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Padre porta petardi al figlio durante un incontro protetto, per il Ctu la mamma è ostativa

SPECIALE MAMME CORAGGIO | Sul caso al lavoro la commissione femminicidi

Pubblicato:22-05-2020 07:20
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:21
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ROMA – Milena (nome di fantasia, ndr) ha scritto alla redazione DireDonne nei giorni del lockdown. Per lei la quarantena è stato il tempo che la separava dall’“udienza definitiva di oggi, 22 maggio, della Corte d’Appello di Bologna”, trasformata per l’emergenza Covid che ha costretto i legali a consegnare le memorie non in presenza, e su di esse il giudice si metterà al lavoro per la sentenza. “Ho paura- dice nel corso dell’intervista- di questa seconda CTU che propone di sospendermi l’autorità genitoriale e affidare il bambino – suo figlio Marco (nome di fantasia, ndr) di appena 5 anni – ai servizi sociali perché le mie denunce sarebbero ostative alla genitorialità”, nonostante “il mio ex, padre del bambino, sia stato condannato a 3 anni, con rito abbreviato, a maggio 2017, per violenza. Si è appellato e l’udienza non è ancora stata fissata”.

LA STORIA DI MILENA

Milena torna all’inizio della storia – a cinque anni prima – quando è incinta, poco prima che tutto cambiasse. A una settimana dal parto scopre la doppia vita di quell’uomo. Seguono le scuse, le richieste di perdono, “si presenta al parto”. Ma la musica non cambia, “tornati ad Imola” Milena si rende conto che quella vita “di droga, alcol e sesso” come ha raccontato, non è affatto finita, fino alla scoperta “di un fascicolo in cui leggo il suo passato detentivo”. E’ l’inizio della fine. “Sono iniziate intimidazioni e minacce fino all’episodio in cui prova a strangolarmi” e arriva la prima denuncia. Aiutata da una vicina, prepara in tutta fretta una borsa e con suo figlio neonato prende un treno per tornare dalla sua famiglia in Puglia. “Continuano le minacce, mi tempestava di telefonate”.

Milena insegna in una scuola primaria statale e decide di tornare a Bologna, prende casa in affitto. “Lui si era rivolto ai servizi sociali- racconta- sostenendo che non gli facessi vedere il bambino. Lui invece lo vedeva in incontri liberi, “dai quali il bambino tornava sempre con malessere e lividi. Spesso non si presentava, decideva sempre lui”. Arriva un’altra denuncia: “In un centro commerciale mi segue per le corsie- ricorda- mi strattona e mi umilia davanti a tutti perché non volevo tornare con lui. C’erano i video delle telecamere e ho integrato così la denuncia sporta per violenza domestica, avendo conservato tutti i messaggi”.


E’ qui che lui viene condannato in primo grado con rito abbreviato e “ciò nonostante- sottolinea Milena- continua a vedere liberamente il bambino, venendolo a prendere a casa, non l’ho mai negato” anche se agli assistenti sociali “lui racconta l’opposto. Il Tribunale civile di Bologna emette un suo provvedimento: ci trasferisce in Puglia, presso la mia famiglia d’origine- continua il racconto di Milena- e dispone la prima CTU che affida ai servizi sociali il solo monitoraggio del bambino, in cui si parla, a proposito del padre, di “scarsa capacità di auto-contenimento e aggressività” mentre a Milena viene “riconosciuto di aver contribuito alla ripresa dei rapporti padre-figlio”. Sono due incontri protetti padre-figlio che rimangono scolpiti nelle memorie giudiziarie del caso.

“In uno di questi incontri- continua Milena- il padre regala a Marco dei pericolosissimi petardi, ben nascosti nel suo zainetto in un uovo pasquale di plastica indirizzato a me, come si evince dalle conversazioni telefoniche tra padre e bambino nei giorni a seguire. Un dono che l’uomo nasconde all’operatrice incaricata a vigilare sugli incontri protetti, che conferma di ‘non essersi accorta’”. “Finalmente- racconta ancora- ci mettono in una struttura protetta in Piemonte (dove vive la sorella di Milena) per 2 mesi. Il giudice di Bologna a giugno deve convalidare questo 403, ma sulla scorta della relazione dei servizi sociali dice che non c’è pericolo. L’assistente sociale si solleverà dal caso”. In Corte d’appello il giudice “autorizza il trasferimento insieme ai miei genitori presso mia sorella. Lì gli incontri protetti funzionano, con operatore presente nella sede”. Intanto però chiede una seconda CTU per la quale “io sono una mamma ostacolativa e rivendicativa”, nonostante Milena “non abbia mai fatto nulla per impedire gli incontri padre-bambino”.

La storia di Milena inizia ad arrivare all’attenzione della stampa e in tv, ne nasce una petizione sostenuta dall’associazione Maison Antigone, un’interrogazione parlamentare presentata dalla deputatata Veronica Giannone, da sempre in prima linea su questi casi, e ora anche la Commissione d’inchiesta sul femminicidio è al lavoro sul caso. E la condanna per violenza dell’uomo? “Quella condanna non lo interessa” chiosa Milena con sconcerto, riferendo della risposta della CTU: “E’ conflittualità- ha detto- equiparando vittima e maltrattante”.

Proprio su questo aspetto della seconda CTU l’avvocata Emanuela Rosa, legale di Milena, alla Dire ha spiegato: “Contesto della CTU ciò che ho contestato anche negli atti nelle mie difese: l’elemento evidente per cui purtroppo i giudici civili non riconoscono o non accettano il presupposto giuridico da cui partire nella disamina del caso e nell’emissione dei provvedimenti, che deve essere la fattispecie della violenza e non quello del conflitto familiare. Il penale dovrebbe essere pregiudiziale al civile, anche in altri casi si verifica questo: la netta scissione tra i due. Come se ci fosse una dicotomia. Nel caso di specie la signora- ha puntualizzato l’avvocata- ha talmente ben gestito la situazione del bambino, per cui non abbiamo un disagio del minore quando incontra il padre. Ecco perché tutto quanto parte dalla negazione del giudice civile e delle Ctu della fattispecie della violenza. A Bologna è nato il movimento dei padri separati, quella li è la sponda culturale”.

IL SOSTEGNO DAL CENTRO ANTIVIOLENZA

Milena è seguita da un centro antiviolenza, fondato da Adonella Fiorito, volontaria e insegnante, ‘Mai più sole’. “E’ molto spaventata. Abbiamo avuto modo di conoscerla bene in casa rifugio. Milena- ha raccontato- E’ una mamma preoccupata che cerca di mettere in salvo il bambino. Noi diamo sempre tempo alle donne che seguiamo per fare denunce e prepararsi bene, altrimenti poi le ritirano e non sono più credibili. La pubblicità illude, quando denunci iniziano i problemi. Secondo me- ha detto Fiorito- un uomo violento non può essere un buon padre. Non ho mai visto casi di genitori violenti che diventano bravi papà e vedo bambini che diventano poi come quei padri”. Anche la Commissione d’inchiesta sul femminicidio, come detto, si è interessata del caso di Milena e ha evidenziato, rispetto alle carte giudiziarie, “il disconoscimento delle violenze denunciate e gli elementi di rischio e pregiudizio per il minore”, il piccolo Marco.

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