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Da malaria a epatite C, un focus sul Congresso Nazionale della Simit

Infettivologi riuniti a Salerno dal 15 al 18 ottobre per il XVI Congresso Nazionale SIMIT

Pubblicato:23-10-2017 14:33
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:49

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ROMA – Da influenza a malaria e Chikungunya, ma anche l’epatite C al centro del congresso nazionale della Simit, la Società italiana di Malattie infettive e tropicali, che si è svolto a Salerno. Ecco un focus su tanti temi trattati nei quattro giorni di lavori:

Influenza, anziani a rischio

La copertura vaccinale delle persone ultra-sessantacinquenni in Italia rimane tra le più basse d’Europa. Nell’inverno 2016-17 risulta che si sia vaccinato solo il 52,6% delle persone dai 65 in su. Se si tiene conto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità fissa l’obiettivo ideale della copertura vaccinale dell’anziano al 95% e l’obiettivo minimo al 75%, si comprende quanto insoddisfacente sia la situazione. In Italia, il miglior risultato mai ottenuto in Italia è stato il 68,2% del 2005-2006.

La progressiva flessione osservata negli anni successivi si è paradossalmente accentuata dopo la comparsa, nel 2009, del nuovo virus pandemico H1N1, rivelatosi meno pericoloso di quanto paventato. Ciò ha contribuito a creare una ingiustificata sensazione di sicurezza che ha alimentato un’ulteriore disaffezione verso la vaccinazione. Un ruolo non trascurabile hanno ricoperto anche voci non basate su dati scientifici o su fatti dimostrabili in merito a presunti effetti indesiderati del vaccino.


“Nel novembre 2014 – sottolinea il Prof. Massimo Galli, Università degli Studi di Milano Direttore Divisione Clinicizzata di Malattie Infettive AO- Polo Univ nonché futuro presidente SIMIT – un allarme del tutto ingiustificato, provocato dalla segnalazione di alcuni decessi in anziani arbitrariamente accollati alla vaccinazione anti influenzale, ha avuto nei media una vasta eco, certamente superiore a quella della successiva smentita. Difficile pensare che l’adesione alla vaccinazione non ne abbia risentito, visto che è precipitata dal già desolante 55,4% dell’anno prima al 48,6%, il minimo storico di questo secolo. Nel 2015 in Italia si è registrato un numero di decessi superiore all’atteso, con un 13% in più durante l’inverno rispetto all’inverno precedente. L’analisi su un campione di 32 città ha evidenziato che il picco di mortalità osservato nei mesi di gennaio-febbraio era dovuto ad un aumento significativo della mortalità nella popolazione molto anziana (tra gli 85 e i 90 e sopra i 90 anni). Difficile non attribuire all’influenza un ruolo di rilievo nel causare una parte importante di questi decessi”.

Nell’inverno 2016-17 l’influenza in Italia è arrivata in anticipo, raggiungendo il picco epidemico verso la fine di dicembre e ha interessato gli anziani in misura superiore al solito. Nelle ultime due settimane di dicembre 2016 e nelle prime quattro di gennaio 2017 il tasso di mortalità per tutte le cause è risultato del 15% superiore all’atteso – e del 42% più elevato nella settimana del picco influenzale.

Malaria: 650 casi in Italia ogni anno

In Italia si verificano 650-700 casi di malaria di importazione, ma negli ultimi mesi la cronaca ha sottolineato la possibilità di casi di malaria autoctona. E’ vero tutto ciò? Nonostante l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato l’Italia, nel 1970, un Paese “malaria free”, ancora oggi persiste un fenomeno di “anofelismo residuo”, cioè la presenza di zanzare Anopheles in alcune aree del nostro Paese, dal nome della zanzara che trasmette la malattia da un individuo infetto a un altro. Dagli studi più recenti, inoltre, pare possibile una reintroduzione della malaria da plasmodium vivax, sebbene gli ultimi casi balzati alla cronaca sono quella da falciparo, la forma più pericolosa per l’uomo.

“Il rischio che la malaria torni ad essere endemica in Italia è molto basso – spiega il Prof. Spinello Domenico Antinori, Università degli Studi di Milano – Anche se in anni recenti sono stati segnalati, ad esempio in Grecia, casi di malaria autoctona. Tra le forme autoctone, cosiddette “criptiche”, abbiamo registrato la malaria aeroportuale, a causa di zanzare che viaggiano con gli aeromobili, e che possono essere vettori della malattia nei pressi degli aeroporti, o quella da bagaglio. Molto rari, invece, i casi di trasmissione per siringa”.

