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L’Atacama di Gino, diario di un viaggio in Cile tra la valle della luna e le rocce dei monaci

Reportage dal deserto di Atacama, dove qualunque foto non rende giustizia al panorama

Pubblicato:22-01-2018 13:02
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:22

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Non puoi morire senza aver visto il Cile“. Lo dissero a Gino nel 1995 quando era indeciso se visitare o no questo paese, e lo dice lui a noi oggi. E ha ragione. Gino è la nostra guida e quando arrivò a San Pedro de Atacama, dopo aver esplorato il Cile da cima a fondo e dopo qualche mese in Bolivia, decise di fermarsi qui. Per sempre. È toscano, anzi maremmano, ma ama questa terra forse più di chi ci è nato, perché questa madre non l’ha partorito ma lo ha accolto, avvolto e amato, gli ha dato più di una moglie e anche un figlio (più italiano di lui, pare, anche se la madre è cilena). E Gino ricambia l’amore di questa terra mostrandone e narrandone le meraviglie a chi viene a visitarla. 

 Gino meriterebbe un libro, la sua vita va oltre il romanzo. Nipote del partigiano Falco, ex ristoratore, ex mille altre cose, gran viaggiatore e forte fumatore, Gino racconta le storie, mischiando di tanto in tanto italiano e spagnolo, con calma. Si commuove solo se parla di suo nonno e mostra uno sguardo di disprezzo solo quando parla degli uomini che non hanno valori. Deve aver spezzato una quantità di cuori, primo fra tutti quello della bella tedesca che venne in Cile con lui e che dopo tre anni e mezzo, avendo ereditato molto, gli propose di tornare in Europa a fare la bella vita. “Le dissi che non mi interessava e che volevo restare qui”, taglia corto Gino.  

“QUI TUTTO SEMBRA NON FINIRE MAI” 

 Il primo posto che ci mostra è la Valle de la Luna. Una salita di una manciata di minuti lungo il sentiero e subito ti innamori di queste creste aride, disegnate dalle intemperie, dalle quali vedi i salares che sembrano neve, a perdita d’occhio, da un lato, e le montagne che sembrano non finire mai dall’altro. Ecco, qui tutto sembra non finire mai. La pianura arida del deserto di Atacama, che in alcuni punti, dice Gino, non viene bagnata dalla pioggia per 60 anni di fila. E le montagne, i salares, persino le strade, che sono dritte per chilometri e disseminate dalle croci che ricordano i tanti che ci hanno lasciato la vita. La statale 27, per esempio, ha troppi pochi tornanti mi spiega Gino (che è stato anche co-pilota di Rally). È una lunghissima discesa e capita spessissimo che i freni dei mezzi più grossi si surriscaldino fino a prendere fuoco. Un mese fa un bus di turisti si è incendiato e per fortuna nessuno è rimasto ucciso, solo qualche ustionato non grave. Anche i nostri freni iniziano a mandare un odore acre e ci dobbiamo fermare per un quarto d’ora per farli raffreddare.  


SAN PEDRO, LA BASE DEGLI ESCURSIONISTI

 Le stradine di San Pedro, che fa da base per tutti gli escursionisti, non sono asfaltate, e brulicano di cani e di ragazzi, perlopiù stranieri, che indossano scarponcini da trekking e pantaloncini. Coi loro zaini, impolverati dalla testa ai piedi, entrano nei tanti locali per bere un a birra o il Pisco sour, mix tra una specie di grappa, limone, albume e zucchero. La notte, dalle 2 in poi, partecipano ai rave clandestini nel deserto. Se chiedi ai camerieri dei ristoranti sanno sempre dirti dove sono.  

PER LAVORARE NEL TURISMO ARRIVANO ANCHE DALLA BOLIVIA

 Qui tutti, ci spiega Gino, lavorano nel turismo, e “solo chi non ha voglia di lavorare non lo fa”, perché ce n’è per tutti. In passato questa era solo zona di miniere (rame, litio e altro), poi qualcuno deve aver capito che può essere anche una miniera di lavoro nel turismo. Arrivano pure dalla Bolivia, distante una quarantina di chilometri, per trovare un’occupazione. Rimangono qualche anno e alcuni, poi, tornano a casa più ricchi, “perché qui in un mese guadagni quello che guadagni là in un anno”.  

