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Scarpe e camminatori, la mostra approda a Bologna. Fino al 14 ottobre

Arriva a Bologna la mostra ideata da Antonio Gregolin, che racconta strade e cammini dell'anima attraverso le scarpe

Pubblicato:23-07-2018 15:58
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:24

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BOLOGNA – Si può camminare per avventura, per ammirare le bellezze della natura, per meditare e trovare se stessi ma anche per pregare e rafforzare la fede. In ogni caso, per camminare servono delle scarpe. E per capire il senso del camminare cosa c’è di meglio che ‘mettersi nelle scarpe dei pellegrini? Di chi, ognuno per i proprio motivi e in posti diversi, ha deciso di incamminarsi e percorrere lunghi tratti di strada sulle proprio gambe? E’ questo il senso della mostra ‘Camminamente‘, il progetto dell’artista vicentino Antonio Gregolin che due giorni fa è approdato a Bologna, in Santa Maria della Vita (via Clavature 10). L’esposizione resterà aperta fino al 14 ottobre. Prima che a Bologna, la mostra ha girato diverse città d’Italia tra cui PadovaAssisi (fino al settembre 2017), dove ha riscosso un grande successo.

La mostra, dove è possibile vedere decine di scarpe che non nascondono i segni della strada e del tempo, si basa su tre tipologie di camminatori: quelli della fede, della storia e dell’arte. E l’idea di mostrare le scarpe non ha nulla di feticistico. Il messaggio della mostra infatti è questo, come si legge sul sito: “Vedrete scarpe, ma ascolterete storie. Vivrete l’esperienza di mettersi nelle scarpe dei grandi camminatori per capire il senso stesso del loro e nostro camminare. Più che una mostra vuole essere un’esperienza viva”.

In esposizione ci sono anche le scarpe di grandi personaggi che le hanno donate per raccontare la loro storia. A partire da quelle di Roberto Ghidoni, bresciano di 66 anni, sportivo e pellegrino molto conosciuto. Lo chiamano ‘l’alce italiano‘, per la sua grande capacità di falcata (riesce a mantenere i sette chilometri orari e percorrere così 100 chilometri al giorno), e ha fatto dell’Alaska la sua terra di elezione. Ci è stato sei volte ed è stato conquistato da questa terra estrema. In mostra non ci saranno tutte le scarpe da lui usate, anche perchè due paia con cui ha compiuto queste imprese non ci sono più: Ghidoni ha scelto di bruciarle, come momento di ‘passaggio’ simbolico, per chiudere un ciclo e aprirne un altro. “Le ho bruciate  per dare un taglio netto al mio passato e non restarne prigioniero. L’Alaska mi ha insegnato che se ci leghiamo alle cose, queste t’imprigionano”, dice questo ‘missionario del cammino’.


Un altro paio di scarpe ‘mancanti’ è quello di Tom Perry, alias Antonio Peretti di Vicenza, conosciuto anche come “l’uomo che cammina scalzo“. Di lui, infatti, in mostra ci saranno le orme e non le scarpe, dal momento che quest’uomo è diventato famoso in tutto il mondo perchè scala le montagne e i vulcani a piedi nudi. Ha scalato montagne in tutti i continenti, dall’Himalaya al Sud America, dall’Africa al
Giappone, sempre senza scarpe. Nel 2008 è stato nominato personaggio National Geographic e ha ottenuto molti altri riconoscimenti nel mondo. E’ stato nominato ambasciatore della Natura dal centro Parchi Internazionali.

La mostra è aperta da martedì a domenica, dalle 8 alle 18:30. L’ingresso è libero.

(Le immagini sono tratte dal www.mostracamminamente.it)

Fotogallery dell’esposizione quando si trovava ad Assisi:






La testimonianza di Ghidoni:

