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Bimbo riferisce alla Ctu gli abusi del papà, tutto archiviato e distrutto il referto del tampone anale

Per tribunale il problema è la mamma. Nacca: "Report di 800 casi in cui sistema nega la pedofilia"

Pubblicato:22-02-2023 12:44
Ultimo aggiornamento:22-02-2023 14:41
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ROMA – Mattia (ndr, nome di fantasia) ha quasi 4 anni quando “la mamma vede un arrossamento, pelle violacea nella zona anale e gli chiede cosa sia accaduto. Il piccolo indica delle bottiglie detergenti e racconta di abusi e molestie sessuali, mimando anche il gesto”. E’ agosto 2019. I genitori sono separati e il piccolo frequenta il papà con visite libere, quasi sempre anche nel domicilio materno. Da quel racconto parte la denuncia direttamente dall’ospedale dove la mamma porta subito il bimbo in visita. La perizia non confermerà in modo inequivocabile un abuso sessuale. Tutto viene archiviato, il referto del tampone anale rileva un numero elevato di cellule epiteliali, ma sarà distrutto e non più disponibile per ulteriori approfondimenti da parte dell’Autorità Giudiziaria.

In CTU, nel 2021, il bambino ripeterà gli stessi identici racconti che saranno riportati nella relazione ma che non faranno riaprire le indagini. L’avvocata della mamma ripercorre con la Dire i momenti salienti di questa vicenda che vede una prossima udienza il 28 febbraio: saranno ascoltate le zie paterne. Al Tribunale ordinario di Napoli la curatrice, infatti, ha presentato istanza per chiedere se ci siano parenti prossimi che possano prendersi cura del piccolo Mattia. È la mamma ad essere considerata inadeguata. Lo scrive la CTU, nero su bianco: “La fusionalità madre/figlio sembra giustificata da una concomitante accusa di abuso sessuale che dà corpo ad una condizione di per sé latente, fusiva e confusiva”. “C’è addirittura una richiesta del PM- segnala l’avvocata- di decadenza della potestà genitoriale della mamma”.

LA SOFFERENZA DEL PICCOLO MATTIA

Il bambino, affetto anche da un’anomalia genetica, oggi deve seguire un regime di incontri protetti con il padre che gli causano profondo malessere e una serie di disturbi: dall’enuresi notturna a pianti disperati appena lo vede, si rifiuta di scendere dalla macchina quando le assistenti sociali glielo fanno incontrare. Giovedi 16 febbraio è finito in pronto soccorso per difficoltà a respirare, forte ansia. “Mamma ci devo andare per forza?- mi chiede continuamente, racconta Annalisa (ndr, nome di fantasia) alla Dire- gli ho spiegato che se non rispettiamo queste regole possono accadere cose peggiori. La giudice ha deciso così e cerco di dargli forza, gli dico che passerà, che è coraggioso”. Mattia – che oggi va in seconda elementare – non è mai stato ascoltato dal giudice e a distanza di anni ha riferito gli stessi episodi e l’identico racconto fatto in quell’agosto.


LA CTU NON FA RIAPRIRE INDAGINI

“Nella ctu la tematica della violenza non viene presa in considerazione. La consulente tentò anche conciliazione e mediazione mentre io con Ctp rispondemmo che, con le tematiche sollevate, non era il caso. Dall’ospedale partì la segnalazione a servizi sociali e carabinieri e partì d’ufficio una denuncia contro ignoti– racconta nel dettaglio l’avvocata- ma appunto il tampone non è stato conservato e si sarebbe invece potuto determinare se quelle cellule epiteliali fossero del bambino oppure no. La questione è stata poi ridimensionata dal pediatra del bambino: l’arrossamento non era senza dubbio prova di una penetrazione, ma poteva essere anche ossiuri, allergia al pannolino. Non ha chiesto però altri approfondimenti. La signora è stata chiamata dai carabinieri dopo tre giorni”.

