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Sanità, più privato e meno territorio: il ‘modello Lombardia’ spiazzato dal Covid-19

Vent'anni di riforme e un sistema costruito per facilitare l'ingresso del privato: intervista alla professoressa Maria Elisa Sartor

Pubblicato:22-04-2020 09:56
Ultimo aggiornamento:14-01-2021 18:42

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MILANO – Il peso dei posti letto delle strutture private raddoppiato in vent’anni. Ospedali pubblici e presidi di medicina territoriale pubblici costantemente trasformati e depotenziati. Strutture di assistenza di lungo termine pubbliche scomparse, sostituite da Rsa private. E’ questo il ‘Modello Lombardia’, il sistema sanitario regionale che, dopo un percorso di riforme lungo più di vent’anni, rappresenta un unicum nel panorama nazionale. A fotografare questa trasformazione è Maria Elisa Sartor, professoressa a contratto di Organizzazione sanitaria dell’Università degli Studi di Milano, e collaboratrice di ‘saluteinternazionale.info’, della rivista ‘Gli Asini’, e del centro studi ‘Sereno Regis, intervistata dall’agenzia Dire.

LEGGI LA SECONDA PARTE DELL’INTERVISTA: Il Covid-19 e le contraddizioni della sanità lombarda: pubblico e privato non sono uguali

FORMIGONI E LA SVOLTA PRIVATISTICA

“Nel 1997- spiega la prof.ssa Sartor- la Lombardia dà una sterzata decisa verso un modello pensato per facilitare il più possibile l’entrata dei privati nel Servizio Sanitario Regionale (Ssr), prendendo a modello la riforma sanitaria britannica dei primi anni ’90”.


Il primo effetto di questa riforma, voluta dall’allora presidente Roberto Formigoni, è la creazione del “quasi-mercato” della sanità, dove la Regione presidia e regola il Ssr affidando l’erogazione dei servizi ad aziende pubbliche e private, poste in concorrenza tra loro: “la funzione di erogazione dei servizi- spiega la prof.ssa Sartor- è stata separata dalle altre, in modo che tale funzione potesse essere contesa dal privato e affidata sempre più ad esso”.

Il ruolo della Regione diventa quindi quello del “committente, che compra servizi dai soggetti erogatori pubblici e privati, considerati in teoria su un piano di parità”. Così, le strutture pubbliche del sistema sanitario “diventano nella pratica delle ‘aziende’, gestite via via in modo sempre più manageriale”, mentre “i soggetti privati entrano nel quasi-mercato della sanità con orientamenti profit”.

Sull’ingresso del privato, però, i controlli sono morbidi o assenti: “In un primo momento- spiega la prof.ssa Sartor- fra il 1997 e i primi anni del 2000, la Regione tralascia di valutare i suoi fornitori in ambito sanitario, estendendo le convenzioni pre-esistenti e consentendo la fornitura dei servizi a strutture che si auto-valutavano come idonee e che, per un certo lasso di tempo, di fatto non verranno controllate”.

UN MODELLO ‘OSPEDALO-CENTRICO’

L’ingresso del privato nel ‘quasi-mercato’ della sanità costringe la Regione Lombardia a ridisegnare radicalmente il modello di erogazione dei servizi. I gruppi privati, infatti, sono costituiti prevalentemente da ospedali e così “l’ospedale diventa il fulcro intorno al quale si immagina di costruire il nuovo sistema. In questo modo- prosegue la prof.ssa Sartor- si perde il bilanciamento tra ospedale e territorio presente nel modello precedente”. Una svolta che rappresenta “una scelta obbligata, data la strategia di privatizzazione del sistema”.

Il nuovo modello “ospedalo-centrico” comporta anche un radicale cambiamento del sistema delle Asl che, spiega la prof.ssa Sartor, “non erogano più direttamente servizi ai cittadini e ridimensionano le attività di prevenzione. Con la riforma di Formigoni del ‘97, innanzitutto, si occupano degli erogatori del quasi mercato”, ovvero “negoziano le condizioni di servizio con i gestori pubblici e privati e li pagano per conto della Regione”. Le Asl, quindi, perdono la funzione di servizi sanitari territoriali, assumendo più quella di centri amministrativi del sistema.

