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VIDEO | Durante il lockdown su aborto no info e stop farmacologico, le attiviste: “Boom di richieste di aiuto”

A 42 anni da 194 è ancora stigma e ad aiutare le donne ci pensano altre donne

Pubblicato:22-05-2020 14:06
Ultimo aggiornamento:22-12-2020 14:31

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ROMA – “Domani finalmente dopo 20 giorni dal certificato ho l’appuntamento in una clinica per fare l’ivg e l’unica mia paura e’ il non poter avere piu’ figli quando li vorro’. Ma la cosa che vorrei venisse fuori piu’ di qualsiasi altra e’ che spero che mai nessun altra donna si debba sentire dire al momento del fare un esame rx per escludere il Covid o per una qualsiasi altra ragione: ‘Mi dispiace, ma io non ti faccio l’esame perche’ sai magari trovi un miliardario e in due giorni cambi idea’. Vorrei che si sensibilizzasse sul come si puo’ sentire umiliata una donna da queste parole”. Sono passati 42 anni dall’approvazione della legge 194, che in Italia ha sancito il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza (ivg) gratuita per tutte le donne. Eppure testimonianze come questa, raccolte dalla piattaforma web, blog+social, ‘Ivg, ho abortito e sto benissimo’, si sono moltiplicate in questi mesi di emergenza Covid-19 e, specie durante il lockdown, per molte donne abortire e’ stata una corsa contro quei 90 giorni che non aspettano, tra servizi sospesi, medici spostati nei reparti Covid e carenza di informazioni in una situazione di costante evoluzione.

OBIEZIONE RESPINTA: “AUMENTO ESPONENZIALE RICHIESTE AIUTO” 

“Al nostro telefono di emergenza attivo h24 siamo passate dalle due-tre richieste di aiuto al mese alle cinque-sei al giorno e anche sui social sono aumentate le ricerche: su Facebook sono arrivate fino a dieci richieste al giorno”, racconta all’agenzia di stampa Dire Eleonora Mizzoni, attivista di Obiezione Respinta, il progetto di mappatura nazionale dell’obiezione di coscienza nato nel 2017 da un gruppo di studentesse, precarie e lavoratrici pisane che, assieme a Ivg, ho abortito e sto benissimo e Non Una Di Meno, hanno garantito dall’inizio del lockdown un sistema capillare di informazione e orientamento dal basso dei servizi ivg attivi sul territorio nazionale, attraverso raccolta di segnalazioni e giri di telefonate a ospedali e consultori.


“La mappa ci sembrava troppo statica in questo periodo, perche’ le informazioni cambiavano di settimana in settimana, soprattutto nel Nord Italia- sottolinea Eleonora- Per questo abbiamo creato il canale Telegram SOS Aborto_Covid 19. Durante il lockdown in tantissime hanno inviato segnalazioni di disservizi, di reparti sospesi o trasferiti, di consultori chiusi, di medici di base che non facevano piu’ le certificazioni di persona”, con “un aumento esponenziale delle richieste di aiuto”. Un “lavoro di accompagnamento all’ivg, di risposta alla richiesta di informazioni che una donna dovrebbe poter ricevere, come succede in altri Paesi, da un portale ministeriale, chiamando la Asl, i consultori, gli ospedali. E invece, purtroppo anche a causa della dilagante obiezione di coscienza- sottolinea l’attivista- queste informazioni spesso non vengono fornite e noi sopperiamo un po’ a queste mancanze”.

I DATI SULL’OBIEZIONE DI COSCIENZA 

Sotto accusa e’ un sistema che sancisce il diritto all’aborto ma, nei fatti, ne limita l’accesso. A mettere in fila i dati sono le transfemministe di Non Una Di Meno, che nei giorni scorsi sui loro canali social hanno pubblicato un’infografica verde-rosa sullo stato di salute della 194 in Italia. Da fonti Istat emerge che il ricorso all’urgenza sancito al terzo comma dell’art. 5 della legge 194 nel 2018 e’ avvenuto nel 20,3% dei casi, ‘in costante aumento rispetto agli anni precedenti’ (nel 2013 era al 13,4%). Nell’annuale relazione del ministro della Salute (l’ultima e’ quella del 2018 sui dati del 2017, ndr) si legge: “Questo aumento negli anni puo’ essere un indicatore di problemi di liste di attesa, di servizi disponibili per l’effettuazione dell’ivg o di necessita’ di ricorso all’urgenza per poter svolgere l’intervento con il Mifepristone e prostaglandine entro i tempi previsti nel nostro Paese (49 giorni di gestazione)”.

