NEWS:

Aumentano i bambini piccoli con disturbo del linguaggio

E' molto importante il rapporto con i genitori

Pubblicato:22-09-2017 12:47
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:43

FacebookLinkedInXEmailWhatsApp

ROMA – I disturbi del linguaggio stanno aumentando, in particolare sono i bambini più piccoli – due anni e mezzo, tre – che cominciano ad essere in numero significativamente maggiore rispetto a un tempo: non parlano o parlano male, in maniera incomprensibile con pochi suoni chiaramente identificabili.

Spiega tutto alla DIRE Manuela Guerrini, logopedista del servizio di Unita’ operativa di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’Adolescenza, che oggi a Verona presenta al congresso nazionale dell’Istituto Chassagny sul tema ‘Dal sintomo all’incontro terapeutico: il cammino dalla diagnosi alla presa in carico in un’ottica relazionale’ (nell’Aula c/o Oratorio S. Eufemia in Via Emilei 32, dalle 9 alle 18) tre sedute di osservazione di una bambina inviata dalla pediatra per un ritardo di linguaggio.

“Finalmente, grazie anche a un ricambio generazionale dei pediatri, oggi è accresciuta la capacità di individuare questi disturbi. Spesso tra i bambini piccolissimi, che vediamo per un disturbo del linguaggio, si scopre che dettano legge in casa. I genitori appaiono come tappetini al servizio del bambino. Il piccolo in tal modo- prosegue la logopedista- non viene contenuto e cresce in questa onnipotenza che lo rende estremamente insicuro e incapace di affrontare il mondo. Una difficoltà ormai comune a molti genitori a prescindere dalle classi sociali di appartenenza”.


Come si possono aiutare questi genitori?

“E’ tutto più complicato oggi- risponde Guerrini- perché la società odierna, nonostante i proclami, non è a misura di bambino e i nostri ritmi di vita non aiutano. C’è molta attenzione verso i più piccoli, spesso sono figli unici e quindi ancora più preziosi, ma poi questa attenzione si traduce spesso in un eccessivo protezionismo nei confronti del mondo senza dar loro gli strumenti per affrontarlo. A volte sono genitori disorientati o soli, che non hanno la possibilità di condividere ansie, timori, preoccupazioni che inevitabilmente arrivano con la nascita di un bambino. In questi casi iniziative come i ‘Tempi per le famiglie’ (centri di supporto e accoglienza alla famiglia e luoghi di incontro e scambio tra adulti e tra bambini) possono fornire un aiuto attraverso la possibilità di osservare il proprio bambino insieme ad altri e condividere le esperienze con altri genitori. Talvolta mi è capitato di assistere- fa sapere la logopedista- a reazioni di meraviglia da parte dei genitori alla proposta di leggere o raccontare storie ai bambini, seppure il raccontare storie dovrebbe far parte del Dna della crescita di ogni bambino“.

Che caso presenterà al Congresso?

“Si tratta di una bambina di tre anni e mezzo, inviata dalla pediatra per un ritardo di linguaggio, la cui madre, di origini marocchine, è molto preoccupata al riguardo. Fin dal primo incontro, il loro bisogno di stare vicine è apparso essere forte”.

Sembra esserci un “nesso tra il sintomo sul piano linguistico e la difficoltà per questa mamma e la sua bambina di sentirsi come due individui distinti. Sappiamo dell’importanza della nascita del simbolo per l’evoluzione della parola: questa condizione, però, può verificarsi, come bene illustra la teoria della Mahler- precisa- sulla nascita psicologica del bambino, solo se si realizza la separazione del bambino dalla madre e la sua individuazione”.

In più “questa madre ha una storia di migrazione alle spalle e non si può non tener conto dei vissuti legati alla lontananza fisica ed emotiva dal proprio paese e dalla propria famiglia di origine”.

Portando oggi questo caso al congresso nazionale dell’Istituto Chassagny, la logopedista vuole sottolineare “il legame che c’è tra lo sviluppo del linguaggio e la relazione tra il bambino e la sua mamma. Al di là di patologie che possono inficiare tale processo, la parola nasce a partire dal rapporto con la mamma dal momento in cui il bambino viene al mondo”.

Questa bambina “resta avvinghiata alla mamma, non c’è spazio per l’esplorazione. La mamma o se la tiene attaccata e quindi nello stare vicine non c’è spazio per il linguaggio- sottolinea- oppure nei momenti in cui la mamma si rende conto che non si può vivere così la espelle, com’è accaduto nella prima seduta”.

Il titolo della relazione di Guerrini rispecchia proprio questa dinamica: ‘Molto vicino o incredibilmente lontano’. “La signora sembra incapace di aiutare la bambina a fare i suoi passi piano piano”.

Cosa fare? Ripartire dai genitori o dalla bambina?

“Nel servizio dove lavoro, in situazioni di questo tipo, generalmente decidiamo di privilegiare il rapporto madre-bambino. Per cui si fanno una serie di incontri congiunti per aiutare il genitore a prendere consapevolezza, a verbalizzare dubbi e fatiche, a vedere il proprio figlio con altri occhi. Anche in siffatto caso- aggiunge la logopedista- facciamo un lavoro di questo tipo. Si monitora il linguaggio della bambina, a breve dovrò rivederla, non escludo che quando comincerà ad emergere possa non essere perfetto- conclude Guerrini- però l’importante adesso è far venir fuori la voglia di comunicare che non c’era, perché stando così attaccata alla madre non aveva bisogno di mettere parole”.

di Rachele Bombace, giornalista professionista

Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it