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Israele ripristina quattro colonie illegali smantellate da Sharon

La nuova legge annulla parte del 'Piano di disimpegno' del 2005 per Cisgiordania e Gaza

Pubblicato:22-03-2023 15:07
Ultimo aggiornamento:23-03-2023 09:13

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ROMA – Il parlamento israeliano, la Knesset, ha approvato con 31 voti favorevoli e 18 contrari una legge che permetterà a diversi coloni israeliani di fare ritorno in quattro insediamenti illegali nella Cisgiordania occupata, che vennero sgomberati nel 2005. La legge, per essere attuata, attende un’ordinanza dell’esercito che possa permettere ai cittadini di tornare. Gli insediamenti di coloni esclusivamente israeliani ed ebrei – quindi non di origine palestinese – è una pratica al centro dell’agenda politica dell’attuale governo guidato da Benjamin Netanyahu, con diversi esponenti che vivono negli insediamenti come il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir, che vive a Kiryat Arba, vicino Hebron, oppure il ministro delle finanze Bezalel Smotrich che risiede a Kedumim, non lontano Nablus. Contro quest’ultimo ieri l’Autorità nazionale palestinese ha fatto sapere che intende chiedere un mandato di arresto internazionale alla Corte penale dell’Aia per via delle “dichiarazioni che incitano all’odio e alla superiorità razziale del popolo ebraico a spese del resto delle nazioni del mondo, e della Palestina in particolar modo”.

Contro questo ministro e il sesto governo Netanyahu sono in corso da settimane forti manifestazioni animate dalle opposizioni israeliane, per chiedere l’annullamento di una riforma della Giustizia che sottrarrà potere ai giudici a vantaggio dell’esecutivo. Le comunità ebraiche all’estero denunciano anche la pratica degli insediamenti illegali, vietata dal diritto internazionale e da diverse risoluzioni dell’Onu e oggetto di critiche contro Tel Aviv anche da parte di Stati Uniti e Unione europea. Con questa nuova legge, però, si è deciso di smantellare parte del “Piano di disimpegno” attuato dall’allora premier Ariel Sharon nel 2005, quando furono chiuse diverse colonie illegali a Gaza e in Cisgiordania che ospitavano circa 9mila coloni israeliani.

Secondo le fonti di stampa internazionale attualmente tra i 650mila e i 700mila israeliani vivono in colonie illegali in Cisgiordania e Gerusalemme Est, una pratica duramente criticata dall’Autorità nazionale palestinese (Anp) e dai residenti perché fonte di espropri e accaparramento delle risorse naturali. Si denunciano inoltre violenze da parte dei coloni a danno delle comunità residenti. L’ultimo caso in ordine di tempo riguarda il villaggio di Hawara, nel governatorato di Nablus, nella Gisgiordania settentrionale. Qui il 26 febbraio, dopo l’uccisione di due fratelli ebrei, diversi pullman con a bordo circa 500 coloni sono entrati al mattino per compiere un assalto, così come hanno riferito i testimoni. Decine di case, negozi e auto sono state date alle fiamme. Il fatto che le colonie ripristinate dalle autorità siano nei pressi delle città palestinesi di Jenin e Nablus – focolaio da mesi di rinnovate violenze, che ha causato già un’ottantina di vittime palestinesi nel 2023 – fa temere agli osservatori nuove violazioni.


Le legge approvata dalla Knesset “è l’ennesimo esempio di come i palestinesi siano trattati da cittadini di serie B: la loro vita, le loro proprietà, i loro affetti non hanno nessun valore per le autorità d’Israele” dichiara all’agenzia Dire Tina Marinari, responsabile campagne per Amnesty International. L’organizzazione nel febbraio 2022 ha rilasciato un report di quasi 300 pagine, frutto di quattro anni di lavoro, in cui si denuncia la pratica di apartheid di Israele nei confronti della popolazione palestinese. “Amnesty- prosegue Marinari- continua a chiedere alle autorità israeliane di rimuovere tutti gli insediamenti, la cui presenza costituisce un crimine di guerra dal punto di vista del diritto internazionale, e di smantellare il sistema dell’apartheid contro i palestinesi, che rappresenta un crimine contro l’umanità”.

La responsabile denuncia anche la pratica di non garantire il ritorno ai palestinesi che lasciarono le loro case nel 1948, dopo la proclamazione dello Stato di Israele, e i molteplici casi di espropri e abbattimenti che ne seguirono. Cita quindi il caso del villaggio di Iqrit, raso al suolo nel 1951: “Nel 1948- dice Marinari- l’esercito israeliano ordinò ai circa 600 residenti di andarsene ‘temporaneamente’, ma non ebbero mai il permesso di tornare e tre anni dopo le case vennero abbattute. Hanno quindi presentato ricorso alla Corte Suprema di Israele per ottenere il loro diritto al ritorno, e hanno vinto. Tuttavia, nessun governo ha mai permesso da allora l’applicazione di quella sentenza. Oggi- conclude Marinari- quella comunità sfiora le 1500 persone che vivono a una ventina di chilometri da Iqrit. Ma le autorità sanno che se quell’unica sentenza venisse rispettata, migliaia di palestinesi farebbero ricorso e potrebbero riottenere case e terreni espropriati”.

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