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Confcommercio: Milano in ginocchio, a fine anno chiude un’impresa su tre

Barbieri: inutili le misure della decretazione d'urgenza, colpo finale da 700.000 in smartworking | Di Lucio Valentini

Pubblicato:22-10-2020 15:59
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 20:06
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MILANO – “Da una nostra indagine del primo settembre, che oggi darebbe risultati peggiori, a Milano, che vale il 10% del Pil nazionale, su un campione trasversale di 1000 imprese una su tre ci ha detto che il 31 dicembre chiude”. Con questo allarme Marco Barbieri, segretario generale dell’Unione Confcommercio Milano, comincia la sua analisi durante l’evento ‘Fare Milano’.

“L’86% delle imprese milanesi- continua Barbieri- ci ha detto che i contributi a fondo perduto stanziati dai vari decreti rilancio, liquidità, salva Italia non sono serviti a nulla: se mi arrivano 2.000 euro dopo 4 mesi di chiusura me ne faccio poco”.

Il segretario di Confcommercio ha ricordato come oggi le difficoltà siano evidenti, ma ha detto che le scelte che sono state fatte hanno messo in ginocchio “il mondo delle imprese milanesi, che rispetto al 2019 oggi ha cali di fatturato tra il 50 e l’80%”. Non va molto meglio alle strutture ricettive: “il 30% degli alberghi sono chiusi, i restanti sono aperti al 30%”.


Barbieri poi spiega che “a Milano i settori che noi rappresentiamo si fondano su 4 pilastri”. Il primo è il turismo, che “dagli 11 milioni di turisti al 31 dicembre 2019, a fine 2020 ne conterà 5 milioni”. Poi le università, “che sono vuote, e quindi non ci sono i consumi degli studenti”.

Gli altri due pilastri nominati dal segretario di Confcommercio sono fiere e congressi, “per cui si è provato a fare qualcosa con Micam due settimane fa e con la fashion week, ma obiettivamente i numeri sono irrisori”, per finire con gli effetti dello smartworking e della cassa integrazione: “Oltre 700.000 lavoratori tra Milano e provincia oggi sono a casa o in smartworking. Dobbiamo sapere che per un’attività di tavola calda o fredda la pausa pranzo incide per il 20-25% del fatturato annuo”.

Un quadro drammatico, “sul quale bisogna mettere mano, se da un lato si vuole affrontare il problema sanitario e dall’altro non si vuole arrivare a una Milano e una Lombardia rase al suolo nel loro tessuto economico”.

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