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Le mani dei clan pugliesi sugli enti pubblici e la ‘ndrangheta leader nel traffico di droga: il report della Dia

Il periodo preso in considerazione ha coinciso con l'emergenza sanitaria che ha accentuato le conseguenze negative sul sistema sociale ed economico italiano

Pubblicato:22-09-2021 12:25
Ultimo aggiornamento:22-09-2021 16:13
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BARI – Nel report semestrale della Direzione investigativa antimafia che analizza lo stato della criminalità organizzata pugliese emerge “il trend di crescita dei delitti di associazione di tipo mafioso” che evidenziano “sia le tradizionali attività criminali del controllo del territorio, sia di quelle che denotano una vocazione affaristica e finalizzata al riciclaggio anche fuori regione come evidenziato, nel territorio dauno, dal recente insediamento della commissione di accesso nel Comune di Foggia che mostra gli intrecci tra politica e imprenditoria mafiosa con manifestazioni di corruttela nella gestione delle attività amministrative”. “Non è un caso che i decreti di scioglimento dei consigli comunali riguardino Comuni al centro delle zone geografiche di influenza dei maggiori gruppi criminali la cui caratura mafiosa è quasi notoria, oltreché attestata da sentenze passate in giudicato”, sottolinea Antonio Maruccia, procuratore generale della Corte di appello di Lecce, aggiungendo che “persiste l’atteggiamento di più candidati di rivolgersi agli esponenti della criminalità per avere l’appoggio elettorale”. Esempi sono i comuni salentini di Carmiano e Scorrano “sciolti per mafia” dopo le indagini della Dda di Lecce. 

GRUPPI FOGGIANI APPOGGIATI DALL’AREA “GRIGIA”

Nel secondo semestre dell’anno scorso, la società foggiana si sarebbe progressivamente espansa in “Emilia Romagna, Abruzzo e Molise” attraverso “il potenziamento del ruolo delle batterie” considerate “motore operativo dell’organizzazione mafiosa”. È quanto riporta la relazione della Dia che definisce le articolazioni mafiose foggiane: società foggiana, la mafia garganica e la malavita cerignolana. La sinergia tra i clan, “funzionale alla pianificazione e gestione delle attività illecite e alla condivisione degli interessi economico-criminali”, si tradurrebbe nella riproduzione di “canoni strutturali assimilabili a quelli della ‘ndrangheta con modalità di intervento particolarmente forti e insidiose al punto da realizzare ramificate commistioni con il tessuto connettivo sociale ed economico”. La mafia foggiana, secondo il report della Dia, riesce a rispondere alle azioni di contrasto messe in campo dallo Stato avvalendosi di “quell’area grigia costituita da imprenditori, professionisti e appartenenti alle istituzioni compiacenti o contigui ai clan”.

LA NDRANGHETA RESTA LEADER NEL MERCATO DELLA DROGA

La Dia ha preso in esame anche il fenomeno criminale calabrese dal quale è emerso che la ndrangheta si conferma come un’organizzazione unitaria, fortemente organizzata su base territoriale e saldamente strutturata su vincoli di parentela che da qualche tempo non rappresentano più un fattore di concreta impermeabilità, considerata la scelta di collaborare con la giustizia intrapresa da esponenti anche di elevato spessore.


Il periodo preso in considerazione dalla Dia ha coinciso con l’emergenza sanitaria Covid-19 che ha accentuato le conseguenze negative sul sistema sociale ed economico dell’Italia. Gli esiti delle più importanti inchieste sulla ndrangheta concluse nel semestre restituiscono l’immagine di una organizzazione criminale silente e più che mai tenace nella sua vocazione affaristico imprenditoriale, che conferma il controllo nei grandi traffici di droga. Gli effetti della crisi economica legata alle ripercussioni dell’emergenza sanitaria Covid hanno evidenziato, secondo l’analisi della Dia, inoltre, un modello collaudato e già emerso in recenti investigazioni: la criminalità organizzata calabrese continuerebbe nel tentativo di accreditarsi presso imprenditori in crisi di liquidità ponendosi quale interlocutore di prossimità, imponendo forme di sostegno finanziario e prospettando la salvaguardia della continuità aziendale, nel verosimile intento di subentrare negli asset proprietari e nelle governance aziendali al duplice scopo di riciclare le proprie disponibilità illecite. 

