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Edoardo Leo racconta Gigi Proietti in un documentario: “Avrei voluto potesse vederlo”

Presentato oggi alla Festa del Cinema di Roma 'Luigi Proietti detto Gigi'. Ripercorre tutta la vita e la straordinaria carriera artistica del mattatore romano, a un anno dalla morte

Pubblicato:23-10-2021 17:59
Ultimo aggiornamento:24-10-2021 08:16

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ROMA – Il 2 novembre del 2020 Gigi Proietti compiva ottant’anni, e se ne andava. Sembra ieri quel triste giorno in cui il mattatore di Roma sconvolgeva la Capitale e l’Italia intera sparendo all’improvviso. Quasi un macabro scherzo, quello di un comico nato ironicamente nel giorno dei morti. Ma Gigi Proietti era molto di più di una risata goliardica strappata con facile ironia. Era sperimentazione, curiosità, studio e un incredibile talento. A raccontarlo, un anno dopo, arriva il documentario ‘Luigi Proietti, detto Gigi’ di Edoardo Leo, che oggi alla Festa del Cinema di Roma gli ha reso omaggio con quest’opera.

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“L’idea del documentario è nata tre anni fa-, ha dichiarato Leo intervistato dall’agenzia Dire- per raccontare uno spettacolo che ha cambiato le regole del gioco del teatro italiano, ‘A me gli occhi, please’“. Come accolse Proietti la notizia ce lo ha raccontato la figlia Carlotta: “Quando lo propose a mio padre reagì con grande stupore, dicendogli: ‘ma cosa ti metti a fare?’. E invece poi ne fu sorpreso e incuriosito come tutti noi”.


Ottenuto il consenso del mattatore romano Leo inizia a seguirlo ovunque: negli spettacoli, nei camerini, alle prove, e poi al Globe Theatre, dove Proietti gli regala una lunga intervista, che sarebbe stata la sua ultima. Poi la morte improvvisa, e il cambio di rotta del progetto: “Mi sono trovato davanti alla scelta di dover ripercorrere tutte le vicende artistiche e umane della sua vita. Un’impresa enorme”, ha spiegato Leo. “Ho aspettato qualche mese poi ho chiesto alla famiglia se volevamo continuare, mi hanno detto di sì e sono andato avanti”, ha aggiunto.

Il documentario inizia cosi a prendere un respiro più ampio, l’obiettivo diventa scoprire il segreto di Proietti, la sua capacità di arrivare a tutti. Per farlo Leo ripercorre la vita dell’artista attraverso video inediti e cavalli di battaglia, accompagnati dai racconti della sorella, delle figlie e di amici e colleghi di una vita di Proietti, tra cui Nicola Piovani, Renzo Arbore, Alessandro Gassmann, Paola Cortellesi e Fiorello.

“Quello che è venuto fuori è qualcosa di sorprendente. Soprattutto la prima parte della carriera di mio padre, che è stata raccontata molto bene. E non credo che in tanti sappiano di come questa sia legata a ciò che è venuto dopo”, ha spiegato la figlia di Proietti, svelandoci qualcosa di inedito presente nel documentario. Leo invece ha rivelato di aver scoperto del grande artista, durante le riprese, “una fragilità insospettabile per uomo mite fuori dalle scene, che poi diventava un leone sul palco. Capace di stare da solo davanti a tremila persone e conquistarle tutte- ha raccontato-. E poi ho scoperto che molti dei numeri comici che hanno divertito, non solo me, ma tutti gli italiani, erano frutto non solo di una parte empatica e divertente, di qualche intuizione buffa, ma di uno studio, una ricerca. Venivano da tutto il lavoro che aveva fatto nel teatro di sperimentazione“.

A ciò si aggiunge una modestia e/o forse insicurezza che non abbandoneranno mai l’artista, nonostante- vediamo nel documentario- abbia raccolto la stima di mostri sacri come Eduardo De Fillippo, che vedendolo in scena gli bacerà la mano (‘Finalmente qualcuno continua’) e Fellini, che dichiarerà di guardarlo come si guarda una fiamma: non ci si interroga sul processo chimico che la genera, si guarda e basta. Il più bel complimento di tutta la vita per Gigi, racconta Leo nel doc. A fare esplodere la sua popolarità e rendere universalmente riconosciuta la sua maestria, fu proprio ‘A me gli occhi, please’, uno spettacolo considerato da molti un manuale di drammaturgia. La prima ha luogo a L’Aquila, dove l’attore era approdato anni prima insieme al ‘Gruppo 101’, facendo teatro di ricerca e nella quale tornerà successivamente diventando il direttore del Teatro Stabile d’Abruzzo. Portato poco dopo al Teatro Tenda di Roma lo spettacolo ha un successo immediato ed enorme pur non essendo stato pubblicizzando e non essendo Proietti ancora conosciuto al grande pubblico. Lui stesso, dichiara a Leo nel documentario, non se ne spiegherà mai il motivo.

Il documentario racconta anche Proietti giovane musicista che sbarca il lunario nei night club romani, il Centro universitario teatrale dove inizia a recitare e si fa notare e i conflitti con il padre che lo voleva avvocato. “L’ho conosciuto nel 1997- ha proseguito Leo durante l’intervista- perché abbiamo fatto uno sceneggiato insieme e anche io come lui sono stato ostacolato dai miei genitori nel fare questo lavoro. Quando hanno scoperto però che lavoravo con Proietti hanno capito che facevo l’attore davvero e non per gioco. Poi ho lavorato tante volte con lui ma non siamo mai diventati amici. Ho sempre mantenuto una specie di riverenza nei suo confronti. Credo che questa distanza che avevo sia quella giusta per poterlo raccontare, senza santificarlo”. In ‘Luigi Proietti detto Gigi’ anche l’esperienza al Teatro Sistina, quella come direttore del Brancaccio e la nascita del ‘Globe Theatre’ nel 2003: ‘un teatro popolare in una Villa Borghese‘, quale migliore sintesi di questo incredibile artista, che ha saputo mischiare ‘sacro’ e ‘profano’? E poi Proietti doppiatore, l’esperienza agro-dolce con la televisione e il cinema che lo immortala nell’immaginario collettivo per sempre con ‘Febbre da cavallo’ ma non gli concede mai grandi opportunità. “Io credo che sia mancato molto più Proietti al cinema che il cinema a Proietti”, ha dichiarato Leo in conferenza stampa. C’è una cosa che non sei riuscito a dirgli? “Avrei voluto fargli vedere questo documentario e chiedergli: ‘Gigi ti è piaciuto?‘. Mi sarebbe bastato un ‘abbastanza’, la stessa risposta che gli diede la madre quando vide ‘A me gli occhi, please’-, ha dichiarato Leo alla Dire. “Per me questo è un atto d’amore per lui. Viviamo in un Paese che tende a dimenticare presto l’arte, per questo volevo fare questo documentario mentre era in vita. Per me questa sera alla prima ci sarà una poltrona vuota”, ha concluso in conferenza stampa.

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