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Il ricordo di Falcone e Borsellino nell’aula bunker che ospitò il maxi processo

Istituzioni e studenti in quella che fu 'l'astronave verde'

Pubblicato:22-05-2019 16:40
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 14:30

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PALERMO – Una fortezza da 7.500 metri quadrati in cemento armato, costruita a tempi record per ospitare uno dei piu’ grandi eventi giudiziari della storia d’Italia: il primo maxi processo alla mafia. E’ l’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo, dove domani si ritroveranno i 1.500 studenti giunti nel capoluogo siciliano a bordo della Nave della legalita’ per ricordare le stragi di Capaci e via D’Amelio in cui persero la vita Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli agenti delle loro scorte. Rappresentanti delle istituzioni e studenti di tutta Italia ricorderanno una delle pagine piu’ importanti della lotta alla mafia in quell’aula in cui si celebro’ il maxi processo, figlio del lavoro portato avanti da Falcone e Borsellino e dagli altri componenti dell’allora Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo.

Una struttura da fantascienza ideata dall’archtetto romano Francesco Martuscelli all’interno del vecchio carcere borbonico e costata circa trenta miliardi delle vecchie lire che, nelle cronache di quel tempo, fu ribattezzata ‘l’astronave verde’ per via del colore dominante al suo interno. I lavori finirono pochi giorni prima del 10 febbraio 1986, primo giorno di un processo ‘maxi’ soprattutto nei numeri: 475 rinviati a giudizio, dei quali 207 detenuti e 121 latitanti. Lungo l’elenco dei capi d’imputazione: 450 complessivamente, su tutti l’associazione a delinquere di stampo mafioso che venne contestata a 377 tra boss e picciotti. I testimoni chiamati a deporre dall’accusa furono 413, 310 le parti lese e circa 300 gli avvocati chiamati a dimostrare l’innocenza dei propri assistiti.

Dentro il gran pentolone del ‘maxi’ c’era di tutto: dalla sanguinosa guerra di mafia dei primi anni Ottanta, che segno’ l’ascesa al potere dei Corleonesi di Luciano Leggio e Toto’ Riina, al boom del narcotraffico sulle vie dell’Oriente e del cosiddetto ‘Triangolo d’Oro’. Lungo e amaro il capitolo dedicato agli omicidi dei servitori dello Stato: da quello del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa a quelli del vicequestore Boris Giuliano, del capitano dei carabinieri Emanuele Basile e del medico legale del Policlinico di Palermo, Paolo Giaccone, ucciso per non aver ‘messo a posto’ un referto che inguaiava alcuni uomini d’onore.


Al centro di intrighi e delitti la ‘Commissione’, cosi’ come raccontato dal ‘teorema Buscetta’ e da altri pentiti del calibro di Totuccio Contorno e Vincenzo Sinagra: era l’organo decisionale di Cosa Nostra che tutto sapeva e approvava. Cosi’ come approvava anche il suo presidente, Michele Greco, detto il ‘Papa’, scovato dai carabinieri a processo in corso. A guidare ‘l’astronave verde’ fu chiamato come presidente di Corte d’assise Alfonso Giordano, che condivise l’esperienza con due giudici togati e sei popolari. Ad accompagnare Giordano in quasi due anni di dibattimento l’allora 41enne Piero Grasso, nel ruolo di giudice a latere. L’accusa fu rappresentata da Domenico Signorino e Giuseppe Ayala.

I verdetto arrivo’ il 16 dicembre del 1987, dopo 35 giorni di camera di consiglio in completo isolamento. Giudici, pm, avvocati e imputati si erano lasciati dietro 22 mesi di processo, 349 udienze e 1.314 interrogatori. Giordano impiego’ circa un’ora e mezza per la lettura delle 54 pagine del dispositivo di una sentenza che inflisse 19 ergastoli, a cui si aggiunsero 2.665 anni e sei mesi di carcere oltre che multe per undici miliardi e mezzo di lire. Le condanne per associazione a delinquere furono 202, mentre gli assolti 114. Nove mesi dopo Giordano e Grasso depositarono le 6.900 pagine di motivazione di una sentenza storica che sanci’ per la prima volta l’esistenza di un’associazione criminale chiamata Cosa nostra.

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