La maggior parte dei casi di malaria di importazione viene osservata al Nord, si parla di 2 casi su 3. In parte questo fenomeno può essere attribuito ad un problema di sottonotifica della malaria. Più semplicemente non vengono riportati tutti i casi al Ministero della Salute. Un fenomeno, quello della sottonotifica, che non dovrebbe superare il 5-6%, una percentuale che cresce nelle regioni meridionali. Le infezioni vengono maggiormente riportate in Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Lazio. Pochi gli episodi malarici nelle isole, maggiori in Sicilia. Nel Sud pochi casi in Puglia e in Campania.

La malaria interessa soprattutto turisti e viaggiatori, circa un individuo su quattro – sottolinea il Prof. Antinori – Tutti gli altri sono soggetti dove la malaria è endemica: parliamo in special modo di un gruppo, quello definito VFR, ossia Visiting Friends and Relatives, vale a dire persone che vivono nel nostro territorio ma che ritornano sporadicamente nel loro paese d’origine. In questi casi, si tratta di individui con scarsa consapevolezza del rischio malarico che non effettuano la chemioprofilassi e hanno perso quella condizione di semiimmunità. Si tratta di casi che interessano soprattutto l’Africa subsahariana, e questo spiega perché in Italia circa l’80% dei casi di malaria di importazione sia da plasmodium falciparum. A volte ci sono episodi legati a trasfusioni di sangue, ma sono molto sporadici”.

Chikungunya e Zika

Le malattie a trasmissione vettoriale sono delle infezioni estremamente diffuse nel mondo ed evidentemente risentono dell’epidemiologia del vettore. La Chikungunya ha interessato soprattutto Lazio e Roma, per via della zanzara tigre. Non importa la provenienza: colpisce sia italiani che stranieri. Ma occorre sottolineare che la durata del virus è estremamente ridotta, dai 5 ai 7 giorni, quindi è più facile che viaggi su un aereo e non su un barcone. Si tratta comunque di una malattia poco sintomatica: febbre, dolori alle articolazioni e piccole eruzioni cutanee.

“Per creare un’epidemia ci vuole una contemporaneità di elementi che la possono provocare – spiega il Prof. Castelli – Questo negli anni scorsi non si è verificato, ma quest’anno sì. Ed è probabile che questa ipotesi si realizzi nuovamente nei prossimi anni, tanto in Italia quanto in altri Paesi del bacino mediterraneo. Si tratta di un problema di mobilità umana, con centinaia di migliaia di spostamenti ogni anno. Perché diventi endemica bisognerebbe trascurarla, quindi non si escludono piccoli focolai nei mesi estivi, ma il rischio di diffusione a livello epidemico è improbabile nel nostro Paese sia per la comparsa dei mesi freddi, sia per le essenziali pratiche di disinfestazione da adottare tempestivamente in seguito alla pronta segnalazione dei casi”.

Per quanto riguarda la Zika, infine, dopo lo scalpore mediatico dell’anno scorso in prossimità delle Olimpiadi, non ci sono più segnalazioni, quindi le azioni contro le zanzare sembrerebbero essere stati efficaci. Non bisogna comunque abbassare la guardia, perché la lotta alle zanzare è molto complessa. In Italia, però, il rischio è ancora più basso, perché la zanzara tigre non è un buon vettore per questa malattia.

Rivoluzione antibiotici: in arrivo piano sanitario nazionale

Grande fermento al Congresso Nazionale di Salerno della SIMIT – Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali alla vigilia del lancio del Piano Sanitario Nazionale che sarà emanato dal Ministero della Salute a fine ottobre. Ogni anno, nel mondo circa 700mila decessi sono causati dall’antibiotico-resistenza; l’uso smodato di antibiotici infatti ha vanificato i loro effetti e reso i batteri più resistenti, con trend in continua crescita e costi sempre più elevati. Il prolungamento dei tempi di degenza per infezione in ospedale è la voce economicamente più notevole, basti pensare che una giornata di ricovero costa circa 800 euro. “Il tema dei germi multiresistenti presuppone un approccio multidisciplinare, nel contesto del quale gli infettivologi costituiscono indubbiamente una delle professionalità di primo piano” sottolinea Pierluigi Viale, Professore Ordinario di Malattie Infettive – Alma Mater Studiorum Università di Bologna e Direttore Unità Operativa di Malattie Infettive – Policlinico S. Orsola Malpighi – Bologna.

