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Unioni civili e stepchild adoption, cosa succede in Italia?

Unioni civili, stepchild adoption, riconoscimento dei diritti per le coppie omosessuali. L'Italia a che punto è? Lo scorso

Pubblicato:23-10-2015 15:34
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 20:40

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Unioni civili, stepchild adoption, riconoscimento dei diritti per le coppie omosessuali. L’Italia a che punto è? Lo scorso anno il Tribunale per i minorenni di Roma ha pronunciato una storica sentenza che ha accolto nell’ “interesse della minore” la richiesta di adozione presentata da una donna convivente della mamma biologica della bambina. Ma poi?

Qui l’opinione di Barbara Varchetta (Pubblicista, esperta di Diritto e questioni internazionali):

Laico è lo Stato, laico il Diritto. E’ grazie a questo principio che da sempre vengono garantite, in Italia, le libertà fondamentali, l’uguaglianza giuridica di tutti i cittadini, ogni fede e confessione religiosa…. Le nostre leggi sono scevre dall’influenza di qualsivoglia dogma o ideologia tendendo esse alla realizzazione degli ideali di giustizia, sicurezza e tutela sociale. Appare pertanto piuttosto incomprensibile ad una mente illuminata e razionale comprendere le motivazioni che hanno spinto, nei giorni scorsi, il Governo a rinunciare alla definizione, resasi giuridicamente ormai improcrastinabile, delle unioni civili e della step child adoption, l’adozione del figlio naturale di uno dei coniugi da parte dell’altro coniuge.


Le ragioni legate alla morale, alla religione, alle convenzioni sociali, stridono con la realtà attuale che, soltanto in Italia, conta migliaia di unioni gay (sia pur non inquadrate dall’ordinamento giuridico in nessuno degli istituti noti) e centinaia di coppie omogenitoriali che da anni ormai vivono la genitorialità con le medesime attitudini delle coppie eterosessuali, sia pur nel silenzio e nell’oblio ai quali i Governi di ogni estrazione politica le hanno costrette.

E’ appena il caso di accennare alle legislazioni degli altri Paesi europei, che in materia di unioni civili omosessuali hanno già legiferato positivamente nell’arco degli ultimi vent’anni. Le sole eccezioni, insieme all’Italia ed a pochi altri Stati, sono rappresentate dai Paesi dell’ex Unione Sovietica! La stessa Unione Europea, sin dal 1994, si è orientata verso l’affermazione della parità dei diritti dei gay, così come ha fatto, un decennio più tardi, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Negli USA, il matrimonio gay era consentito fin dagli anni ’90 in moltissimi Stati; qualche mese fa, la storica sentenza della Corte Suprema lo ha reso legale in tutto il Paese, intervenendo così ad uniformare le singole leggi federali. Ma l’America è andata ben oltre: alcuni Stati consentono addirittura il ricorso alla maternità surrogata per le coppie etero/omosessuali, senza distinzione alcuna. Ed è lì (in particolare nello Stato della California, tra i primi ad adeguare la legislazione in tal senso) che molte coppie omosessuali si recano per realizzare il sogno di diventare genitori, non immaginando, probabilmente, quanto sarà duro il risveglio al rientro nel loro Paese d’origine: non sarà semplice, infatti, regolarizzare la posizione del neonato, disciplinare i criteri per il riconoscimento genitoriale, attribuire all’altro coniuge (geneticamente estraneo) la potestà sul bambino.

E proprio quando il nostro Paese è stato sul punto di approvare una legge che fornisse concrete soluzioni alle questioni appena esposte (unioni civili, diritti dei conviventi di fatto eterosessuali e non, facoltà di adozione del figlio naturale dell’altro coniuge), ecco intervenire le solite crisi “politico-personalistiche” dettate più dall’esigenza di compiacere i propri elettori che dal bisogno di provvedere, così come il mandato elettorale imporrebbe, alle necessità dei cittadini. La politica non può restare avulsa dal contesto reale, non può voltare le spalle a centinaia di migliaia di persone che, senza un adeguato riconoscimento giuridico, corrono il concreto rischio di vedersi negare diritti fondamentali, peraltro tutelati dall’ordinamento e dalla Costituzione in primis. E come ignorare, poi, l’esistenza di quei bambini, figli di coppie gay, italiani a tutti gli effetti (nati all’estero per “necessità burocratiche”) che vivono nelle nostre città, frequentano le scuole del nostro Paese, lo amano… senza forse esser corrisposti!

Non si tratta di mettere in discussione la famiglia tradizionalmente intesa né di attentare ai valori cardine che da millenni la consacrano come l’elemento fondante e più solido della società: porre la questione su questo piano dialettico significa aggrapparsi ad una scadente demagogia che denota grande carenza di argomentazioni. Qui si tratta del riconoscimento dei diritti civili! Sarebbe stato, pertanto, necessario un impegno più forte, una sfida aperta tra chi auspica (a parole) il cambiamento e chi invece fattivamente lo realizza! Non è più il tempo di vacui proclami…

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