Alla radice del problema la percentuale di obiettori nel personale medico e sanitario, che supera quella di chi non obietta. In base ai dati Istat del 2017 i ginecologi obiettori sono il 68,4% del totale, in buona compagnia con il 45,6% degli anestesisti e il 38,9% del personale non medico. Un quadro completato da un 9,8% di ginecologi non obiettori che sono assegnati ad altro servizio e non effettuano ivg. Ma come si sono tradotti questi dati nella vita delle donne che hanno scelto di abortire durante il lockdown?

LA SOSPENSIONE DEL FARMACOLOGICO 

“Fin dai primi giorni di lockdown una delle questioni piu’ critiche e’ stata la sospensione dell’aborto farmacologico, molto diffusa e in controtendenza rispetto al resto d’Europa, dove invece i governi hanno spinto per la sua adozione proprio perche’ e’ una procedura medica che prevede meno ospedalizzazione”, continua Eleonora. Il punto critico in Italia e’ il ricovero ospedaliero di tre giorni previsto nella maggior parte delle regioni per l’assunzione della pillola abortiva Ru486. “Quando le donne ci chiedevano come funzionava noi raccontavamo che fare il farmacologico in quella regione significava rimanere fino a tre giorni in ospedale: molte, a malincuore, dicevano no- racconta- La prima citta’ in cui hanno dovuto sospendere e’ stata Lodi, che in Lombardia e’ sempre stata un grande centro per il farmacologico”. Mentre “al Grassi di Ostia hanno dovuto sospendere il chirurgico perche’ l’anestesista era stato trasferito nel reparto Covid”.

SOSPENSIONE SERVIZI CONSULTORI E MANCANZA DI INFORMAZIONI

Altro punto critico per Obiezione Respinta ha riguardato “la sospensione di molti servizi da parte dei consultori”, spesso per la mancanza dei dispositivi di protezione individuale, assieme allo “stigma” subito dalle donne che prendono questa decisione e alla “mancanza di informazioni da parte delle Asl che non hanno comunicato in modo chiaro i servizi, quali consultori avrebbero chiuso e quali no, se il reparto del loro ospedale sarebbe stato trasferito o meno”. Anche nel canale Telegram del ministero della Salute, dove pure “sono passate tantissime informazioni sulla salute femminile, non e’ passata una parola sull’aborto’” e “l’unica cosa che ha detto il Governo, peraltro non esplicitamente ma nel decreto- denuncia Eleonora- e’ che non si trattava di un’operazione rimandabile. Si sarebbe dovuto ridare dignita’ a questo tipo di operazione indifferibile, che va fatta nella dignita’ della persona, fornire informazioni su una cosa che 80mila donne l’anno in Italia fanno. Le Asl avrebbero dovuto dare informazioni aggiornate giorno per giorno”.

IL PROBLEMA DEGLI OBIETTORI

“Sicuramente l’accesso all’aborto e’ ancor piu’ diminuito e sono aumentati i divari di classe e di etnia”, dice netta Eleonora, che pone l’accento sul “turismo medico, tipico italiano”, che porta le donne a spostarsi di regione in regione alla ricerca dei non obiettori (“in Molise ce n’e’ uno solo”), costretto a fermarsi con il blocco degli spostamenti. “Una sensazione che abbiamo avuto in questi mesi chiamando consultori e ospedali e’ che in certe regioni il Covid sia stato utilizzato in malafede da parte degli obiettori per avere una scusa in piu’ per non garantire il servizio- continua l’attivista- Alcuni centralini di ospedali sull’attivita’ del servizio davano risposte diverse, a seconda di chi rispondeva al telefono. Se rispondeva l’obiettore ti diceva una cosa, due ore dopo richiamando te ne dicevano un’altra, come ci e’ successo a Salerno”. Ma le donne, di solito, si fermano alla prima telefonata e, in caso di risposta negativa, cercano un’altra struttura.

“MOLTE HANNO ABORTITO ALLA DODICESIMA SETTIMANA” 

Tra informazioni confuse, chiusure e sospensioni, molte donne sono state costrette “a dover abortire vicino al termine. C’e’ una testimonianza di una ragazza di Gallarate che ha scoperto di essere incinta alla quinta settimana e si e’ ritrovata a dover abortire al 90esimo giorno- racconta Eleonora- Tra i via vai dei certificati, di trovare il medico, fare il tampone e capire dove abortire, si e’ ritrovata alla 12esima”. Con tutte le conseguenze psicologiche del caso. “Si parla tanto dell’aborto come evento traumatico, che ti cambia la vita in peggio- aggiunge- Noi su questa narrazione abbiamo molto da ridire. Gli stessi che fanno questo tipo di narrazione non si preoccupano di una persona che scopre di essere incinta alla quinta settimana si trova a dover abortire alla dodicesima, come se questo in questa situazione in particolare, non fosse un problema forte dal punto di vista psicologico”. Per questo Obiezione Respinta, a un mese dal lockdown, ha anche deciso di attivare un servizio di supporto psicologico, “non perche’ pensiamo che l’evento in se’ debba essere traumatico, ma perche’ le condizioni di contorno spesso lo rendono cosi’”.