ORGANIZZAZIONE CRIMINALE CALABRESE ATTIVA AL NORD ITALIA CON 46 “LOCALI”

Gli esiti di diverse operazioni di contrasto alla ndrangheta hanno evidenziato come l’organizzazione criminale calabrese sia “perfettamente radicata e ben inserita nei centri nevralgici del mondo politico-imprenditoriale anche nei contesti extraregionali”. “Le più rilevanti inchieste degli ultimi anni – precisa la Dia – hanno consentito di elaborare, per quanto possibile, un organigramma strutturale dell’organizzazione fuori regione, principalmente nel Nord Italia. In totale, sono emersi 46 locali di ndrangheta, di cui 25 in Lombardia, 14 in Piemonte, 3 in Liguria, 1 in Veneto, 1 in Valle d’Aosta ed 1 in Trentino Alto Adige”.

IN SICILIA SALTO DI QUALITÀ DELLA STIDDA, IN CERCA DI INTESE CON COSA NOSTRA

In Sicilia a Cosa nostra “si affiancano altre consorterie di matrici mafiose e fortemente organizzate ma inclini a evitare contrapposizioni con le famiglie: tra queste un rilievo particolare è da attribuire alla stidda, presente nelle province di Agrigento, Caltanissetta e Ragusa, che risulta caratterizzata dalla coesistenza di gruppi operanti con un coordinamento di tipo orizzontale”. Lo si legge nella relazione semestrale consegnata dalla Dia al Parlamento nazionale. Nata in contrapposizione a Cosa nostra, la stidda oggi, secondo gli investigatori della Dia, “tende a ricercare piuttosto l’accordo con quest’ultima per la spartizione degli affari illeciti”. Di recente alcune organizzazioni stiddare “hanno compiuto un salto di qualità evolvendosi da gruppi principalmente dediti a reati predatori a compagini in grado di infiltrare il tessuto economico-imprenditoriale del nord Italia”.

A PALERMO FORTE CAPACITÀ DI CONTROLLO DEL TERRITORIO E INFILTRAZIONI MAFIOSE

“Cosa nostra palermitana continua a esprimere una forte capacità di controllo del territorio e di infiltrazione dell’imprenditoria, della finanza e degli apparati politico-amministrativi. Nonostante le fibrillazioni degli ultimi anni essa si conferma come un’organizzazione verticistica e tendenzialmente unitaria, capace di riorganizzare i propri ranghi nonostante la continua azione di contrasto”. “Sono peraltro emersi rapporti di mutua collaborazione e supporto tra diversi mandamenti della città di Palermo e della provincia – si legge -. Si rilevano inoltre cointeressenze e collaborazioni con altre consorterie per l’approvvigionamento degli stupefacenti, nonché proiezioni sull’intero territorio nazionale a fini di riciclaggio”.

Secondo gli investigatori “i reati cardine sui quali si impernia l’azione mafiosa sono sempre i medesimi” e “resta costante l’imposizione del pizzo”. Tra gli esempi riportati nella relazione il blitz antimafia del 13 ottobre 2020, quando i carabinieri di Palermo hanno fermato venti affiliati alla famiglia di Borgo Vecchio: si tratta dell’indagine ‘Resilienza’, “che ha evidenziato le numerose attività estorsive – ricorda la Dia– coordinate dal capo della famiglia il quale esercitava funzioni direttive dell’organizzazione”.

