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Etiopia, lo studioso dell’Università di Macallè: “Servizi al 15% dei livelli pre-guerra”

"Al lavoro per ripristinare patrimonio archeologico"

Pubblicato:22-03-2023 15:12
Ultimo aggiornamento:22-03-2023 15:12
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ROMA – In Etiopia sono passati oltre quattro mesi dalla firma dall’accordo per la cessazione delle ostilità che ha messo fine a due anni di conflitto, ma nella regione settentrionale del Tigray l’accessibilità ai servizi “non supera il 15 per cento dei livelli pre-guerra”. All’agenzia Dire lo denuncia Tsige Berhe, direttore dell’Institute of Paleo-Environment and Heritage Conservation dell’Università di Macallè, città che del Tigray è il capoluogo. L’ente guidato da Berhell si occupa principalmente di paleoecologia, antropologia, archeologia ma anche gestione turistica dei siti storici. L’intervista si svolge nelle stesse ore di una visita in Etiopia del segretario di Stato degli Stati Uniti Anthony Blinken, diretto oggi in Niger. La missione di Blinken è la prima di un dirigente statunitense di questo livello dall’intesa dello scorso novembre, siglata in Sudafrica dal governo dell’Etiopia e dalle autorità di Macallè, guidate dal Fronte di liberazione del popolo tigrno (Tplf).

L’accordo ha messo fine a un conflitto cominciato due anni prima, nel novembre 2020, ed è stato poi rafforzato e definito da un’ulteriore intesa sul piano militare firmata in Kenya. Nel corso del suo viaggio Blinken ha elogiato “l’impegno mostrato da entrambe le parti nei confronti del processo di pace” che include “sia la rinconciliazione che il chiarimento delle responsabilità” relative ai crimini commessi durante il conflitto. Nelle ostilità potrebbero aver perso la vita fino a 600mila persone, stando a stime rese note a gennaio dal capo mediatore dell’Unione Africana nel conflitto, l’ex presidente della Nigeria Olusegun Obasanjo. Blinken ha annunciato anche un piano di aiuti umanitari da 331 milioni di dollari. L’iniziativa mira a sostenere sia la popolazione colpita dal conflitto che quella prostrata dalla siccità e dall’insicurezza alimentare che pure colpiscono il Paese africano, anche al di fuori dei confini del Tigray.

Nella regione teatro del conflitto invece, l’erogazione dei servizi essenziali, compresi quelli finanziari, è stata sospesa dal governo etiope in modo continuativo per oltre un anno dal luglio 2021 e in forma parziale fin dall’inizio del conflitto. La corrente elettrica, la connessione alla rete telefonica e a quella internet e tutti gli altri servizi sono tornati progressivamente a disposizione della comunità nei mesi scorsi per effetto degli accordi di novembre. Berhe, una laurea in architettura all’università di Arba Minch, nel sud del Paese, una magistrale ad Addis Abeba e poi un’esperienza di 12 anni presso l’ateneo tigrino, dà conto di una situazione ancora complessa e in divenire, a partire dai pagamenti in università. “Ci hanno appena comunicato che i fondi per gli stipendi di tre mesi – dicembre, gennaio e febbraio – sono stati appena sbloccati; gli uffici dei vari atenei hanno quindi fatto richiesta dei soldi per poterli distribuire”, riferisce il dirigente. “Il budget per l’istruzione superiore è stato bloccato per due anni e per adesso non sono ancora stati allocati nuovi fondi”, spiega l’architetto, che aggiunge: “Il presidente dell’università di Macallè e il suo staff sono ad Addis Abeba per discutere dei piani di riabilitazione degli studi universitari in questi giorni”.


Per altri servizi essenziali la situazione sembra essere più complessa, stando a quanto riporta il dirigente dell’università di Macallè. “Per ora la situazione non è tornata ai livelli pre-guerra”, premette Berhe. “A Macallè la filiale principale della Commercial Bank of Ethiopia (Bce) distribuisce ogni giorno circa 3mila birr – l’equivalente di 52 euro, ndr – ma ci sono lunghe file. Altri filiali arrivano a dare fino a 2mila birr ma spesso la valuta contante finisce. Lo stesso- prosegue il direttore- avviene con le banche private, che per altro danno cifre molto minori, 2mila birr mensili in genere”. Una ripresa altalenante quindi, così come “sono altalenanti la linea telefonica e internet e la rete elettrica, che vanno e vengono”, dice lo studioso, che specifica: “Questo succede a Macallè poi, mentre nelle zone rurali non c’è praticamnte modo di collegarsi alla rete telefonica mentre il livello delle altre attività è molto scarso”. Tenendo in conto tutto, stima il direttore, “la funzionalità generale dei servizi si aggirerà attorno al 10, 15 per cento di quella precedente allo scoppio del conflitto”.

La guerra, spiega poi l’architetto, ha avuto un impatto “molto forte sul patrimonio artistico e archeologico del Tigray“, culla dell’antico e potente regno di Axum e terra ricca di testimonianze di culture e religioni diverse, come quelle islamica e cristiano-ortodossa. “Molti siti storici sono stati usati come campi di battaglia– prosegue lo studioso- diversi monumenti sono stati colpiti e danneggiati da spari di artiglieria e da esplosioni molto forti; i segni delle ostilità sono ovunque: colonne, finestre, pavimenti antichi, mura, affreschi murari. Diversi oggetti di valore dal punto di vista storico sono anche stati rubati”. L’Istituto diretto da Berhe è già al lavoro però, come riferisce lui stesso alla Dire. “Abbiamo già istituito una squadra di professionisti che sta facendo lavori di ricerca in alcuni siti- spiega l’esperto- come presso le strutture islamiche di Negash”, ritenute le più antiche d’Africa, “e le antiche chiese cristiane scavate nella roccia di Gerealta. Siamo alla ricerca di sostegno finanziario per portare aventi questi progetti”.

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