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ROMA – Salvare le tigri dall’estinzione o permettere a decine di migliaia di persone di restare nelle loro terre ancestrali? È scontro in India tra le autorità di New Delhi e i circa 400mila nativi della comunità Adivasi, colpiti da un’ordinanza di sfratto. Ne dà notizia Down to Earth, pubblicazione con sede a New Delhi, prodotta dall’istituto di ricerca indiano Centre for Science and Environment, secondo cui proteste si sono tenute nelle principali riserve delle tigri a Nagarhole, verso la punta meridionale del Kerala, passando per le riserve centro-orientali di Udanti-Sitanadi, Rajaji e Indravati, fino a quella di Kaziranga, nello stato dell’Assam nell’estremo nord-est.
La testata evidenzia come solitamente valga l’equazione secondo cui si tende ad affidare la cura dei territori individuati come santuari per la biodiversità proprio alle comunità autoctone, poiché il loro stile di vita nei secoli ha potuto naturalmente svilupparsi non solo in modo da non compromettere la vita di flora e fauna, ma anche di garantirne una maggiore preservazione. L’India, invece, rappresenterebbe un’eccezione: non è affatto raro che i nativi vengano scacciati: dal 1972 sarebbero state costrette ad abbandonare le proprie case 56.247 famiglie da 751 villaggi in una cinquantina di riserve destinate alla tutela delle tigri, un animale in via d’estinzione di cui oggi restano circa 3mila esemplari.
In totale, il felino più grande del pianeta, che può arrivare a pesare 300 chili per tre metri e mezzo di lunghezza, oggi gode di 75mila chilometri quadrati di foreste indiane, stando ai dati della National Tiger Conservation Authority (Ntca).
L’attivista adivasi JK Thimma, citato in una nota dall’ong per la tutela delle comunità native Survival, durante le proteste ha dichiarato: “La creazione di riserve della tigre nelle nostre terre è una violazione della legge perché noi non abbiamo dato il nostro consenso, né siamo stati consultati nel processo. Ora hanno messo dei cartelli sulle nostre terre dichiarandole parchi nazionali o riserve della tigre. Quelli della Ntca sono degli invasori“.
L’attivista ha quindi denunciato una politica “razzista” da parte delle istituzioni, che tratterebbe gli adivasi da “cittadini di serie B”, e ha inoltre chiesto azioni legali contro le ong per la difesa degli animali come Wwf, accusandole di sostenere tale politica.
Il Wwf da anni lavora per salvare varie specie animali dall’estinzione. Per quanto riguarda le tigri, l’organizzazione individua nell’uomo il principale nemico, denunciando la costruzione di trappole illegali, la commercializzazione delle pelli e di altre parti dell’animale, ma anche “attività antropiche come il disboscamento”, all’origine della perdita di territorio, che si sarebbe “ridotto del 95%”. Ciò provocherebbe anche scontri diretti coi residenti: “Se la tigre, come sta succedendo, perde il suo habitat, si avvicina inevitabilmente agli insediamenti umani, entrando così in conflitto con le comunità locali”.
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