“Uno degli aspetti da perseguire assolutamente è sicuramente migliorare l’uso degli antimicrobici. È una grossa responsabilità per il mondo infettivologico. Sono necessarie due considerazioni di tipo politico: chi ha la responsabilità di formazione dei medici del futuro deve rivedere i piani di acculturamento per migliorare la consapevolezza sull’uso degli antibiotici. In secondo luogo, per poter svolgere un’azione capillare di governo della terapia antimicrobica servono adeguate risorse”.

“La novità del Piano Sanitario Nazionale di contrasto all’antibiotico resistenza si basa su un concetto innovativo, detto ‘one health’, che introduce un approccio unitario di gestione delle resistenze” spiega il Prof. Marco Tinelli, Segretario Nazionale SIMIT. “Ciò significa che la gestione del controllo delle infezioni sarà organizzata a livello circolare comprendendo gli ospedali, il territorio e gli allevamenti animali. Il piano introduce così obiettivi e azioni con maggiore coordinamento nazionale per tutte le infezioni, il che significa maggiore concertazione tra le regioni e superamento dei piani parcellizzati. Questa operazione, che coniuga centralizzazione e sinergie, necessiterà anche di nuove risorse”.

Questa nuova impostazione permetterà una migliore gestione delle infezioni, a partire da una diagnosi precoce grazie ai metodi innovativi cosiddetti “genotipici”. “Il ruolo dell’infettivologo è fondamentale” prosegue il prof. Tinelli. “Il Ministero ha riconosciuto un ruolo importante alla nostra categoria di infettivologi: non solo la gestione della parte terapeutica, ma anche l’assunzione di responsabilità all’interno di un più generale discorso di equipe per il controllo delle infezioni. Inoltre, interverrà come riferimento fondamentale per la formazione degli operatori sanitari e per la ricerca nell’ambito dell’antibiotico terapia e del controllo delle infezioni”.

Il Piano permetterà un più rapido riscontro di cosa avviene a livello epidemiologico, cioè quali sono i batteri che circolano in Italia e quali rischi comportano. La diagnosi precoce permetterà di intervenire immediatamente, permettendo così un migliore e più oculato uso degli antibiotici.

Epatite C: “Prossimi all’eradicazione, forse un paio di anni”

L’eradicazione dell’infezione da HCV (Epatite C) è possibile. E potrebbe mancare molto poco, forse un paio di anni. “Abbiamo dei farmaci talmente efficaci, da utilizzare in maniera semplice, con brevi periodi e con una sola pasticca al giorno, che si pensa sia possibile trattare un numero sufficientemente ampio di persone per raggiungere questo obiettivo”. Lo dichiara il Prof. Massimo Andreoni, Ordinario di Malattie Infettive all’Università Tor Vergata di Roma, in occasione del Congresso Nazionale di Salerno della SIMIT – Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali.

“Circa il 90% delle nuove infezioni colpisce persone che fanno uso di sostanze in via endovenosa – spiega il Prof. Andreoni – Inevitabilmente, quindi, in termini epidemiologici, dobbiamo iniziare a concentrarci su questi soggetti, perché si possa evitare di mantenere vivo questo focolaio epidemico in Italia”. Secondo studi recenti, che hanno coinvolto anche la Regione Lazio, alcune campagne finalizzate a test rapidi condotti in questa tipologia di pazienti hanno dimostrato che più del 30% dei soggetti si sono dimostrati positivi all’HCV. Questo sistema aiuta a far emergere il sommerso e potrebbe funzionare. Un altro dato interessante è relativo ai soggetti che fanno uso di sostanze per via endovenosa, la percentuale di risposta al trattamento è virtualmente equivalente a quello della popolazione. Quindi il 90% di queste persone rispondono positivamente al trattamento.

“Questi risultati – conclude il Prof. Andreoni – ci fanno capire che dobbiamo andare verso questa direzione. E che servono campagne mirate all’individuazione di infetti appartenenti a questo gruppo. E’ importante, inoltre, creare dei modelli di esempio e di riferimento che stimolino questi individui a sottoporsi al trattamento. Questi, infatti, scarsamente aderiscono correttamente alla terapia. Ma prestando una particolar attenzione si potrebbe giungere finalmente all’eradicazione della malattia”. Nel 2016, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, l’incidenza è stata pari a 0,2 per 100mila. Non sono stati osservati casi nella fascia d’età 0-14 anni, mentre l’incidenza maggiore si ha nella classe di età 25-34 anni: 0,3 x 100mila abitanti. La diminuzione di incidenza ha interessato in particolar modo i soggetti d’età compresa fra i 15 e i 24 anni. L’età dei nuovi casi è in aumento, e già da tre anni la fascia di età maggiormente colpita è stata quella di mezzo tra i 35 e i 54 anni.

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