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Recovery plan, Mirri (Asl Roma 1): “Non bastano i macchinari, serve il personale”

"Le Regioni devono impegnarsi a fornire delle macchine nuove, ben distribuite sul territorio, per evitare 'viaggi della speranza', e fare concorsi per avere a disposizione un organico preparato"

Pubblicato:22-06-2021 15:43
Ultimo aggiornamento:22-06-2021 20:20

Maria Alessandra_Mirri
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ROMA – All’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, varato dal Governo Draghi, trova spazio l’ammodernamento digitale del parco tecnologico. Si tratta di un investimento notevole pari a 1,19 miliardi di euro. Un passo importante al fine di garantire il migliore trattamento di radioterapia oncologica possibile a tutti i cittadini, in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale anche al fine di evitare i tristi viaggi della speranza per ricevere cure all’avanguardia. Dell’importanza dell’introduzione in radioterapia di un parco macchine innovativo ma anche della necessità di maggiore personale formato negli ospedali e dedicato alla radioterapia, l’agenzia di stampa Dire ne ha parlato con la dottoressa Maria Alessandra Mirri, Direttore del Dipartimento Oncologico Asl Roma 1.

– Il ruolo delle nuove macchine in radioterapia: in che stato è il parco strumenti?

“Nelle tecniche della radioterapia c’è stata una innovazione molto importante negli ultimi 10 anni e questo vuol dire offrire delle terapie radianti con un effetto curativo molto più elevato e raggiungere il tumore in modo molto più preciso salvando gli organi sani. Questo vuol dire anche una maggiore curabilità ed una minore tossicità per il paziente. Il parco macchine della radioterapia italiana, come emerge dall’ultima indagine fatta dall’Associazione Italiana di radioterapia Oncologica e Oncologia Clinica del 2020, è un parco macchine numericamente adeguato agli standard europei ma ‘antico’. Una macchina si considera vecchia dopo 5 anni. Il 40% delle nostre macchine hanno più di 15 anni, in più si registra una diversa diffusione delle macchine tra Nord, Centro e Sud del Paese. Una novità importante però può arrivare dal Recovery Plan perché una delle voci è l’adeguamento delle macchine ad alta tecnologia. 1,9miliardi sui 4miliardi totali sarà dedicato a questo specifico aspetto. Insomma per la prima volta dei fondi devono essere dedicati proprio per le macchine radioterapiche. Questo aspetto sarà molto importante perché si tratta di un adeguamento su indicazione nazionale e non della singola Regione o Direttore generale di un ospedale, che si traduce in una equità di cure per tutti i pazienti tanto a Milano quanto a Crotone. Dobbiamo ricordare che queste tecnologie nuove non possono camminare da sole hanno bisogno di organico adeguato e di qualità. Il tecnico di radioterapia è infatti un professionista formato sia dal punto di vista tecnologico che umano”.


– Il personale in organico è insomma insufficiente, avere delle ottime macchine ma pochi uomini significa sfruttarle a metà del potenziale. Qual è la ricetta vincente secondo lei da mettere presto in campo?

“La ricetta è fare i concorsi come si era iniziato già a fare nella Regione Lazio e non solo. Mettere tutti i nuovi laureati, tecnici giovani con tanta voglia di apprendere, che sono meglio preparati rispetto al ‘parco medico’ che oggi ha un’età avanzata, meno aperto all’innovazione e allo studio. Le tecnologie sono importantissime ma altrettanto lo sono gli uomini, parte fondamentale del processo. In particolare poi devo dire che il radioterapista negli anni scorsi è stato visto come un tecnico piuttosto che come un medico completo. Perciò quello che si deve fare nei nuovi giovani è restituire al radioterapista la funzione di uomo medico. Quando si fa radioterapia non si deve vedere solo al miglior trattamento ma guardare all’uomo-paziente e alla sua qualità di vita. Bisogna cioè evitare gli effetti collaterali e usare terapie di supporto che possono andare dalla terapia psicologica, attraverso psicologi ospedalieri sempre più presenti nei reparti, ai presidi farmaceutici che servono a ridurre gli effetti collaterali dei trattamenti. Questo si traduce in una migliore qualità di vita del paziente e una maggiore aderenza alle terapie. Interrompere le terapie, in certe patologie, significa meno curabilità. I dispositivi esistono ma il problema vero della questione, particolarmente evidente in questo periodo di difficoltà economica anche per via del Covid, è che tutti i dispositivi che servono a curare queste reazioni inevitabili sono tutti a carico del paziente. Questo va sicuramente affrontato dalle autorità che si occupano di questo”.

– A tal proposito vuole fare un appello alle Istituzioni o alle Regioni?

“L’appello alle Regioni tanto per ricapitolare è di impegnarsi a fornire delle macchine nuove, ben distribuite sul territorio per evitare che chi si sottopone a trattamento radiante debba spostarsi troppi chilometri da casa e per evitare i viaggi della speranza; fare concorsi per avere a disposizione un organico preparato e guardare al paziente come uomo che soffre. Infine fare in modo che le terapie di supporto siano in convenzione e non a carico del cittadino”.

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