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VIDEO | Coronavirus, nell’ex villa dei boss le donne in uscita dai percorsi di violenza cuciono mascherine

Il progetto combatte coronavirus, violenza di genere e mafie: si svolge a Casal di Principe, nella villa confiscata al clan Schiavone

Pubblicato:23-04-2020 12:03
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:11

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ROMA – Via Bologna, a Casal di Principe, la conoscono tutti: è la strada del clan Schiavone. O forse sarebbe meglio dire ‘era’, perché ormai, nel paese del casertano dove per anni ha imperato il potere criminale dei casalesi, sono tanti i beni confiscati e rifunzionalizzati per scopi sociali.

BATTAGLIE SILENZIOSE AL CIVICO 16 

Anche al civico 16, in una villa di tre piani confiscata alla famiglia di Sandokan, dalla scorsa settimana quattro donne in uscita da percorsi di violenza conducono una battaglia silenziosa, producendo mascherine, grazie all’aiuto di una giovane sarta esperta.


La battaglia contro il coronavirus, certo, ma anche contro la violenza di genere che le ha costrette per anni a nascondersi in casa rifugio, e contro le mafie, spesso al Sud tra i principali nemici, anche delle donne maltrattate.

Il progetto nasce grazie alla caparbia volontà delle operatrici della Cooperativa sociale Eva, che in Campania gestisce cinque centri antiviolenza e tre case rifugio, tra cui Casa Lorena, Casa delle donne contro la violenza.

Di fronte all’emergenza sanitaria da Covid-19 non si sono tirate indietro e, con un piccolo budget di donazioni, hanno deciso di convertire ‘Seta e moda’, progetto finalizzato alla produzione di pregiati copricapo e foulard in seta destinati alle donne ammalate di cancro al seno, in ‘Mascherine contro la violenza’, grazie al quale la rete dei 253 centri antiviolenza (cav) mappati dall’Istat in Italia sarà rifornita gratuitamente di dispositivi di protezione imprescindibili per la quotidianità di servizi che non si sono mai fermati.

Un’iniziativa che ha ricevuto il plauso della ministra per le Pari Opportunità, Elena Bonetti, e sarà possibile portare a termine solo attraverso le donazioni di aziende, reti e singoli cittadini che parteciperanno alla raccolta fondi lanciata proprio oggi dalle associazioni promotrici con una campagna di comunicazione.











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DA ‘SETA E MODA’ A ‘MASCHERINE CONTRO LA VIOLENZA’

Oltre a ‘Le Ghiottonerie di Casa Lorena’ – laboratorio di catering, produzione di confetture e pasticceria allestito in un bene confiscato alla camorra dove lavorano altre donne in uscita dalla violenza sostenute dalla Coop Eva – “avevamo già in corso d’opera una nuova progettualità in un altro bene confiscato”, spiega all’agenzia di stampa Dire Lella Palladino, sociologa e attivista della Cooperativa Eva, già presidente della rete D.i.Re di cui la coop campana fa parte.

“Un progetto – continua – finanziato dalla Regione Campania nell’ambito dei fondi europei per la buona gestione dei beni confiscati, realizzato in rete con un partenariato importante”, composto anche “da un’associazione di donne ammalate di cancro al seno. Era una progettualità orientata alla valorizzazione della soggettività e della forza delle donne, sia in uscita dalla violenza che in uscita dalla malattia – sottolinea Palladino – e andava a posizionarsi nella fascia di mercato dell’extra lusso, dei grandi marchi”.

Ma questo “avveniva in un altro mondo, prima dell’emergenza sanitaria – osserva la sociologa – Ci siamo, quindi, chieste come questo progetto lo avremmo potuto mai realizzare dovendo fare lo startup e il lancio in questa fase e immediatamente abbiamo reagito riconvertendo tutto in produzione di mascherine”. E la scommessa è stata vinta proprio grazie all’entusiasmo dei partner: associazione CO2 Crisis Opportunity Onlus, associazione daSud, consorzio Agrorinasce e Rete San Leucio Textile, che “ci ha dato l’opportunità di entrare nella sua rete di partenariato”, in cui c’è anche un’impresa tessile “che produce materiali per abbigliamento sportivo in tessuto idrorepellente certificato, in grado di trattenere le goccioline di saliva in entrata e in uscita”.