CRISI COVID OPPORTUNITÀ PER I CLAN CAMORRISTICI DI DIVERSIFICARE GLI AFFARI

Le organizzazioni camorristiche della Campania hanno la capacità di “strumentalizzare a proprio vantaggio le gravi situazioni di disagio” come “il protrarsi dell’epidemia da Covid-19”. Il report mette in luce come “le prestazioni previdenziali verso famiglie e imprese in crisi finanziaria” rappresentino, per i clan, una “occasione per incrementare il consenso sociale e consolidare il proprio controllo del territorio”. Ma, connesso alla crisi finanziaria, è anche il rischio ulteriore, che “la multiforme dimensione imprenditoriale delle principali organizzazioni camorristiche renda la crisi sanitaria ed economica un’opportunità per la diversificazione dei propri affari, soprattutto nei nuovi settori economici strettamente connessi con il fenomeno pandemico”. La Dia parla, più nello specifico, di “reinvestimento delle illimitate risorse illegali nelle imprese in crisi di liquidità e, più di tutto, per l’accesso ai finanziamenti pubblici stanziati per consentire il sostegno alle imprese e il rilancio dell’economia”.

“ALTARINI E MURALE ATTI DI SFIDA CONTRO LO STATO”

Il potenziale “bellico” delle organizzazioni camorristiche è utilizzato senza remore “tanto per azioni mirate, quanto per i più generici scopi intimidatori e di rivendicazione di un potere sui territori di riferimento”. Questa “teatralità criminale” è “trascesa negli ultimi mesi anche nelle pantomime degli altarini e dei murales che sono assurte più che a forme folcloristiche di devozione verso figure emblematiche degli ambienti del crimine, a veri e propri atti di sfida contro lo Stato”. È quanto si legge nella relazione, riferita al secondo semestre del 2020, che la Dia ha trasmesso al parlamento. La Direzione Investigativa Antimafia affronta anche il tema delle cosiddette baby gang, evidenziando come “accanto ai grandi sodalizi mafiosi” sarebbe presente una “pletora di gruppi-satellite minori a composizione prevalentemente familiare e spesso referenti in loco dei primi e di baby-gang che non possiedono un background criminale di particolare consistenza e stabilità”. Queste “bande” si rivelerebbero comunque “pericolose per la pressione che esprimono a livello locale pur di acquisire o conservare il controllo anche di limitati spazi territoriali, rendendosi spesso protagonisti di eclatanti forme di gangsterismo urbano (agguati, stese e caroselli armati)”.

IN BASILICATA COINVOLTI SETTORI RILIEVO ECONOMIA LOCALE

Dalla relazione semestrale pubblicata sul sito del Senato della Repubblica è emerso inoltre che l’infiltrazione mafiosa in Basilicata investe diversi settori economici e politico-amministrativi. In particolare nel materano e nella fascia jonica risultano insediati gruppi mafiosi che compiono attentati e intimidazioni oltre a sviluppare “un controllo monopolistico di attività imprenditoriali di rilievo centrale nell’economia locale (produzione e commercio di ortofrutta, turismo, attività edilizie)”, condizionando le amministrazioni locali e svolgendo imponenti attività di riciclaggio “anche in collegamento con le mafie presenti nei distretti viciniori”.

A Potenza, invece, operano “gruppi storicamente insediati tra il capoluogo e i comuni limitrofi”, mentre nel Vulture-Melfese i clan, dopo anni di sanguinose guerre di mafia, sono ora legati a camorra, ‘ndrangheta (specialmente quella cosentina) e mafie pugliesi, “dedite per lo più ad attività di riciclaggio e reinvestimento”. La collocazione geografica del territorio consente l’operatività di sodalizi criminali pugliesi, campani e calabresi che interagiscono con le consorterie locali soprattutto per lo smercio di droga.

Il panorama criminale lucano “continua a caratterizzarsi per la presenza di sodalizi a prevalente connotazione familiare che pare vivano un equilibrio da considerarsi stabile vista la frammentarietà delle organizzazioni e l’assenza di una conformazione verticistica”.

Come rilevato dal procuratore generale presso la Corte d’Appello di Potenza, Armando D’Alterio, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2021, in Basilicata si trova “una criminalità mafiosa autoctona oltre che indotta dalle vicine ‘ndrangheta e camorra”. Nella regione “si manifestano, insieme ad organizzazioni criminali dedite alle più svariate tipologie di delitti (dai furti alle truffe, fino al traffico anche internazionale di sostanze stupefacenti, svolto in collegamento con importanti organizzazioni criminali pugliesi, campane e calabresi) anche strutturate organizzazioni di tipo mafioso”.

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