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Italia-Libia, la “lotteria della vergogna”

*Umberto De Giovannangeli per www.ytali.com L’Italia, paese dei paradossi. A volte grotteschi, altre volte tragici. A

Pubblicato:22-11-2017 17:15
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:55

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*Umberto De Giovannangeli per www.ytali.com

L’Italia, paese dei paradossi. A volte grotteschi, altre volte tragici. A quest’ultima categoria appartiene questa storia. Il sistema di accoglienza italiano lascia decidere “al caso” il destino di migliaia di persone in fuga arrivate nel nostro paese: la circostanziata denuncia è contenuta nel nuovo report di Oxfam dal titolo, che è tutto un programma, “La lotteria Italia dell’accoglienza”.
Un dato, anzitutto: otto migranti su dieci sono accolti in “emergenza” in settemila strutture di accoglienza straordinaria, che spesso non offrono servizi adeguati per l’inserimento. Il rapporto di Oxfam mette in luce tutti gli elementi di debolezza e irrazionalità del sistema italiano, in cui i flussi migratori sono ancora gestiti con logiche emergenziali. Il destino di migliaia di persone in disastrate condizioni psicologiche e fisiche è deciso in modo arbitrario.

Un esempio: i richiedenti asilo che arrivano nel nostro paese sono vittime di processi di identificazione sommari, di una burocrazia inefficiente che li destina a casaccio in un centro o in un altro, in una città o nell’altra, semplicemente sulla base della disponibilità momentanea di posti letto.


E ancora, non si tiene conto delle storie personali di ciascuno: si può finire in centri dove sono ammassate migliaia di persone o in strutture dove civilmente si è inseriti in programmi di integrazione e avviamento al lavoro. Non basta: resta alto il rischio che si separino nuclei familiari, si neghi di fatto il diritto di richiedere asilo o che, nell’arrembaggio dell’emergenza infinita, si generino condizioni di vita impossibili, tensioni sociali e tempi di attesa lunghissimi.

In Italia vengono accolti tre richiedenti asilo ogni mille abitanti. Un numero, sottolineano i curatori del report, che non giustifica l’allarme “invasione” evocato a ogni nuovo sbarco, soprattutto se si considera che il rapporto in Germania è di otto a mille. Eppure nel nostro paese vige una gestione sostanzialmente emergenziale, che moltiplica i centri di accoglienza straordinaria (Cas) a detrimento del sistema ordinario rappresentato dagli Sprar, con un affidamento ormai totalmente casuale dei richiedenti asilo all’uno o all’altro. A marzo di quest’anno le persone arrivate via mare o via terra nel nostro paese, e successivamente inserite nel sistema di accoglienza, erano 174.356. Un numero che rappresenta il 3,5 per cento della popolazione straniera in Italia e lo 0,29 per cento dell’intera popolazione.
Ma 136.477 migranti, pari al settantotto per cento del totale, vivono nei settemila Cas (grandi alberghi, ex caserme, appartamenti, luoghi spesso isolati), sparsi in tutta Italia con livelli e qualità di accoglienza fortemente disomogenei; 13.302 nei Cara e 895 posti in centri hotspot.

Solo 23.682 persone invece sono affidate agli Sprar, che fuori da logiche emergenziali garantiscono – in coordinamento con gli enti locali – un processo di accompagnamento e integrazione con corsi di italiano, inserimento nelle scuole, formazione professionale e orientamento al lavoro. Il nostro Paese infatti è tra quelli UE che riconoscono di meno il diritto alle diverse tipologie di protezione o di permesso per motivi umanitari offerte ai richiedenti asilo. E qui scatta la “lotteria”.

Non tutti i luoghi dove chiedere asilo sono uguali, rileva Oxfam: chi presenta domanda di asilo in Italia e viene trasferito a Caltanissetta, ad esempio, ottiene nel 64 per cento dei casi una decisione positiva, mentre chi finisce a Siracusa solo nel 35 per cento.
Inefficienze e disparità, che si riflettono anche sui tempi necessari a ricevere una risposta sulla propria richiesta di asilo. Possono trascorrere, in media, quasi otto mesi tra la formalizzazione della richiesta e la data di audizione presso la commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale. Solo nel 12,7 per cento dei casi il colloquio avviene entro tre mesi.
Il risultato è che il processo di integrazione si rallenta paurosamente, soprattutto se i richiedenti asilo vengono sostanzialmente “abbandonati” a sé stessi, come avviene in alcuni casi.
Una testimonianza che dà conto di questa incredibile situazione:
Una volta arrivati al Cara di Mineo ci hanno messo tutti insieme in una stanza enorme, costringendoci a dormire in due su un materasso buttato per terra. Anche mangiare era una lotta, se al momento dei pasti non correvi subito, non trovavi più nulla.
A parlare è Moses Stevens, operatore umanitario in Sierra Leone, costretto a scappare in seguito alle minacce subite per aver denunciato l’orrore delle mutilazioni genitali femminili nel suo paese. Il lunghissimo viaggio attraverso Guinea, Burkina Faso, Mali, Niger lo ha portato in Libia, dove è rimasto intrappolato per quattro mesi senza un motivo.
Una volta sbarcato in Italia ha sperimentato tutti e tre i modelli del nostro sistema di accoglienza: il Cara di Mineo (Centro di accoglienza per richiedenti asilo); un Cas in Toscana (Centro di accoglienza straordinaria); e infine uno Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) a Pergine Valdarno (in Provincia di Arezzo) nell’ambito di un progetto di Oxfam Italia.