MASCHERINE DI QUALITÀ, ‘ALTRUISTE’ E ‘EGOISTE’

Mascherine semplici, di colore azzurro, allo stesso tempo ‘altruiste’ ed ‘egoiste’, perché proteggono chi la indossa e l’altro, che possono essere riutilizzate fino a dieci volte dopo una sanificazione “a 40 gradi in amuchina”. Ben 500 quelle prodotte in un solo giorno, il 16 di aprile. “Un piccolo miracolo – lo definisce Palladino – per donne che sono partite da una settimana riciclando competenze, con qualcuna che sapeva cucire e qualcuna no”, nell’ottica di una produzione che vuole essere di eccellenza.

Le seterie di San Leucio, per la loro lunga storia di produzione, tengono moltissimo alla qualità – ricorda la sociologa – quindi anche le mascherine per loro vanno fatte perfettamente”. E il know how che ha dato il via alla produzione è arrivato proprio dai maestri casertani della pregiata fibra naturale ottenuta dai bachi, che hanno insegnato alle donne come cucire le mascherine.

DALLE CASE RIFUGIO AL LABORATORIO SARTORIALE

Le novelle sarte “hanno un’età variabile, dai 25 ai 60 anni- racconta Palladino-. Ad eccezione della sarta esperta, sono tutte uscite dalle nostre case rifugio, tutte sono passate in un lungo percorso di ristrutturazione e empowerment. E adesso vivono da sole, sono autonome, ma hanno bisogno del nostro, anzi, del loro lavoro”.

C’è chi taglia la stoffa, chi la stira e fa le pieghe, chi le rifinisce e mette l’elastico, chi taglia i fili, otto ore per quattro giorni a settimana. Una routine che potrebbe essere rivista “perché abbiamo ordinato una macchina per velocizzare il lavoro e, quindi, abbatteremo i tempi, accorciando la giornata”, anche per andare incontro alle esigenze delle donne. Tre di loro, infatti, “hanno bambini in affido esclusivo, quindi il problema è sempre lo stesso: la conciliazione dei tempi, considerando anche che tutti i servizi educativi sono sospesi”.

PRODURRE SOSTENIBILE VERSO LA RICONVERSIONE

Quando la campagna di raccolta fondi – che andrà a coprire principalmente i costi di spedizione ai cav di tutta Italia – sarà terminata “tenderemo alla sostenibilità – fa sapere l’ex presidente di D.i.Re – Ma il prezzo di questo prodotto tende a stare sotto l’euro e si pone il problema di coprire il costo del lavoro, che è inabbattibile secondo il contratto collettivo nazionale che noi applichiamo. Per questo – continua – utilizzeremo le risorse del Por Campania e, fintanto che sarà possibile, le donazioni che arriveranno”.

E se l’obiettivo principale è e resterà il sostegno delle donne in uscita dalla violenza, per il futuro il progetto “evolverà come avevamo previsto” e ci sarà “la riconversione da mascherine a foulard, sempre in un’ottica della sostenibilità d’impresa” riassunta nel motto della Coop Eva ‘E’ un’impresa dire NO alla violenza’.

SIMBOLO DI LOTTA A VIOLENZA MASCHILE, MAFIE E VIRUS

‘Mascherine contro la violenza’, conclude Palladino, “è simbolicamente la possibilità di contrastare contestualmente la violenza maschile contro le donne, che è sempre la nostra priorità, le mafie, che è fondamentale e parallela, e la terza temporanea, che è il virus. In questo circolo virtuoso, speriamo di generare qualcosa di simbolicamente significativo da un punto di vista politico, ma anche una risposta immediata pratica ad una serie di bisogni che la crisi ha rivelato ma che esistevano già prima”.

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