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‘Alberto Braglia, l’atleta del re’: la vita avventurosa in un libro

Intervista a Stefano Ferrari, giornalista modenese con una lunga esperienza come cronista sportivo

Pubblicato:23-01-2021 19:12
Ultimo aggiornamento:23-01-2021 19:14

stefano ferrari
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BOLOGNA – E’ stato il più grande ginnasta italiano, il primo portabandiera della delegazione italiana alle Olimpiadi, ha vinto l’oro in due diverse edizioni come atleta e poi perfino come allenatore. Ha vissuto tante vite, una più poetica e incredibile dell’altra, è scomparso in silenzio e riapparso in modo eclatante ogni volta. Eppure di Alberto Braglia si sa solo, spesso, che a lui è intitolato lo stadio di Modena. Ci voleva il libro di Stefano Ferrari (giornalista modenese con una lunga esperienza come cronista sportivo) ‘Alberto Braglia l’atleta del re’ (Minerva edizioni) per conoscere non solo un protagonista eccezionale dello sport, ma anche un uomo con una storia che non ha bisogno di essere romanzata. 

La prima domanda è la più classica di tutte: come ti è venuto in mente di scrivere un libro su Braglia?

copertina libro alberto braglia

La risposta invece non è scontata nel senso che per 20 anni ho fatto il cronista sportivo e seguivo le partite delle squadre modenesi sia in casa che in trasferta. E molto spesso, più di quanto si possa immaginare, capitava che i colleghi di Avellino, Catanzaro o di Cagliari, dicessero: ah sì, Braglia, il vostro stadio, quel calciatore con record di presenze… Invece no, è un ginnasta, un ginnasta anche famoso che ha vinto un sacco di medaglie d’oro, ha avuto una vita particolare. Quindi questo libro è stato un modo per rispondere anche a un’esigenza fisica, per far capire chi fosse. Dopodiché mi sono avvicinato negli anni a questo personaggio assolutamente unico nel suo genere e quando pian piano venivo a sapere sempre più cose di lui le mettevo in un ideale cassetto. Quest’estate ho avuto modo di parlare con Roberto Mugavero (direttore editoriale di Minerva, ndr) di un progetto e gli ho detto che avevo anche un’altra storia. Quando gliene ho parlato lui non sapeva chi fosse Braglia e ha fatto una specie di test: ha telefonato a tre giornalisti sportivi di Rai e Mediaset per dirgli che stava per pubblicare un libro su di lui. Tutti si sono mostrati entusiasti e sapevano chi fosse; a quel punto si è convinto, ho scritto il libro, gli è piaciuto e l’ha pubblicato.


Il titolo è ‘Ginnasta del re’, ma in realtà di re lui ne ha incontrati più d’uno.

Vero, ma il titolo è dovuto a un episodio significativo. Braglia nasce povero, molto povero. E’ balbuziente, parla solo in dialetto. Lavora come garzone e quando comincia ad allenarsi costruisce la sua ‘palestra’ nel fienile. Una palestra artigianale dove per esempio il cavallo non ha le maniglie ed è così che svilupperà una forza incredibile nelle sue dita. Succede che Braglia vince due argenti alle Olimpiadi (non riconosciute dal Cio) di Atene del 1906. Torna in patria da eroe e viene convocato da Vittorio Emanuele III che gli dice di chiedere qualsiasi cosa e lui, il re, lo accontenterà. E cosa chiede Braglia? Un posto da operaio alla Manifattura Tabacchi di Modena. Un episodio che dice molto dell’uomo e di come era la vita cent’anni fa. 

Per scrivere il libro hai fatto un enorme lavoro storico, raccontando anche aneddoti delle Olimpiadi di inizio Novecento. Incredibile quello di Shizo Kanakuri.

Lui è un maratoneta giapponese che partecipa alle Olimpiadi di Stoccolma del 1912. Ma non arriverà mai al traguardo, scompare letteralmente. E si pensa che sia morto, magari suicida per il disonore di non aver completato la gara. Solo dopo tanti anni viene rintracciato in Giappone dove fa l’insegnante e racconta che a metà gara, stremato per il caldo, si è fermato a una festicciola nel giardino di una villetta, e poi si è addormentato su un divano risvegliandosi solo la sera. Sopraffatto dalla vergogna è tornato in patria per conto suo facendo perdere le sue tracce. Ma a me la storia che ha divertito di più è quella di Romeo Neri (altro ginnasta a cui è stato intitolato lo stadio di Rimini) che sarebbe potuto diventare il primo Tarzan della storia del cinema. Gli offrirono il ruolo, ma lui rifiutò: io faccio il bagnino a Rimini, non esiste che vada a Los Angeles, disse. Per raccontare le Olimpiadi mi sono documentato con gli annali del Coni. Le Olimpiadi prima del 1908 erano un po’ una baracconata, c’erano competizioni come l’arrampicata sulla fune o la lotta nel fango. Solo con l’edizione di Londra sono diventate una cosa seria. Per quanto riguarda Braglia ci sono piccolissimi opuscoli pubblicati negli anni ’60 e ’70 da editori di Modena e li ho recuperati. Le ricerche sono state molto minuziose, ho recuperato anche le prime pagine del Carlino di Modena e della Gazzetta dell’Emilia di quegli anni. Per il resto ho voluto rendere omaggio a Braglia, al suo essere un piccolo grande eroe in linea con il motto di Modena, ‘Avia pervia’: l’irragiungibile diventa raggiungibile.  

Braglia conosce anche la depressione 

E’ una fase che segnerà la sua vita. Entra in depressione perché muore il figlioletto, perde il lavoro, e con la moglie non sembra avere un legame profondo. Di lei non si sa niente, neanche come era fatta. Insomma, non esce di casa per mesi fino a quando non lo vengono a cercare dei saltimbanchi per offrirgli una parte in uno spettacolo. Ed è così che comincia una nuova fase della sua vita, si esibisce facendo il pienone nei teatri. Era capace di cose impensabili per l’epoca, era uno che riusciva a fare la verticale su un dito. Capisce anche che così può fare molti soldi, impresa che con la ginnastica non gli può riuscire. E di soldi ne farà tanti, andando anche negli Stati Uniti per quattro anni. Ma perderà tutto. 

Arriva la Seconda Guerra Mondiale. Braglia, come tanti, sfolla in campagna e se ne perdono le tracce. Tutti si convincono che sia morto. Fino a quando…

Fino a quando Mario Morselli, giornalista modenese che lavora alla Gazzetta dello Sport, non lo riconosce tra le tante persone che chiedono l’elemosina sotto i portici del centro di Modena. Così esce con un articolo in prima pagina sulla Gazzetta,  ‘Abbiamo trovato Braglia’, e questo innesca un meccanismo per cui l’ormai ex atleta ottiene un vitalizio dal Comune e un posto come custode alla palestra del Panaro dove lui si era allenato e che nel frattempo gli era stata intitolata. Palestra che diventerà anche la sua ultima casa. E’ da qui che comincia il libro e dal rapporto di Alberto con il giovane atleta Luigi, che in realtà è un personaggio totalmente inventato. Ma questo è un libro che nasce bene. Perché Mugavero ha l’archivio di Walter Breveglieri, il più grande fotografo del Carlino degli anni ’50 agli anni ’70. Quando Breveglieri viene a sapere che Braglia lavora nella palestra che porta il suo nome, lo va a trovare e fa alcuni scatti. In uno di questi c’è Braglia al fianco di un ragazzo che si allena sul cavallo. Ecco, mi ha detto Mugavero, ho trovato il tuo Luigi.  

Foto di Walter Breveglieri

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