Dalla casualità si può uscire e Oxfam indica come. Si dovrebbe definire un sistema di accoglienza equo e uniforme adatto alla portata dei flussi migratori e ai bisogni delle persone, nella maggior parte dei casi vulnerabili, superando la dicotomia Cas/Sprar e adottando standard comuni e alti, che coniughino accoglienza (anche di breve/medio periodo) e integrazione; rivedere le strategie di governo dei flussi migratori, facilitando l’ingresso per lavoro, per ricongiungimento familiare, per studio e per richiesta di asilo; stabilire politiche che prevedano canali sicuri e regolari per l’ingresso in Italia e nella UE. Un elemento essenziale volto a ridurre i tentativi di ingresso spontaneo, spesso molto pericolosi, da parte dei migranti, inclusi i rifugiati.
Proposte che tengono insieme legalità, sicurezza, accoglienza e integrazione. Proposte concrete, praticabili. Se ci fosse la volontà politica di attuarle e porre così fine alla “lotteria della vergogna”. Ma la vergogna non si ferma qui.

“Orrori inimmaginabili” hanno sconvolto gli osservatori Onu quando hanno visitato a Tripoli quattro centri di detenzione per migranti gestiti dal Dipartimento per la lotta all’immigrazione illegale del ministero dell’interno libico. “La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un oltraggio alla coscienza dell’umanità”, ha denunciato l’Alto commissario Onu per i diritti umani, il giordano Zeid Raad Al Hussein.

La “situazione inaccettabile” nei campi libici è documentata anche in un reportage esclusivo di Cnn, realizzato dopo aver ricevuto un filmato che testimonierebbe una tratta di esseri umani in Libia in tutto paragonabile a quella degli schiavi. Nel video, oggetto della gara all’incanto sono due ragazzi, per i quali piovono offerte e rilanci: “ottocento dinari… novecento, mille e cento… venduti per milleduecento dinari (pari a ottocento dollari)”. Uno dei due giovani è presentato come “un ragazzone forte, adatto al lavoro nei campi”.
Ricevuto il filmato la Cnn è andata a verificare, registrando in un video shock la vendita di una dozzina di persone in pochi minuti. Al Hussein ha definito “disumana” la politica della Ue e dell’Italia di finanziare le autorità libiche, perché “rischia di condannare molti migranti a una prigionia arbitraria e senza limiti di tempo, esporli alla tortura, allo stupro, costringerli al lavoro, allo sfruttamento e al ricatto”. L’invito è a “non essere testimoni silenti della schiavitù moderna, di stupri e altre violenze sessuali, di uccisioni fuorilegge per evitare che persone disperate e traumatizzate raggiungano le coste dell’Europa”.La Commissione europea ha replicato ammettendo che “i centri di detenzione in Libia debbono essere chiusi” perché “la situazione è inaccettabile”. Ha aggiunto che “l’Ue sta proseguendo gli sforzi per sostenere la creazione di un processo standard da parte delle autorità libiche attraverso il quale i migranti, soccorsi dalla guardia costiera libica, siano sbarcati e portati in centri di accoglienza che corrispondano agli standard umanitari internazionali”.
Il commissario Ue per l’Immigrazione, il greco Dimitris Avramopoulos, ha condiviso “la necessità di migliorare urgentemente” le condizioni dei migranti in Libia e ha detto che “proteggere vite ed assicurare un trattamento umano e dignitoso a tutti lungo le rotte migratorie resta la nostra priorità condivisa, dell’Ue e dei suoi Stati membri, in particolare dell’Italia”.

Il governo italiano si è difeso tramite la Farnesina sostenendo che “sono mesi che chiediamo a tutti i player coinvolti di moltiplicare l’impegno e gli sforzi in Libia per assicurare condizioni accettabili e dignitose alle persone presenti nei centri di accoglienza”.Attualmente risultano essere trentacinque i controversi centri di raccolta per migranti in Libia, ma molti di questi campi sono fuori da un reale controllo dell’esecutivo del premier Fayez al-Sarraj, perché, appunto, sono in mano a milizie semi-indipendenti con cui, è implicito, sarà arduo trattare.
Le cifre, poco note anche ai più informati, sono contenute nel testo di un bando dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo che stanzia due milioni di euro per le ong proprio per migliorare le condizioni di vita in tre di questi centri.

Il dossier, sintetizzando un rapporto di quest’anno dell’Unocha, l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, conferma un quadro quasi apocalittico della situazione in Libia: sono circa un milione e trecentomila le persone, inclusi sfollati interni, “rientranti nei luoghi di origine”, migranti, rifugiati e richiedenti asilo, che “hanno bisogno di assistenza umanitaria”. I “migranti”, quelli dunque disperatamente decisi a raggiungere l’Europa e quindi a sbarcare in Italia, sono trecentonovantamila, si avverte nel bando. Questo è il quadro. Disperato, disperante. Libia, l’inferno in terra.

*da inviato speciale ha seguito per l’Unità gli eventi in Medio Oriente negli ultimi trent’anni. Collaboratore di Limes, è autore di diversi saggi, tra i quali “L’enigma Netanyahu”, “Hamas: pace o guerra”, “Al Qaeda e dintorni”, “L’89 arabo”, e “ Medio Oriente in fiamme”.

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