UNA NUOVA NARRAZIONE PER DESTIGMATIZZARE

A destigmatizzare “la retorica narrativa che ha tradotto l’aborto come un’esperienza traumatica”, raccogliendo “testimonianze di donne che avevano abortito e si riappropriavano di questa trama narrativa”, ci hanno pensato Federica Di Martino, psicologa e psicoterapeuta, Elisabetta Canitano, ginecologa e presidente dell’associazione ‘Vita di Donna’, e Alessandro Matteucci, ostetrico.

“Ivg, ho abortito e sto benissimo e’ una piattaforma che si occupa di contronarrazioni su aborto e salute riproduttiva nata nel 2018 da una nostra idea, da sempre lavoriamo in sinergia con Obiezione Respinta”, racconta all’agenzia Dire Federica. Raccolte in un anno oltre 150 testimonianze, anche la piattaforma ha registrato in emergenza un’impennata di richieste di aiuto e racconti: “Siamo arrivati a riceverne il doppio rispetto alla norma, fino a sei-sette richieste e segnalazioni al giorno, in tutto saranno state tra 60-70- fa sapere la psicologa- Il target di riferimento varia dai 20 ai 30-32 anni, ma dipende molto dalla provenienza”. Dal Sud Italia arrivano le richieste delle piu’ giovani. Anche se “nel periodo Covid devo dire c’e’ stata una trasversalita’ delle difficolta’ che ha riguardato tutta Italia”.

LA CAMPAGNA SOS ABORTO

A partire da questo “momento di frattura storico, che ha messo in discussione la privatizzazione della sanita’ e le pratiche di accesso alla salute”, racconta Federica, nasce la campagna ‘SOS Aborto’, in cui “tre punti su quattro”, sottolinea Eleonora, “riguardano il farmacologico”, (che in Italia e’ ancora scarsamente diffuso e si attesta “al 17% del totale delle ivg”). Le attiviste, che per la campagna hanno redatto un documento, chiedono di: eliminare la settimana di riflessione; autorizzare la somministrazione della Ru486 nei consultori – abolendo il regime di ricovero ospedaliero ordinario – ed estenderla fino alla nona settimana come in altri Paesi europei, e non fino alla settima come finora consentito in Italia; e rifinanziare i consultori. A partire da questi punti, conclude Federica, “vogliamo creare presupposti nuovi che possano rimanere anche per il dopo”.

INFORMARE E ACCOMPAGNARE, L’IMPEGNO DI NUDM SUI TERRITORI IN EMERGENZA COVID 

Nella Lombardia epicentro dell’emergenza Covid-19 non e’ mai stato cosi’ difficile abortire come durante il lockdown. Sono stati due i problemi principali secondo Carlotta, attivista di Non Una Di Meno-Milano, che ha partecipato al lavoro di mappatura dei servizi di interruzione volontaria di gravidanza attivi, condotto su tutto il territorio nazionale da Obiezione Respinta e Ivg, ho abortito e sto benissimo. “Alcuni hanno sospeso il servizio perche’ erano ospedali Covid- racconta l’attivista- È successo a Bergamo, Codogno, Lodi, dove le donne venivano rimandate in altre province. Sia a Lodi che a Bergamo c’era un solo ospedale che effettuava il farmacologico, tutti e due lo hanno sospeso. A Milano il Niguarda, uno dei piu’ colpiti, non effettuava ivg, che venivano svolte in quattro strutture: il Mangiagalli, il Macedonio Melloni, il San Carlo, dove e’ stato sospeso il farmacologico, e il San Paolo”. Diversa la situazione nelle zone meno colpite dal Covid, come “Varese, Como, Lecco, dove tutto e’ continuato abbastanza normalmente”, in una regione in cui pero’ il personale medico obiettore e’ pari al 66% del totale. L’altro “grande problema di quest’area”, come un po’ di tutta Italia, ha riguardato “la difficolta’ di reperire informazioni”, anche rispetto alle “aperture dei consultori, perche’ sui siti delle aziende territoriali non venivano riportati quelli aperti o chiusi con gli orari”. Tra le possibili cause di questo gap informativo Carlotta individua “la disorganizzazione”, unita alla “mancanza di investimento nella medicina territoriale”, compresi i consultori pubblici “che in citta’ sono solo sette”.

