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Terrorismo, parla la psicologa: “Siamo tutti vittime”

"La paura, il terrore, l'ansia, l'angoscia viaggiano su telefonini, pc e tv"

Pubblicato:23-03-2016 10:49
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 22:26

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attentato bruxellesROMA – “Non sono vittime del terrorismo solo le persone che lo hanno vissuto direttamente. Lo siamo tutti a cascata anche a centinaia di chilometri di distanza. La paura, il terrore, l’ansia, l’angoscia viaggiano su telefonini, pc e tv”. Così la psicoterapeuta Paola Vinciguerra, presidente Eurodap (Associazione Europea Disturbi da Attacchi di Panico) e autrice del libro sul terrorismo in uscita a maggio scritto con Eleonora Iacobelli (Minerva Edizioni).

“Le vittime degli attentati terroristici, generalmente- prosegue- possono essere divise in tre categorie: primarie, vale a dire i soggetti interessati direttamente e in modo fisico dall’evento; secondarie, cioè i familiari e le persone vicine ai soggetti direttamente interessati; di riflesso, cioè coloro che sono coinvolti attivamente nei soccorsi e infine gli spettatori mediatici”. L’impatto emotivo di ogni trauma, spiega la psicoterapeuta, è “strettamente soggettivo e dipendente da numerosi fattori, come le caratteristiche della personalità, la capacità di resilienza, la funzionalità emotiva e cognitiva. Il trauma psicologico subito dalle vittime produce una reazione a livello fisico e a livello emotivo molto complessa e non sempre elaborabile normalmente dal nostro cervello. Quando questo processo automatico si blocca, vengono a formarsi delle reti neuronali disfunzionali che ostacolano un efficiente meccanismo di elaborazione e quindi di benessere psico-fisico. Le persone che subiscono direttamente un trauma provano la costante sensazione che possa succedere di nuovo qualcosa di brutto. Questi soggetti rivivono continuamente l’evento traumatico e hanno flash-back, ricordi o pensieri intrusivi. Tutto ciò comporta uno stato di allerta che non si assopisce mai e che implica una grandissima difficoltà nel riprendere la routine quotidiana”.

Le vittime secondarie, invece, pur “non essendo state direttamente coinvolte nell’evento traumatico- prosegue ancora Vinciguerra- lo vivono in maniera indiretta attraverso ciò che è accaduto ai propri familiari. Ciò può creare in loro un costante stato di tensione e ansia. Potrebbero sviluppare diverse fobie e riversare questo stato di agitazione permanente anche sulla vittima primaria aumentando ancora di più il suo disagio. Poi ci sono i soccorritori, tutti coloro che svolgono un mestiere che potrebbe esporli a un trauma, come per esempio pompieri e forze dell’ordine, vengono spinti a prendere delle precauzioni in genere sufficienti a prevenire il disturbo. La Protezione Civile italiana dà alcune indicazioni rivolte ai soccorritori”. Spiega la presidente Eurodap: “Gli spettatori mediatici siamo tutti noi. Il guardare le scene di attacchi avvenuti, che vengono ripetutamente passate in tv, non fa altro che aumentare il nostro stato di allarme e incidere sulla nostra qualità di vita. Ciò fa aumentare dentro di noi lo stato di allarme e ci porta a mettere in atto comportamenti di evitamento con l’illusione di proteggerci”.


Un discorso a parte, invece, va fatto per i bambini: “I bambini spesso si lasciano influenzare da ciò che viene detto loro o che sentono dai mass media- dice Vinciguerra- e ciò può generare confusione e paura. Per fronteggiare queste emozioni è di fondamentale importanza che gli adulti riescano a trasmettere ai bambini gli strumenti necessari per decodificarle, esprimerle e fronteggiarle. È, inoltre, di fondamentale importanza tutelarli da immagini e contenuti eccessivamente aggressivi o violenti. I genitori hanno il compito di spiegarle e semplificarle, in modo che siano facilmente comprensibili. Spesso i programmi televisivi e i telegiornali possono suscitare paura nei ragazzi, ma ancor di più nei bambini. Questi, infatti, potrebbero sperimentare un senso di angoscia, ansia e preoccupazione come conseguenza della visione di scene particolarmente crude”. In questi casi è consigliabile che i genitori svolgano la funzione “di ‘filtro‘- consiglia l’esperta- onde evitare eventuali ripercussioni psicologiche, ricordando che la tutela è un impegno quotidiano. È dunque necessario che siano sempre presenti per monitorare i programmi tv che guardano i loro figli, per mettersi accanto a loro e parlare insieme dei nuovi temi di attualità, porsi come figure di riferimento sia dal punto di vista cognitivo sia dal punto di vista emozionale. In questo modo ci si offre come guida per aiutare i bambini a decodificare le immagini e i contenuti trasmessi, ma anche le loro stesse emozioni che devono essere comprese e contenute- conclude- ma soprattutto condivise”.

di Carlotta Di Santo, giornalista professionista

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