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Una scuola a Kolwezi, nella Repubblica del Congo, per i bimbi-minatori del cobalto

La onlus Still | Rise racconta come funziona la scuola di Pamoja, dove arrivano bambini che lavoravano in miniera e una scuola non l'avevano mai vista

Pubblicato:22-02-2022 12:25
Ultimo aggiornamento:22-02-2022 13:15

repubblica congo_scuola bambini_ Still I Rise
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ROMA – “La nostra scuola è una sfida aperta allo sfruttamento di bambini e bambine nelle miniere informali che circondano la ‘capitale mondiale del cobalto'”. Giovanni Volpe è operations manager che ha diretto le operazioni che hanno portato all’apertura di ‘Pamoja’, la nuova scuola che, dopo quella in Grecia, nel nord-ovest della Siria e in Kenya, la onlus italiana Still I Rise ha aperto in Repubblica democratica del Congo. L’istituto, che impiega personale tutto congolese, fornisce istruzione gratuita e di alta qualità a 120 ragazze e ragazzi dai 9 ai 14 anni provenienti da famiglie svantaggiate. L’agenzia Dire lo raggiunge telefonicamente a Mutoshi, frazione di Kolwezi, nella provincia meridionale di Lualaba dove ha sede la scuola che in lingua swahili significa “insieme”.

Mentre in sottofondo arriva il vociare dei bambini, Volpe racconta: “Abbiamo aperto la scorsa settimana e tanti ragazzi sono già sbocciati, come Dieumerci, che i genitori definivano ‘inadatto alla scuola’: è tra i primi ad arrivare la mattina”.
Per selezionare i futuri studenti, gli operatori di Still I Rise sono andati a conoscerli direttamente nelle miniere: “Volevamo valutare le loro effettive condizioni” dice Volpe. “I nostri allievi sono minori che avevano dovuto lasciare gli studi per lavorare e sostenere le famiglie, oppure, in molti casi, una scuola non l’avevano mai vista. Perciò, per ora offriamo attività di supporto psico-sociale, come giochi ed esercizi di alfabetizzazione, col fine di valutare le loro caratteristiche ed eventuali difficoltà, come singoli e come gruppo. Superata questa fase offriremo un piano educativo strutturato che permetterà loro di recuperare nozioni e competenze e così, in futuro, puntare a integrarsi nel sistema scolastico nazionale”.

“OVUNQUE CI SONO BAMBINI CHE SPACCANO PIETRE”

Parlare di scuola e futuro da queste parti non è scontato. “Quando siamo arrivati abbiamo incontrato la resistenza delle famiglie- ricorda Volpe- perché in questa provincia ci sono poche ong e il concetto di ‘intervento umanitario’ è poco noto”. La diffidenza dei genitori è stata vinta “piuttosto rapidamente”, ma poi è venuto il turno delle cooperative minerarie. Continua l’operations manager: “Non dimentichiamo che Kolwezi è la città del rame e del cobalto. I siti estrattivi sono tanti, e ovunque si vedono bambini intenti a spaccare pietre e lavare i materiali in cerca dei minerali da rivendere ai ‘comptoir'”, ossia gli intermediari che coi loro banchetti affollano le concessioni minerarie del capoluogo che conta ufficialmente mezzo milione di abitanti. La Repubblica democratica del Congo è uno dei più importanti Paesi al mondo per le riserve minerarie, e solo dall’area di Kolwezi arriva quasi la metà del cobalto mondiale, con 3,4 milioni di metri cubi di tonnellate, come riporta il Global Atlas of Environmental Justice (Ejatlas).


PIÙ DI 40.000 BAMBINI LAVORANO NELLE MINIERE

L’Unicef stima che nella regione oltre 40.000 bambini siano impiegati nel settore estrattivo ma “riteniamo che la cifra sia decisamente più elevata” avverte Volpe. Così, nel timore di vedere i propri interessi danneggiati, “alcune cooperative di miniere artigianali si sono dimostrate refrattarie alle richieste ufficiali di incontro da noi presentate, negandoci di fatto un’assistenza preziosa nell’identificazione dei nostri studenti”. Per Volpe, “non è difficile immaginare il perché: Kolwezi è stata definita ‘la capitale del mondo’“.
Dalla produzione di smartphone e computer alle tecnologie applicate agli armamenti, i minerali congolesi sono un nodo essenziale all’incrocio di interessi che chiamano in causa aziende locali, multinazioni e affaristi, dall’Europa alla Cina passando per Stati Uniti, India e Russia, e quindi anche l’economia locale, fondata spesso su cooperative artigianali e mercato nero. In questo quadro, bambini dai corpi minuti che riescono a scivolare nelle gallerie per scavare, o che spaccano e ripuliscono i materiali, diventano un anello indispensabile della catena, a scapito dell’educazione ma anche della salute: “Le ricadute sono terribili e forse troppo ignorate” denuncia Volpe. La scuola di Pamoja quindi “è un ambiente allegro, sano e stimolate, pensato per far sentire i nostri studenti come a casa: accanto alle classi ha saloni con divani, cuscini, tappeti, televisori”.

LA RICCHEZZA E LA CRIMINALITÀ

Una sfida concreta in un Paese in cui la ricchezza di risorse naturali è anche alla base di attività criminali. Lo riporta alla memoria la data di domani, 22 febbraio, in cui ricorre il primo anniversario della morte dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio, ucciso in una imboscata insieme al carabiniere della scorta Vittorio Iacovacci e all’autista Mustafa Milambo nella regione di Nord Kivu, 1.500 chilometri da Kolwezi. “Questo territorio non è preda dei tanti gruppi armati come il Kivu- chiarisce Giovanni Volpe- ma non è comunque una zona semplice. La sensazione è che, a differenza di altri Paesi, dove nonostante la povertà la gente riesce a sperare che il futuro sarà migliore, qui c’è rassegnazione”.

Per questo per Volpe la presenza dell’ambasciatore era importante: “Non ho avuto la fortuna di conoscerlo ma tra i circa 200 italiani che vivono nella regione di Lubumbashi (seconda città del Paese, non lontana da Kolwezi, ndr) ha lasciato un segno profondo. Viene ricordato come una persona alla portata di tutti, attenta, e che esortava i connazionali a dare un contributo al paese ospitante e per la coesione”.

(Le immagini ci sono state gentilmente inviate dalla onlus Still | Rise)

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