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Sudan, l’attivista Ahmed (Darfur Association): “Riecco i ‘diavoli a cavallo'”

L'intervista dell'agenzia Dire si tiene dopo una serie di episodi di violenza che si sono verificati questo mese

Pubblicato:23-07-2020 16:35
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 19:40

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ROMA – I civili sono nel mirino delle milizie janjaweed, i cosiddetti “diavoli a cavallo”, e di incursori legati al Partito del Congresso nazionale dell’ex presidente Omar Al-Bashir: cosi’ all’agenzia Dire Aza Mohamed Ahmed, dirigente della Darfur Bar Association, ong impegnata per la pace e lo stato di diritto in questa regione del Sudan. L’intervista si tiene dopo una serie di episodi di violenza che si sono verificati questo mese.

Nella localita’ di Kutum, dove era in corso un sit-in per denunciare i raid di unita’ paramilitari e chiedere sicurezza, uomini armati non identificati hanno sparato sulla folla uccidendo almeno nove persone. In seguito, la settimana scorsa, in Darfur e’ stato introdotto lo stato di emergenza e poteri straordinari sono stati attribuiti a governo ed esercito.

“All’origine dellla decisione non ci sono solo conflitti tra comunita’ del posto – denuncia Ahmed – ma anche l’intervento dei janjaweed e di gruppi clandestini del Partito del Congresso nazionale, che spesso aggrediscono civili”.


L’accusa investe il Consiglio sovrano del Sudan, che ha assunto il potere a Khartoum nel 2019, dopo le manifestazioni popolari e il blitz dei militari che hanno costretto alle dimissioni dopo 30 anni il presidente Omar Hassan Al-Bashir. Un ruolo chiave nell’organismo e’ infatti ricoperto da Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemeti: questo generale-imprenditore, uno degli uomini piu’ ricchi del Paese, e’ a capo delle Forze di supporto rapido, nuova struttura di riferimento dei janjaweed. Secondo Ahmed, le milizie “sono coinvolte in diversi conflitti, si avvalgono di legami con il governo e sfruttano il loro status per commettere violenze”.

A preoccupare e’ anche il rinvio della firma di un accordo di pace tra l’esecutivo e il Fronte rivoluzionario del Sudan, un’alleanza di gruppi ribelli radicati in Darfur. “C’e’ molta ambiguita’” denuncia Ahmed: “Il posticipo e’ stato motivato con obiezioni poste alla Riforma del settore della sicurezza e con il tentativo del governo di non rispettare alcuni impegni”.

La tesi, condivisa dai colleghi della Darfur Bar Association, una delle reti professionali in prima fila durante le manifestazioni del 2019, e’ che ci siano troppe varianti e troppi attori, ben al di la’ delle contrapposizioni tra comunita’ nere africane e arabe. Un peso avrebbero anche gli “ex janjaweed” di Musa Hilal: governatore ora in carcere, colpito da sanzioni Onu per il ruolo al fianco di Al-Bashir, incriminato per crimini di guerra e genocidio dalla Corte penale internazionale in relazione al conflitto che in Darfur, con la fiammata del 2003, ha provocato almeno 300.000 morti.

L’ATTIVISTA AHMED: DUE DONNE GOVERNATRICI, MA NON BASTA

“Due su 18 non e’ abbastanza; continueremo a batterci per il diritto delle donne a fare politica e a ricoprire ruoli decisionali, come abbiamo fatto in questi mesi dopo aver guidato la rivoluzione”: cosi’ all’agenzia Dire Aza Mohamed Ahmed, della Darfur Bar Association, ong impegnata per la pace e lo stato di diritto in Sudan. Ieri il primo ministro Abdalla Hamdok ha comunicato le nomine dei governatori dei 18 Stati nei quali e’ suddiviso il Paese. In due casi sono state scelte donne e, pur trattandosi di una novita’ rispetto al passato, il capo del governo si e’ impegnato a “lavorare per una maggiore partecipazione femminile”.

L’inserimento nella lista dei 18 delle governatrici ha seguito mesi di campagna di sensibilizzazione che Ahmed e la sua Darfur Bar Association hanno coordinato insieme con altre ong, da Women Union a No to Suppression Against Women. “Nei mesi scorsi abbiamo creato un comitato congiunto” ricorda l’attivista.

“Oggi non chiediamo il riconoscimento solo di un diritto sancito dalla Costituzione ma anche dei grandi sforzi profusi dalle donne prima, dopo e durante la rivoluzione”. Il riferimento e’ al contributo di attiviste, anche molto giovani, come la studentessa-icona Alaa Salah, alle manifestazioni popolari culminate nell’aprile 2019 nella destituzione di Omar Al-Bashir, presidente-generale al potere da 30 anni.

Secondo Ahmed, la campagna andra’ avanti sia a Khartoum, la capitale, che in regioni periferiche come i Monti Nuba o il Darfur. Di recente, il governo di transizione del Sudan ha promosso l’abolizione di norme contestate che sarebbero state ispirate alle “sharia” o introdotto nuove sanzioni, in un’ottica di tutela, ad esempio contro la pratica delle mutilazioni genitali femminili.

“A incoraggiarci – sottolinea l’attivista – c’e’ tutta una serie di documenti, regionali e internazionali, che affermano il diritto delle donne alla partecipazione politica con nomine a piu’ livelli e ruoli di decision-making”.

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