Il risultato? “Il grosso della struttura pubblica territoriale- spiega ancora la prof.ssa Sartor- viene in parte riattribuita agli ospedali e in parte eliminata”.

MARONI, UNA RIFORMA INCOERENTE E INCOMPIUTA

Il corto circuito, però, diventa evidente e nel 2013 il neo governatore Roberto Maroni prova a correre ai ripari, annunciando una nuova riforma. “Il ‘Libro Bianco’ di Maroni incontra consensi- racconta Sartor- perché intende cambiare l’impianto generale del Ssr e quindi si accendono le speranze per un riequilibrio del sistema. Ma la riforma del 2015 non sarà in continuità con gli annunci, prevedendo nuove ibridazioni delle strutture pubbliche con il privato e restando incompiuta proprio per quanto riguarda le articolazioni territoriali delle nuove strutture”.

Con la legge regionale num. 23 del 2015 vengono create due nuove strutture, le Ats (Agenzie tutela della salute) che sostituiscono le Asl, e le Asst (Aziende socio sanitarie territoriali) che sostituiscono le Aziende Ospedaliere.

“Le Agenzie di tutela della salute- spiega Sartor- si impegnano sul fronte della regolazione del quasi mercato con committenza e acquisto di servizi” mentre le funzioni di prevenzione vengono “ridimensionate e riorientate”. Il passaggio da Asl a Ats comporta inoltre la riduzione da 15 a 8 strutture su tutto il territorio regionale, creando una situazione in cui le singole Ats coprono “aree territoriali molto più vaste ed eterogenee come numero di abitanti, fino ad arrivare all’Ats di Milano Città metropolitana che serve una popolazione di circa 3.400.000 abitanti”.

A dover assolvere alla funzione di erogazione dei servizi ospedalieri e territoriali sono quindi le Asst, che sarebbero dovute diventare “una sorta di ospedale che si ramifica sul territorio”. Ma questa parte della riforma non verrà mai applicata: “Le Asst- spiega la prof.ssa Sartor- non hanno istituito capillarmente le articolazioni territoriali previste dalla riforma- i Pot (Presidi Ospedalieri Territoriali) e Presst (Presidi sociosanitari territoriali)- e non coprono i bisogni di un servizio diffuso. Il profilo territoriale non è compiuto”.

LA CRESCITA DEL PRIVATO

E mentre il territorio resta sguarnito, la sanità privata cresce: secondo i dati elaborati dalla prof.ssa Sartor “si registra un dimezzamento del peso dei posti letto pubblici e un aumento di quelli privati, che passano dal 19% del 1997 al 40% attuale, raddoppiando il peso iniziale. Gli IRCCS (Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico) privati, che ricevono fondi di ricerca pubblici dallo Stato e dalla Regione e godono dal 2010 di una sovra-tariffazione per i servizi che erogano, sono diventati circa quattro volte i pubblici (14 IRCCS privati a fronte dei 4 pubblici) aumentando anche il numero delle sedi, passando da 13 iniziali a 21”. Nel 2003, inoltre, cambia la “natura delle strutture di assistenza di lungo termine, con la scomparsa degli IPAB (Istituti di Pubblica Assistenza e Beneficienza) sostituiti da RSA private (oggi circa 675) e altre strutture”.

I dati mostrano poi un ulteriore effetto di questo processo: nel 2017, a fronte di un numero di ricoveri pari al 35% del totale, gli erogatori privati hanno incassato il 40% dei fondi pagati dalla Regione per queste attività, senza contare la sovra-tariffazione per poli universitari e IRCCS. Questo, spiega la prof.ssa Sartor, perché “i servizi a maggior contenuto tecnologico e altamente specialistico migrano dal pubblico al privato. In molti ambiti di servizio, il sorpasso è già avvenuto da un certo numero di anni”.

“Il privato- conclude la prof.ssa Sartor- è in una posizione molto forte, in alcuni servizi è più presente di quanto non lo sia il pubblico, sia per quanto riguarda i numeri, sia per quanto riguarda il ruolo. Si può quindi affermare che il Ssr della Lombardia è sbilanciato fortemente in senso strategico a favore del privato”.

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