E poi rimane “l’idea che si tratti un servizio superfluo. Tre anni fa- ricorda l’attivista- a parte il tentativo di mettere a pagamento il servizio per le minorenni nei consultori, sono state diramate dalla Regione Lombardia delle direttive per mandare le donne in menopausa negli ospedali a fare, ad esempio, i percorsi ormonali”. Proprio il consultorio “avrebbe potuto essere una struttura intermedia tra l’ospedale e la visita a domicilio”, sul modello del “servizio di controllo e monitoraggio delle donne in gravidanza attivato dalle ostetriche di Bergamo”, osserva Carlotta. E invece “c’e’ stata una riduzione degli orari e alcuni erano chiusi”. In piu’ “c’e’ una gravissima mancanza di formazione a tutti i livelli. Ho parlato con una studentessa spagnola che e’ qui e ha avuto grandissima difficolta’ ad accedere alle informazioni per capire se poteva abortire, con quali tipo di tutele- racconta- Ci aveva chiamato perche’ non riusciva a capire dove farsi dare il certificato. Il medico di base con cui aveva parlato le aveva dato un’informazione errata sul farmacologico, che dal 2018 in Lombardia si fa in day hospital. Le ha detto che ci sarebbe stato bisogno del ricovero e, per questo, lei pensava di ricorrere al chirurgico”.

A Firenze, invece, sono stati due gli ospedali di riferimento per l’ivg, “il Careggi e il Palagi, dove pero’ col Covid si e’ mantenuto attivo solo il farmacologico, mentre per il chirurgico ti mandavano in una struttura privata convenzionata con la Regione privata, la Casa di cura Leonardo a Sovigliana-Vinci”, spiega all’agenzia Dire Elena, attivista di Non Una Di Meno-Firenze. Si tratta di “una struttura che se una ha la macchina si va in mezz’ora- sottolinea- Con i mezzi devi prendere treno, autobus e camminare un quarto d’ora a piedi. Per una donna che deve fare un aborto chirurgico e’ difficile”. Per questo, Non Una Di Meno-Firenze ha attivato un “servizio di accompagnamento e supporto femminista, su sollecitazione di una ragazza che si era rivolta a noi. Lo abbiamo reso pubblico durante il periodo del Covid e, oltre all’informativa sul nostro blog, sulla pagina Facebook abbiamo creato delle pillole su come abortire a Firenze”. Nei consultori, “rimasti aperti con gli stessi orari”, quello che e’ cambiato “e’ l’accesso diretto, non sempre possibile durante il lockdown”, quando spesso si e’ optato per la prenotazione. Come anche per il cosiddetto test di gravidanza Beta HCG Urine”, che “prima nelle Asl era ad accesso diretto” e che, durante il lockdown, “ha funzionato per appuntamento”.

Mappatura, informazione e reti di supporto grazie a Non Una Di Meno sono nate in molte altre citta’ d’Italia. Come a Bologna, dove il collettivo Mujeres Libres, sostenuto dal movimento transfemminista, “fa supporto a chiunque avesse bisogno di un sostegno per affrontare l’ivg- fanno sapere alla Dire le attiviste- cosi’ come a Bari, dove si e’ attivata anche una linea h24 a cui chiamare per avere supporto emotivo e logistico. Anche a Torino e’ stato aperto uno sportello virtuale per indirizzare le donne con procedure e numeri utili, mentre da qualche giorno a Cosenza e’ possibile l’aborto farmacologico grazie alla lotta delle compagne di FEM.IN Costentine in lotta”.

“Crediamo sia fondamentale continuare a insistere affinche’ il diritto all’aborto venga garantito appieno, superando la legge 194 (abolendo l’obiezione di coscienza ed eliminando la settimana di riflessione) ed incentivando la somministrazione della Ru486, deospedalizzandola ed estendendone il limite fino a nove settimane- chiariscono le transfemministe- In un momento delicato come quello che stiamo vivendo, e’ piu’ che mai importante tutelare la salute delle persone che necessitano un’ivg, consentendo di abortire in sicurezza con il minor numero di visite in ospedale possibili, evitando l’aborto chirurgico in un momento in cui gli ospedali sono saturi, nonche’ potenziali luoghi di contagio. Crediamo sia un momento importante per fare emergere la possibilita’ di rendere cio’ praticabile in futuro- concludono- Siamo, infatti, indisponibili a sacrificare i nostri bisogni e desideri di autodeterminazione in nome dell’emergenza, che in questi mesi e’ continuamente strumentalizzata da organizzazioni pro-vita pronte, come sempre, ad attaccare il diritto all’aborto”.

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