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La guerra in Ucraina è già costata oltre 90 miliardi di dollari solo per l’aumento del prezzo del grano

I dati del bilancio tracciato dalla Coldiretti. Il +36% del costo del grano ha avuto ripercussioni su tutti i prodotti alimentari

Pubblicato:23-05-2022 11:12
Ultimo aggiornamento:23-05-2022 11:30
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ROMA – “A tre mesi dall’inizio la guerra è già costata oltre 90 miliardi di dollari a livello globale solo per l’aumento dei prezzi del grano che sono balzati del 36% ma effetti a cascata si sono fatti sentire su tutti i prodotti alimentari”. E’ quanto emerge dal bilancio tracciato dalla Coldiretti sull’impatto dell’aumento delle quotazioni su valore della produzione mondiale al Chicago Board of Trade, in occasione dell’apertura di Davos, il World Economic Forum con il presidente ucraino Zelensky.

LA SPECULAZIONE SULLA FAME

“Le quotazioni del grano oscillano attorno ai 12 dollari per bushel (27,2 chili) determinando una situazione che nei paesi ricchi– sottolinea la Coldiretti- ha generato inflazione ma in quelli poveri provoca carestia e rischi di rivolte con ben 53 Paesi a rischio alimentare secondo l’Onu”. A guadagnare è stata invece “la speculazione sulla fame che si sposta dai mercati finanziari in difficoltà ai metalli preziosi come l’oro fino ai prodotti agricoli dove le quotazioni dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie di mercato che trovano nei contratti derivati ‘future’ uno strumento su cui chiunque può investire acquistando e vendendo solo virtualmente il prodotto”.

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A RISCHIO GLI EQUILIBRI GEOPOLITICI MONDIALI

La produzione mondiale di cereali secondo l’International Grains Council (IGC), riferisce la Coldiretti, “è stimata nel 2022-23 pari a 2.251 milioni di tonnellate, giu’ di appena il 2% rispetto allo scorso anno, per il calo di mais, grano e sorgo, ma comunque è la seconda più ricca di sempre”. Per quanto riguarda il grano la produzione mondiale per il 2022/23 è in calo a 769 milioni, per effetto anche della riduzione negli Stati Uniti (46,8 milioni), in India (105 milioni) e Ucraina dove il raccolto è stimato pari a 19,4 milioni di tonnellate, circa il 40% in meno rispetto ai 33 milioni di tonnellate previsti per questa stagione mentre in controtendenza sale il raccolto in Russia. Una situazione “che rischia di sconvolgere gli equilibri geopolitici mondiali con Paesi come Egitto, Turchia, Bangladesh e Iran che acquistano più del 60% del proprio grano da Russia e Ucraina ma anche Libano, Tunisia Yemen, e Libia e Pakistan sono fortemente dipendenti dalle forniture dei due Paesi”.

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LA SITUAZIONE ITALIANA

Per l’Unione Europea nel suo insieme “il livello di autosufficienza delle produzione comunitaria varia dall’ 82% per il grano duro destinato alla pasta al 93% per i mais destinato all’alimentazione animale fino al 142% per quello tenero destinato alla panificazione”, secondo l’analisi della Coldiretti sull’ultimo outlook della Commissione Europea che evidenzia l’importanza di investire sull’agricoltura per ridurre la dipendenza dall’estero e non sottostare ai ricatti alimentari. L’emergenza mondiale che riguarda direttamente l’Italia che è un Paese deficitario ed importa addirittura il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 53% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame, secondo l’analisi della Coldiretti.

L’Italia è costretta ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che hanno dovuto ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati”, afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini, che rifiorda “l’importanza di intervenire per contenere il caro energia ed i costi di produzione con misure immediate per salvare aziende e stalle e strutturali per programmare il futuro. Occorre lavorare da subito per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali”.

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