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Genitori “anti-bibbiano” ora vogliono colloqui registrati

Testimonianze in commissione regione: "Caso Val d’Enza non è isolato"

Pubblicato:23-10-2019 17:13
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:52
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BOLOGNA – “Prima che scoppiasse l’inchiesta giudiziaria e che ci costituissimo come gruppo Facebook, alcuni di noi, come parte in causa di casi di allontanamento, avevano gridato e denunciato le ingiustizie che stavamo subendo. Ma non siamo stati creduti e siamo stati lasciati soli“. In commissione d’inchiesta sugli affidi in Emilia-Romagna risuonano le voci di Benedetta Vultaggio e Fabrizio Mammana, rappresentanti di genitori che si ritengono lesi dall’attività dei servizi sociali in materia di affidi e che da luglio sono riuniti anche nel gruppo Facebook “Contro gli orrori di Bibbiano”.

Le storie riferite in commissione riguardano, in certi casi, alcuni degli indagati nell’inchiesta su Bibbiano e diverse situazioni che, a loro parere, sarebbero simili a quelle sotto la lente dei pm: “Richieste di allontanamento ‘facili’ e relazioni non sempre fedeli alla realtà, con genitori idonei che si trovano separati dai propri figli”, secondo Vultaggio e Mammana, che avanzano la proposta di videoregistrare gli incontri tra servizi e famiglie.

“Chi mi tutela- aggiungono i due rappresentanti del gruppo Fb- dal momento che entro in una stanza con una persona che potrebbe scrivere qualsiasi cosa su di me? Una registrazione audio-video sarebbe una garanzia per le famiglie, ma anche per gli assistenti sociali e per la qualità del loro lavoro”. Vultaggio ha raccontato ai commissari la sua esperienza personale di madre che si rivolse volontariamente ai servizi della Val d’Enza dopo una separazione difficile.


“Mi sento una miracolata- ha spiegato- perché mi era stato notificato un decreto di allontanamento dai miei figli, poi sospeso anche perché fatto oggetto di revisione da parte del tribunale per i minori. La potestà genitoriale però è ancora sospesa e sto procedendo insieme al mio avvocato perché giudico questa situazione ingiusta e inaccettabile”. 

Secondo la rappresentante di questo gruppo Facebook, non si tratterebbe di un caso isolato: “Siamo in tanti e ci siamo conosciuti solo ora, ma prima eravamo isolati e non siamo stati creduti da nessuno”. Proprio per uscire da questo isolamento questi genitori avrebbero deciso di creare un gruppo sui social nel luglio scorso: per mettersi in contatto e condividere esperienze. “Vogliamo raccogliere casi e cercare analogie con quanto emerso in Val d’Enza per cercare di risolverne le criticità”.

L’esperienza della mamma della Val d’Enza a cui erano stati sottratti i figli in base a una relazione dei servizi sociali, chiosa la consigliera M5s Raffaella Sensoli, “ha confermato che il sistema che dovrebbe tutelare e occuparsi di situazioni delicate invece presenti ancora molti malfunzionamenti e anomalie”. Ascoltati oggi in commissione anche Laura Roncagli e Davide Castagnoli dell’associazione Dammi la mano e Paolo Baldisserri e Maria Grazia Caria dell’associazione Famiglie per l’accoglienza, due realtà di famiglie che svolgono attività di accoglienza di minori.

Il sistema affidi, ha spiegato Roncagli, “va implementato, sono tante le famiglie ad avere bisogno di un aiuto (anche solo per poche ore al giorno), servono anche più assistenti sociali”. Quella delle famiglie in difficoltà, ha aggiunto, “è una problematica sociale in aumento, è necessario intervenire il prima possibile, quando la situazione è più facilmente recuperabile”. L’obiettivo, ha concluso Roncagli, “è aiutare il bambino a restare in famiglia, supportando i genitori. L’allontanamento, se possibile, va scongiurato e se non si conclude con il rientro viene meno la funzione sociale dello stesso affido”. 

Anche Castagnoli ha ribadito che “l’affido non va confuso con l’adozione, la famiglia affidataria ha il compito di aiutare il bambino e tutelarlo, aiutando lui e conseguentemente la famiglia di origine a riprendere nel minor tempo possibile un percorso che si è interrotto”. Baldisserri (Famiglie per l’accoglienza) ha spiegato che tra gli obiettivi c’è anche quello di “fare crescere l’autostima del bambino”. Ha poi rilevato che “occorrerebbero ulteriori strumenti a sostegno delle famiglie affidatarie, spesso abbandonate a se stesse”. Caria ha invece riferito dell’utilità “di collaborare con la famiglia d’origine del minore”.

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