SONO STATO LUPO, VENTO E GHIACCIO

E’ l’unico camminatore di quelli ospitati ad avere bruciato di proposito le proprie scarpe. Questione di pensiero e di principio che Roberto Ghidoni (nato a Brescia nel 1952) antepone alle sue sei imprese estreme. Un “missionario del cammino”, prima ancora che uno sportivo di fama internazionale. La sua filosofia anticipa la sua prestanza atletica, così come il suo pensiero sbaraglia la lunga lista di traguardi che ha raggiunto. “E’ l’Alaska ad avermi cercato. E non viceversa!” dichiara Ghidoni. Per i nativi dell’Alaska, lui resta “l’italian moose” alias l’alce italiano, per la sua prestazione fisica. Per un amico italiano è più semplicemente “il lupo che corre”. Animali totemici che riempiono l’immaginario di questo pensatore-atleta: “L’alce italiano” perchè i nativi vedevano che riuscivo a camminare per 100 km al giorno ad un ritmo non comune, che toccava i 7 km orari, grazie alla sua falcata dettata dalla mia altezza di quasi due metri, molto più simile ad un alce che ad un uomo comune. L’incontro con un lupo è invece un’azione sciamanica in cui m’identifico in termini di libertà”. Sei attraversate dell’Alaska con diverse varianti. Impresa al limite dell’umano, come è definita la Iditasport Extreme, ma per Ghidoni si è trattato di una “attrazione fatale per l’infinito di quegli spazi” . “Se da noi è il nostro pensiero a condizionare l’ambiente, in Alaska è il contrario. Così se i raggi del sole possono nutrire le ali di una farfalla, l’esperienza tra i ghiacci (fino a -48°) ha nutrito la mia anima di esploratore. Si cammina fuori e dentro. Più di un cammino fisico, è un’esplorazione dell’anima. Un arrivare all’Archè (al principio) delle cose e della vita”. “Camminatori poi si nasce” è convinto Ghidoni, rammentando la passione fin da bambino per il movimento a piedi”. C’è poi il suo rapporto viscerale con la natura che riserva qui una sorpresa: “Ho pianto molte volte in Alaska nel vedere la violenza della natura. Lì capisci che lei non è salvifica per noi. Ho battezzato l’Alaska la “signora indomabile”. Un ambiente estremo, dove il mio o nostro pensiero non condiziona il sistema ecologico, e l’ho conquistata solo quando mi sono sentito vento, tempesta, neve… Non ero più un intruso umano, ma un elemento tra gli elementi. Così dalla sopraffazione iniziale degli elementi, sono arrivato ad una consapevolezza catartica nel comprendere che il mio più grande fardello per strada non era la slitta che trainavo, ma il carico di pensieri e riflessioni che mi portavo dentro. Compreso ciò, hai in pugno la regola dell’esistenza: il rispetto più totale per l’altrove e l’altro”. “Un viaggio finisce solo quando non si hanno sogni da inseguire. Sono trascorsi ormai dieci anni da quei giorni, ma non passa giorno che il mio pensiero non torni all’Alaska. Ma anche questo alla fine t’imprigiona. Ecco perché nel tentativo quotidiano di ritrovare la mia libertà, quattro anni dopo l’ultima Iditasport, guardando con nostalgia le mie scarpe e le migliaia di passi che portavano dentro, ho risentito il richiamo delle origini. Quel senso di leggerezza e distacco verso le cose che ti porta, da spirito libero, nel mondo dei grandi spazi”.

Lui le scarpe dell’impresa ne ha bruciate intenzionalmente due paia: “Quelle con le quali ho partecipato alle prime due maratone da 560 Km. e alla prima da 1800 Km in Alaska Poi un paio di scarpe rosse, usate per una 1265 km, una 560 Km e l’ultima da 1800”. Queste sono quelle che ho calzato (e non ho bruciato) usate nei circa 36mila km percorsi durante i sei anni di allenamento di preparazione per l’Alaska (4 paia consumate solo per gli allenamenti, e  due paia (quelle poi bruciate) per gli oltre 6mila km). “Mi è servito compiere il gesto di bruciare le scarpe, per dare un taglio netto al mio passato e non restarne prigioniero. L’Alaska mi ha insegnato che se ci leghiamo alle cose, queste t’imprigionano. Plotino diceva: “Abbandonare un luogo è il modo migliore di tenerlo puro nel cuore” e questo valeva anche per le mie scarpe.

La testimonianza di Tom Perry:

SENZA SCARPE VERSO L’INNOCENZA

E’ conosciuto come “L’uomo che cammina scalzo”, Tom Perry, alias Antonio Peretti di Vicenza. “Ho iniziato a discendere le montagne a piedi nudi quasi per scommessa con alcuni miei amici, e da lì in poi una serie di vicissitudini mi hanno portato ad approfondire questa inconsueta pratica per una persona nata e cresciuta in provincia di Vicenza tra gli anni ’90 e 2000”.“Non so se definirla la mia filosofia – continua Tom Perry – , quella che mi porta a percorrere senza scarpe e a piedi nudi le strade del mondo, con i suoi ambienti (deserti, montagne, vulcani e foreste). Ma per me ha l’effetto e il significato di tornare indietro nel tempo, riscoprendo i valori della mia fanciullezza, dove la fantasia e il sogno scandivano i giorni e le quotidiane scoperte”.

L’uomo a piedi nudi poi aggiunge: “Semplici ricordi che partorisco emozioni che bastano per ritrovare questo contatto con la Terra: quella interiore ed esteriore. Un esercizio, quello di togliersi anche le scarpe, che stimola lo spirito e libera il corpo dalle convenzioni e condizioni. Questo contatto è per me vitale e indissolubile, specialmente oggi dove tutto viene consumato e sublimato in poco tempo. Per questo, l’umanità deve fare un passo indietro e fermarsi prima di realizzare la propria autodistruzione a livello morale, sociale ed ambientale”.

“Ad un certo punto però, dopo aver disceso montagne e vulcani in ogni angolo del mondo, mi sono reso conto che le mie imprese da uomo che cammina scalzo non avrebbe più avuto senso senza uno scopo legato al bene dell’umanità”. Eccolo quindi oggi, oltrepassati i cinquant’anni, impegnato a portare avanti un messaggio di sensibilizzazione verso il nostro pianeta. Cercando, incontrando e promuovendo l’essenziale, Tom Perry vuole quindi ritrovare il bambino che è stato: “Un gesto per afferrare l’innocenza che perdiamo in questo meraviglioso gioco che è la vita, dove la strada resta maestra. Sempre, comunque e dovunque”.

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