Ricordiamo che “all’inizio era una separazione con negoziazione assistita. La signora non era contraria ai diritti di visita del padre, anzi l’uomo trascorreva più tempo della madre con il bambino. I problemi sono iniziati solo dopo che il bambino ha iniziato a manifestare disagio quando la mamma si allontanava fino all’episodio di agosto 2019 e al racconto del piccolo”.

L’avvocata “ha chiesto l’incidente probatorio e sollecitato indagini, ma il pm non mi ha trattato in modo civile né corretto– segnala- Ha ammesso una consulenza neuropsichiatrica con una dottoressa a Caivano con una proposta di incontri settimanali. Ne ha fatti tre, di cui due molto ravvicinati e il bambino non ha di fatto detto nulla. La relazione sul bimbo mostrava sintomi aspecifici, non per forza riconducibili ad abusi. Il pm dopo 6 mesi ha chiesto archiviazione, io mi sono opposta, ma il procedimento è stato archiviato”. Una procedura che l’avvocata definisce “superficiale”.

Racconta ancora l’avvocata: “In udienza il giudice ci ha fatti entrare tutti insieme e ha detto che queste cose non si fanno, che i bambini ci vanno di mezzo, non credeva agli abusi. Nel provvedimento ha chiesto una consulenza psicologica, è andato in pensione ed è stato sostituito mentre facevamo la ctu”.

E proprio la consulente psicologa del Tribunale bolla la questione con la solita teoria, ormai mascherata nel lessico, dell’alienazione parentale, secondo lo schema argomentato da Richard Gardner in cui non si crede al bambino che racconta la pedofilia subita. “La ctu riconosce un patto di lealtà madre-figlio e parte con la richiesta di un curatore speciale per atteggiamento ostacolante della mamma. Chiedo la riapertura dell’indagine– spiega l’avvocata- perché la consulente riporta il racconto del bambino ma non lo analizza e non trae conclusioni. Il bambino alla ctu lo dice in video chiaramente ‘che non vuole vedere il papà perché gli ha fatto le cose brutte’ e la consulente non approfondisce. Io e le ctp dicevamo di non fare incontri padre e figlio e invece di convocarci è partita con istanza al presidente del Tribunale per chiedere un curatore speciale per andare avanti. Da lì il provvedimento per gli incontri protetti”.

Il quadro del piccolo Mattia durante questi incontri è quello di un bambino che inizia a sviluppare una serie di disturbi: grida durante gli incontri, è destabilizzato. “Il primo dicembre il curatore ha preso contatti informali con le parti per sapere se c’erano parenti disponibili per l’affidamento del bambino- spiega ancora il legale della mamma- evidentemente la controparte ha fatto nomi ed è stata chiesta la secretazione del provvedimento del trasferimento eventuale del minore. L’udienza è il 28 febbraio e saranno chiamate le zie paterne”.

Intanto Annalisa e suo figlio vivono in questa attesa e il piccolo Mattia ogni settimana è in preda a sofferenze, come racconta sua mamma. Una situazione che i servizi sociali coinvolti riconoscono di disagio, ma che anche per loro “dipenderebbe dalla madre”. Il bambino è stato visitato da un neuropsichiatra dell’ospedale Santobono, che ha consigliato ‘di non sottoporlo a stress”. “Ho scritto mail al servizio sociale sulle resistenze del piccolo, i suoi malesseri anche in base alle indicazioni mediche, ma il servizio sociale- racconta la mamma di Mattia- ha ritenuto di continuare nelle stesse modalità anzi aumentando: una volta a settimana, prima era ogni due”.

