamere o oscurato. La domanda-verità spogliata dai numeri e dai fatti è solo una. Il calcio quanto è disposto a perdere? La faccia, sicuramente.

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