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Ue, Fortuna (Unicusano): “Siamo a una svolta, l’Italia ne approfitti”

Dopo Brexit, l'Italia può sfruttare la sua posizione e portarsi al fianco di Francia e Germania, entrare nei Paesi di maggior peso"

Pubblicato:22-06-2018 17:08
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:17

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ROMA – “Dopo settant’anni l’Europa soffre la mancanza di alcuni processi di integrazione mai portati avanti. Oggi serve una svolta e l’Italia, soprattutto dopo Brexit, può sfruttare la sua posizione e portarsi al fianco di Francia e Germania, entrare nei Paesi di maggior peso. Per il nostro Paese è una necessità”. Il rettore dell’università Unicusano Fabio Fortuna apre così il convegno ‘L’Europa e il congresso dell’Aia (1948-2018)” che si è svolto oggi nella sala Zuccari del Senato.

Stiamo vivendo un rapporto complicato con l’Europa– osserva- ma la Ue ha davanti ha sè un processo evolutivo che deve affrontare se vuole davvero arrivare a un processo di integrazione vincente, anche alla luce della competitività col resto del mondo”.

Cosa è cambiato in Europa dai 70 anni trascorsi dal processo dell’Aia? “Il congresso dell’Aia ha significato il coinvolgimento della società civile nel processo di costruzione europeo. Al di là del ruolo dei governi e dei politici- dice Gianluigi Rossi, professore emerito di Storia delle relazioni internazionali alla Sapienza- all’interno della società civile erano nati molti movimenti filo europeisti. Oggi invece i popoli sono molto critici perché c’è stata una rivoluzione delle aspettative crescenti, cioè i popoli europei si aspettavano chissà cosa dall’Europa, ma non è che si può avere tutto. E’ una fase un po’ complicata, ma l’Europa conviene a tutti”.


Per Rossi però ci vogliono diplomazia e sangue freddo per cambiare le cose: “Non credo che con gli atti di forza e le prese di posizione un po’ forti sia possibile questo recuperare il coinvolgimento della società civile. Ci vuole molta pazienza”.

Giangiacomo Vale è un giovane professore di Filosofia politica all’università Niccolò Cusano. “Io sono molto ottimista- assicura- sono un federalista convinto. Il futuro dell’Europa può essere solo quello dell’Unione federale”.

Vale cita il filosofo svizzero Denis de Rougemont per sottolineare l’importanza “della persona distinta dall’individuo e dal cittadino-soldato. La sua era una prospettiva che non stava né dalla parte del liberalismo né dei fascismi o dei comunismi. Questa idea della persona si trasforma sul piano politico nel federalismo che implica la coesistenza della diversità, dell’autonomia e dell’Unione. Le diversità vanno rispettate perché sono il sale stesso della storia e della cultura europea“.

Per riformare l’Europa, però, “non ci vorranno mesi né anni, forse è una questione di decenni, ma non c’è alternativa”.

Il convegno è sponsorizzato dalla rivista scientifica Europea. Silvio Berardi, professore di Storia contemporanea all’università Niccolò Cusano, è il direttore responsabile: “Non è la voglia di Europa che manca, manca il coinvolgimento delle collettività. Non manca il desiderio di integrazione europea, c’è una critica profonda nei confronti di questo modello di Europa che oggi abbiamo di fronte a noi. Bisogna ripartire da qui”.

Per Claudio Bonvecchio, professore di Filosofia della politica all’università dell’Insubria, “l’Europa può essere il futuro, d’altronde è sempre stato uno dei punti di riferimento mondiali, ma ora c’è una mancanza di identità profonda che va recuperata. Settant’anni fa c’era un sogno e i sogni poi diventano desideri, ma i desideri per essere realizzati devono essere sostenuti dalla volontà. Quando si costruisce una casa si comincia dalle fondamenta e le fondamenta sono politiche, non economiche. Prima devono venire gli accordi politici e poi le decisioni economiche”.

Come giudica le prime mosse del nuovo governo? “È giusto alzare la voce per avere, come dire, un’audience; poi però oltre ad alzare la voce bisogna far seguire anche delle proposizioni pratiche“.

Fabrizio Sciacca, professore ordinario di Filosofia politica all’Università degli studi di Catania, propone di ripartire da realtà più vicine ai cittadini: “Bisogna investire nelle regioni più che nelle nazioni. L’Europa delle regioni è molto importante, perché è da lì che nasce il collante dell’identità europea. Sono i caratteri regionali che costituiscono l’identità, il carattere dell’Europa, ancora prima delle nazioni”.

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