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Barni (CulTurMedia): “Serve uno Statuto per tutto il lavoro culturale”

Intervista alla presidente dell'associazione che riunisce oltre mille cooperative del settore cultura, turismo e comunicazione in occasione del Congresso nazionale oggi a Roma

Pubblicato:22-02-2023 10:54
Ultimo aggiornamento:22-02-2023 12:07
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ROMA – Incentivare il rapporto tra pubblico e privato, portare a termine il percorso della Legge delega sullo Spettacolo, ma soprattutto procedere alla stesura di uno Statuto del lavoro culturale nel suo complesso. Le cooperative del settore cultura, turismo e comunicazione delineano le loro istanze al II Congresso nazionale CulTurMedia, in programma oggi a Roma, negli spazi dell’edificio Marco Polo della Sapienza. Costituita nel 2017 in seno a Legacoop, CulTurMedia rappresenta oltre mille cooperative in tutta Italia. L’agenzia Dire ha intervistato la presidente nazionale, Giovanna Barni.

– Presidente Barni, il Congresso Nazionale CulTurMedia è anche un momento di riflessione dopo anni durissimi che hanno visto il mondo della cultura essere uno dei settori più colpiti. A oggi possiamo dire di essere usciti da quella crisi senza precedenti? Qual è lo stato di salute delle cooperative che operano intorno al mondo della cultura e del turismo?

“Sono molte le cooperative che svolgono attività in questo settore molto articolato e complesso, che va dalle attività culturali, come la gestione e i servizi per il patrimonio, ma anche lo spettacolo dal vivo, la musica e l’audiovisivo, l’editoria, i giornali cooperativi, le cooperative di comunicazione. Sono tantissime professioni e attività diverse diffuse in tutto il Paese. La cooperazione è stata colpita in modo molto duro durante la pandemia, siamo arrivati anche a perdite di oltre il 40%. Però è anche vero che le cooperative, proprio grazie al loro radicamento nei territori e grazie al fatto di essere realtà ibride, non dedicate a un’unica attività, sono riuscite comunque a essere flessibili e a trovare il modo di soddisfare i nuovi bisogni emersi durante la pandemia. Questo significa cultura di prossimità, dunque meno dipendente dai grandi flussi turistici e alternativa alle grandi mete dove si concentrano i visitatori del patrimonio culturale. Con queste modalità le cooperative probabilmente hanno saputo reagire meglio alla crisi e soprattutto hanno saputo anche garantire meglio la tutela del lavoro durante la crisi”.


– Questi nuovi modelli continuano a funzionare anche con il ritorno alla normalità?

“Si tratta di forme di economia di rete e di economia collaborativa anche tra pubblico e privato. Nel nostro Paese il 60% del patrimonio culturale è sottoutilizzato e sono moltissime le cooperative che abbiamo aiutato per rinnovare il modello di rapporto fra pubblico e privato, diventando non più soltanto fornitori di servizi, ma provando a progettare e gestire la riutilizzazione e la valorizzazione di questo patrimonio culturale altrimenti appunto sottoutilizzato. È un modello che va bene per i musei, per i monumenti, per i siti archeologici, per i borghi. Tanto che anche alcune misure del Pnrr per la prima volta non guardano più soltanto ai grandi attrattori ma, per esempio, alla valorizzazione del patrimonio minore, dei borghi e ai progetti di rivitalizzazione dell’area del cratere. Mettere insieme tante tipologie di attività diverse e anche tanti soggetti diversi fa sì che un territorio possa essere valorizzato attraverso una filiera integrata. E così c’è spazio per lo sviluppo di modelli evoluti di cooperazione territoriale”.

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