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A Bologna almeno sei mesi di attesa per rinnovare il permesso di soggiorno

La denuncia dell'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione (Asgi): "Il foglio che danno in sostituzione non fa le veci del permesso"

Pubblicato:23-10-2020 14:03
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 20:06
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BOLOGNA – Sei mesi di attesa soltanto per avere un appuntamento e chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno. A Bologna, un ragazzo migrante seguito dall’avvocata Nazzarena Zorzella, è stato invitato ad andare in Questura per il rinnovo del documento di soggiorno in Italia il 21 aprile ma “come lui, praticamente vale per tutte le persone che devono rinnovare il permesso”. La denuncia arriva direttamente da Zorzella, avvocata e rappresentante dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) intervenuta ieri mattina nella commissione comunale dedicata al futuro del centro di accoglienza in via Mattei, a Bologna.

“Ci sono dei tempi lunghissimi per ottenere il primo appuntamento, ma a questo si aggiunge il fatto- ed è questa la cosa grave- che nel periodo di attesa il permesso è sostituito da un foglio che in realtà non lo sostituisce affatto, perché c’è scritto proprio che non è valido come permesso di soggiorno”, spiega Zorzella. Una fatto “grave”, anche perché i datori di lavoro “non sono intenzionati ad assumere qualcuno che non è in regola“, spiega l’avvocata alla ‘Dire’.

Per prendere appuntamento i migranti devono farlo online, sulla piattaforma Cupa Project, che “spesso e volentieri è bloccata” (lo è stata fino a metà agosto, ndr) e quando non lo è “dà appuntamenti ad aprile”. Asgi intanto ha scritto due lettere alla Questura, lamentando questo problema ma “non ci hanno risposto”.


Non solo, come racconta Zorzella, “da questa settimana non è più permesso accompagnare in Questura i propri assistiti. Il che è una violazione, intanto del nostro lavoro, e poi degli stranieri che non è che si fanno accompagnare per sport” ma lo fanno anche per avere una giusta ‘mediazione’ della loro situazione. Zorzella spiega che non “si tratta di misure di sicurezza” per via del coronavirus perché, se così fosse “prima di tutto lo direbbero chiaramente e poi, sarebbe in contraddizione con il fatto che al Cas in via Mattei vivono ammassati (i migranti, ndr)”.

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