REPORT SULLA PEDOFILIA: NEL 99% CASI NEGATA

L’avvocata Michela Nacca, interpellata dalla Dire, mette in luce il rapporto tra il racconto dei minori e le denunce di sospetti abusi sessuali e la reazione del sistema giudiziario. ‘Nel dicembre 2022 come residente dell’associazione Maison Antigone ho inviato alla Relatrice Speciale ONU- avverte- un report sulla Violenza contro le Donne e le bambine di 800 casi che ho raccolto, verificato ed esaminato dettagliatamente negli ultimi anni, vagliandone gli atti processuali. Si tratta di casi in cui sistematicamente la violenza domestica paterna, compresi vari casi di abuso sessuale su minori, nei tribunali italiani sono stati puntualmente negati, sviliti, non considerati e le cui denunce sono state ridefinite frutto di presunte manipolazioni e strumentalizzazioni materne senza prova alcuna e in assenza di comportamenti materni a ciò finalizzati. Ciò è avvenuto nonostante al contrario fossero presenti racconti puntuali, credibili e ripetuti dei bambini presunte vittime di quelle violenze e/o abusi, talvolta anche in presenza di prove fisiche e testimoniali, nonché importanti e coerenti elementi circostanziali o confermativi di esperti in materia e referti di Pronto Soccorso, nonostante sintomi fisici e psicologici della violenza e degli abusi subiti da quei bambini. La paura del bambino vittima di maltrattamenti e abusi, grazie all’uso del costrutto legato alla teoria Parental Alienation (gia’ denominata Pas) viene costantemente ridefinita come rifiuto proprio al fine di depotenziare il senso della reazione emotiva del bambino e dunque per occultarne il riferimento alle cause, reinterpretando quella paura come altro. In Francia, Canada, Australia, dove i governi hanno avviato serie indagini sulla difficoltà di riconoscere la violenza domestica ed in specie gli abusi sessuali su minori nei loro tribunali, a causa dell’uso di teorie legate o derivate dalla Alienazione Parentale, è emerso che la violenza domestica paterna viene negata in circa l’80% dei casi, mentre gli abusi sessuali incestuosi su minori (in genere statisticamente paterni) vengono riconosciuti e condannati in media solo circa l’1% delle volte, e nel 99% dei casi l’abuso – anche quando provato – viene negato’.

“Il fallimento della giustizia e del sistema di protezione di quei Paesi- denuncia l’avvocata Nacca- è stato fatto emergere con coraggio, proprio al fine di porvi rimedio. Gli effetti devastanti sulla società e la vita di questi bambini, che rischiano seriamente di venire riaffidati proprio al genitore maltrattante, sono stati presi in seria considerazione. Il report sugli 800 casi italiani verrà presto pubblicato su una rivista scientifica, con la collaborazione della dottoressa Feresin dell’Università di Trieste, e sarà oggetto di una relazione alla Conferenza Europea sulla Violenza Domestica organizzata a settembre prossimo in Islanda. Una Conferenza che vedrà interventi da tutto il mondo accademico internazionale. Anche l’Italia dovrebbe prendere in seria considerazione di avviare una specifica indagine parlamentare sui casi di abuso sessuale incestuoso sui minori: una indagine appena sfiorata e affatto approfondita nei Report della commissione parlamentare sul Femminicidio. Cio’ sebbene molti dei casi segnalati alla Commissione riguardassero proprio o anche sospetti abusi sessuali su minori. In Francia del resto è stato accertato che nel 40% dei casi tali abusi sessuali vengono commessi dal padre violento proprio per punirne la madre: essi dunque andrebbero considerati anche come forma di violenza vicaria‘. Tutta l’azione dell’avvocata di mamma Annalisa è volta a tutelare il piccolo, a lasciarlo dove si sente protetto e accudito, a evitare ogni tipo di costrizione e allontanamento, ad alleviare lo stato di angoscia in cui è costretto a vivere.

LA MAMMA: IO COME UN’EBREA AI TEMPI DEI NAZISTI

Annalisa trascorre le sue giornate nel terrore e alle prese con le crisi d’ansia del figlio. È una donna laureata, che non si arrende, ma ha sempre più paura di come le indagini che lei ha chiesto alle Istituzioni siano diventate un processo al suo essere mamma. “Mi sento come un’ebrea durante il tempo del nazi-fascismo, sto avendo a che fare con dei mostri- dice angosciata- Questa non è una società dove c’è posto per donne e bambini. Ci si sente in croce per aver denunciato. Se dovessi sintetizzare direi che tutto questo si chiama male, sono declinazioni del male”.

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