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Il ‘manifesto’ di Cathy La Torre: “Bologna riparta dai più deboli”

L'avvocata ed ex consigliera di Sel: "Perplessa dall'idea di città smart, troppi sono rimasti indietro"

Pubblicato:22-06-2020 11:00
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:32

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BOLOGNA – Colpita dal covid-19 Bologna si scopre forse meno ‘smart’ di quanto pensasse. Perché ci sono “tante persone in emergenza abitativa” o che “hanno perso i lavori precari con cui sopravvivevano”. Perché “migliaia di studenti rischiano di non tornare o non arrivare più”. E perché “tanti anziani vivono una solitudine che uccide più di qualsiasi virus”. Per questo Bologna deve ripartire “da coloro che erano stati lasciati indietro” e avendo “ben chiara un’idea di giustizia che metta al centro i più deboli”. A sostenerlo Cathy La Torre, avvocato dei diritti civili ed ex consigliera comunale di Sel, da qualche tempo nel novero dei possibili candidati sindaco alle prossime amministrative 2021, in quello che sembra essere a tutti gli effetti un ‘manifesto’ (dal retrogusto elettorale) per la “Bologna che vorrei”, di cui La Torre elenca i punti principali: “Socialità, ambiente, sviluppo, commercio, cura dei più deboli, mobilità, diritti, cultura”.

L’avvocato affida il suo pensiero al blog di informazione cittadina e metropolitana ‘Cantiere Bologna’. “Mi lascia spesso perplessa la retorica su Bologna ‘città Smart’- affonda il colpo La Torre- quando so che tante persone sono in emergenza abitativa o hanno perso i lavori precari con cui sopravvivevano. Quando migliaia di studenti rischiano di non tornare o non arrivare più. Quando tanti anziani vivono una solitudine che uccide più di qualsiasi virus”.

Per questo, “da semplice cittadina- ci tiene ad aggiungere La Torre- la Bologna che vorrei è una comunità che sappia riscoprire la forza dei legami e delle relazioni, che abbia ben chiara un’idea di giustizia, che metta al centro i più deboli. Perché non è vero che il covid ha impattato su tutti allo stesso modo e sarà prioritario ripartire da coloro che erano stati lasciati indietro nella loro solitudine esistenziale e povertà materiale anche prima della pandemia e che si sono ritrovati senza salvagenti proprio quando il diluvio ci sommergeva”. Una Bologna, in buona sostanza, che “sia anche un’opportunità per chiunque di un’opportunità abbia bisogno”. Il ragionamento di La Torre ruota appunto intorno agli effetti della pandemia, che ha “portato a galla una serie di vulnerabilità del nostro sistema città che fino a ieri erano colpevolmente nel cono d’ombra del dibattito quotidiano e che adesso la politica e la società non possono più fingere di non vedere”, come anziani, studenti, famiglie e commercianti. Non solo.  Questa crisi, afferma La Torre, sta dando l’opportunità di “vedere e affrontare senza più rinvii tutte le fragilità del modello città, degli ospedali, delle nostre abitazioni, del tessuto produttivo, del nostro modo quotidiano di lavorare e di muoverci”. Diventa quindi “essenziale prendere atto di questi cambiamenti, misurare la temperatura della città post-covid per calibrare una ‘terapia’ che tenga conto prima di tutto di chi ha maggiormente sofferto”. La Torre vuole quindi una città “che riflette su come avere un’influenza positiva sul mondo, oltre che sui suoi cittadini, e per farlo deve prima aver compreso quali sono le ferite da rimarginare”.


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