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Raimo: “La ricetta della sinistra per Roma deve essere dare cittadinanza agli esclusi”

Lo scrittore e assessore del III Municipio: "Bisogna dare protagonismo alle persone, che vuol dire passare il microfono, alzarsi e lasciare la sedia a qualcun altro"

Pubblicato:23-10-2020 13:43
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 20:06

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ROMA – “Di cosa c’è bisogno a Roma? Una ricetta di sinistra? Bisogna dare protagonismo alle persone e cittadinanza a tutti“. Così Christian Raimo, scrittore e assessore alla Cultura del III Municipio, nel corso di un’intervista con l’agenzia Dire nell’ambito della rubrica DIREzione Roma.

“La bruttezza di un candidato che si impone dall’alto è la delegittimazione di percorsi e di comunità che in questi anni si sono messi in gioco personalmente- spiega Raimo- Bisogna dare protagonismo alle persone, che non vuol dire aprire un campo largo, vuol dire passare il microfono, alzarsi e lasciare la sedia a qualcun altro. Tutto questo però non può essere preso e regalato ad un candidato che di questa roba non ne sa niente. Penso alla Libera Assemblea di Centocelle o ai movimenti nati a Casal Bertone dopo le manifestazioni di CasaPound. Lì il Pd ha aperto una sezione che però è aperta due ore a settimana e svolge compiti tipo Caf. E poi penso alla Scuola popolare di San Basilio, che fa un lavoro gigantesco. Si possono capitalizzare tutte queste esperienze? Sì, ma dandogli un ruolo da protagonisti. Ecco, un sindaco deve cercare di coinvolgere le persone nella cosa pubblica. A Roma esiste un dentro e un fuori: chi sta dentro, ad esempio, alla Ztl, alle graduatorie per gli asili, alla zona servita da Enjoy, all’accesso ai servizi sanitari. E chi invece sta fuori da tutto questo. C’è un pezzo di città che non vota, penso agli stranieri. A casa con me vivono due persone, che vivevano per strada: loro vivono la città e i servizi più di me, ma non hanno cittadinanza, residenza e non votano”.

“Per me- conclude Raimo- il progetto è portare chi sta fuori dentro. Questa è la ricetta di sinistra per Roma: tutti devono avere la cittadinanza. Questa città nasce su un dispositivo di esclusione: Romolo disse a Remo: ‘Questa è la città, tu stai fuori e muori’. Per me il progetto è portare Remo dentro. A me interessa Remo. Romolo i diritti già ce l’ha. Riprendiamoci Remo!”.


“CAUDO È MIO CANDIDATO SINDACO, CACCIATA MARINO FERITA APERTA”

“Caudo? È il mio candidato sindaco, chiaramente sì. Perché è il migliore che si sia candidato fino ad adesso e perché l’ho visto all’opera“, argomenta Raimo.

“Mi piacerebbe ci fosse un confronto aperto sul candidato sindaco- ha aggiunto Raimo- Giovanni sarebbe un ottimo sindaco anche se è un candidato problematico, non per le sue ragioni ma per il contesto: c’è una ferita ancora non elaborata, la cacciata di Ignazio Marino da parte del suo stesso partito, che ha determinato anche la scomparsa di un’intera classe dirigente. E’ una ferita che ancora non è rimarginata”.

RAIMO A CIACCHERI: “INSIEME CON CALENDA? NO SE OBIETTIVO È IL POTERE”

“Nel momento in cui uno dice stiamo tutti insieme con Calenda, poi deve anche dire anche per quale motivo. Solo per non sfasciare tutto? Allora a me viene in mente che l’unico obiettivo, seppur legittimo, rimanga il potere. Ma se è così allora si può stare con chi capita, basta che non sia la destra neofascista. Ciaccheri nel Municipio VIII ha fatto buone iniziative e lui ha delle idee e una storia, tra l’altro simile alla mia, di attivismo a Roma. Se la sua storia può stare all’interno di un processo reale bene, ma in questo momento il problema è come governare la città in un momento pandemico. E su questo Calenda non ha un’idea che sia una”, commenta Raimo.

Di Calenda non mi piace il metodo, ovvero che esiste un piano di comunicazione dal palco e uno delle retrovie– ha aggiunto Raimo- Non sono un fanatico dello streaming, i processi hanno bisogno anche di tempi e discussioni protette. Ma non ci può essere uno scollamento assoluto tra ciò che si dice in privato e quello che si dice in pubblico, che a volte è proprio il contrario. Quello che non mi piace è che per lui il piano del confronto politico non serve a niente e le comunità, compresi i partiti, non valgano nulla, e vale solo il piano di una comunicazione personale, polarizzante, televisiva e social. Visto che spesso l’unico piano di confronto con i politici è la comunicazione sui social, allora ho imparato a confrontarmi lì dove il potere si autorappresenta. Serve un confronto. Le sue interviste, invece, non rispettano il minimo della cultura politica. Visto quindi che io il comunicatore lo so fare, so come mettere degli inciampi su una comunicazione che punta tutto a dire ‘Ora ci sono io, risolvo i problemi, sono il manager’“.

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