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Medio Oriente, Amurri (Avsi): “Garantiamo la scuola, guadagniamo sorrisi”

La mostra fotografica 'Back to the future. Scatti di voglia di vita dei bambini siriani rifugiati', sarà inaugurata domani a Milano

Pubblicato:22-05-2019 14:42
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 14:30

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ROMA – “I sorrisi dei bambini sono i protagonisti di questa mostra. Gli scatti dei fotografi, anche se realizzati in contesti tristi, di povertà e disagio, restituiscono l’entusiasmo dei nostri bambini e delle comunità con cui lavoriamo”. Così alla ‘Dire’ Davide Amurri, responsabile di Avsi in Libano, ong che insieme con Terre des Hommes e War Child Holland porta avanti un progetto educativo in Libano e Giordania, finanziato dal fondo Madad dell’Unione Europea.

Il piano è rivolto ai bambini profughi siriani ma anche ai piccoli delle famiglie locali svantaggiate. Da questa azione, che coinvolge quasi 25mila minori dai tre ai 14 anni, è nata la mostra fotografica ‘Back to the future. Scatti di voglia di vita dei bambini siriani rifugiati’, che sarà inaugurata domani a Milano.

L’esposizione, in corso fino al 30 maggio, si compone di una ventina di lavori realizzati da tre fotografi internazionali: il britannico Andy Hall, lo spagnolo Diego Ibarra Sanchez e l’olandese Arie Kievit.


“Questi fotoreporter – racconta Amurri dal Libano – hanno visitato spesso il nostro progetto. Grazie alle loro qualità tecniche e umane hanno colto lo spirito del nostro lavoro, che vogliamo raccontare al pubblico italiano”.

E in cosa consiste? “Si compone di attività a vari livelli” spiega il responsabile. Più in generale, prosegue, “puntiamo a garantire che i minori vadano a scuola, e non la abbandonino. Le barriere di contesto sono tante”.

Si va dalle difficoltà delle famiglie povere che non riescono ad acquistare i materiali al problema dei trasporti: i campi profughi informali spesso sono lontani dalle strutture scolastiche. Ma la povertà porta con sé anche il rischio che i bambini debbano lavorare per aiutare le famiglie, o che gli adolescenti incorrano i matrimoni precoci.

“Più crescono – dice Amurri – più queste prospettive si fanno concrete”. Avsi, Terre des Hommes e War Child Holland – in collaborazione con una ventina di realtà locali – adattano l’azione all’età, spiega ancora il project manager: “Offriamo attività prescolari ai bambini dai tre ai cinque anni. Per quanto riguarda quelli tra i sei e i sette anni invece, andiamo a cercarli casa per casa affinchè siano iscritti a scuola. Le famiglie profughe a volte non sanno dove sono le strutture o hanno paura a lasciare i campi. Infine, ai minori tra gli otto e i 14 anni offriamo corsi di alfabetizzazione di base, per recuperare gli anni di studio persi. Li prepariamo all’esame con cui poi vengono reinseriti nel sistema scolastico”.

Più in generale, sottolinea Amurri, “garantiamo un ambiente sicuro e protetto in cui i minori possano sviluppare le proprie capacità”. Quindi, arriva la seconda fase: mantenere i bambini a scuola a partire da corsi di sostegno. “Non dobbiamo pensare però che i genitori ritirano con leggerezza i figli da scuola” dice il cooperante. “Nonostante le difficoltà del contesto, l’educazione dei figli è una delle priorità più alte che le famiglie hanno. Quando accade, vivono con estremo dolore il fatto di dover scegliere se spendere per la scuola o il cibo. In realtà è normale che un genitore senta la responsabilità di garantire l’istruzione ai propri figli, ma in un contesto del genere non è affatto scontato”.

Il lavoro delle tre ong, che coinvolge 25 scuole tra Libano e Giordania e in altri 27 centri gestiti dalle associazioni, si realizza in collaborazione con insegnanti, operatori locali ma soprattutto famiglie. “un ottimo modo – evidenzia Amurri – per dare un segno tangibile del fatto che vogliano aiutare tutti, non solo i rifugiati”. Come spiega ancora il responsabile, dallo scoppio della guerra siriana, Giordania e Libano accolgono circa due milioni di profughi, a fronte di una popolazione totale di circa otto milioni. “E’ come se in Italia ospitassimo 20 milioni di profughi”. Facile quindi che si creino invidie, tensioni e rivalità, ma “mettere in relazione i bambini – profughi e non – e le famiglie, aiuta ad allentarla”.

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