LA VALLE DELLA LUNA

 Dalla Valle della Luna si va alla Valle Arcoiris, un vero arcobaleno di rocce che passano dal marrone al verde al rosso per l’ossido di ferro, i sali di calcio alluminio e potassio, dice Gino, che tra le altre cose ha anche studiato chimica. Ci cammini in mezzo, e scatti mille foto per fermare quei colori, ma l’obiettivo non ti basta.  

IL SALAR, DOVE IL CIELO E’ VICINISSIMO

 Si parte per il Salar de Chaxa, che si trova all’interno del più vasto Salar de Atacama, il quinto più alto del mondo coi suoi 3.000 chilometri quadrati. Qui il sale “cresce” in verticale e “esplode come un cavolfiore”. Sull’acqua camminano e volano eleganti i fenicotteri. Ce ne sono di tre tipi: il James, che è rosa, il Cileno alto circa un metro, e l’Andino rosso e nero. Vivono circa 30 anni e fanno un uovo all’anno, ci dice Gino. Sulla strada che costeggia il Salar, col sole a picco (mi sono già scottata nonostante la protezione) l’orizzonte bianco e rosa sembra non finire mai. Se giri su te stesso a 360 gradi ti sembra di essere ubriaco, il cielo è vicinissimo, sembra un enorme coperchio, una cupola di un azzurro abbacinante. In lontananza ci sono i vulcani, qua li vedi sempre, dato che il Cile ne ha il 10% di quelli del pianeta. Si riparte, passando Socaire (che significa “protetta dalla vento), un paesino che anticamente era una posta, visto che nei suoi terrazzamenti si coltivavano, e si coltivano tuttora, tanti tipi di verdure. Su su, in mezzo a ciuffi di erba gialla e alle vigogne, che sono una specie di cammelli, verso i 4300 metri alla Laguna Miscanti (rospo) e la Laguna Meñique (mignolo), ai piedi del vulcano Miscanti che le rifornisce di acqua con la pioggia e la neve. E che le ha divise, tantissimi anni fa, con una colata di lava, tanto che ora sono collegate solo sotto terra. Non ci sono pesci nelle Lagune, ma le alghe sì e anche le folaghe. L’acqua va dal blu, al cobalto al verde.  

LA LEGGENDA DEI VOLCAN

 La prossima tappa è tutta in salita, il passo più alto è a 4866 metri, il naso mi sanguina un po’ da qualche giorno, ma pare sia normale per chi non è abituato a certe “alture”, come dice Gino, che ha scalato il K2 nel 1979, non mette più la crema solare (“se lo fai, lo devi fare continuamente”), non sente mai né freddo né caldo e usa la camicia a maniche lunghe e gli occhiali da sole come uniche accortezze. Si passa accanto al Licancábur (5916 metri di vulcano) che si vede anche da San Pedro. Gino ci racconta la leggenda dei “volcán”: Licancàbur e suo fratello Juriquez (che significa “senza testa”) erano entrambi innamorati di Kinal. Durante una violenta lite, Licancàbur tagliò la testa al fratello e per punirli il padre Lasca allontanò Kinal, che infatti oggi si intravvede all’orizzonte. Ogni 21 giugno, per il solstizio d’estate, Licancábur si allunga per toccare Kinal.          

LE ROCCE DEI MONACI MODELLATE DAL VENTO

 Si passa vicino al volcán Chascon (spettinato) e in lontananza si vedono le antenna de l’Alma, mega centro internazionale di astronomia dove stanno per costruire una lente di 37 metri di diametro, dice Gino, che ha amici astronomi. Lasciamo la strada asfaltata e corriamo in mezzo al nulla, senza indicazioni (” ma qui conosco ogni palmo, rassicura Gino). Arriviamo alla roccia dell’Indio, le rocce dei Monaci, tutte di origine vulcanica la cui forma, bellissima, è stata data dal vento. Fino al “Tripartito” il triangolo tra Cile, Argentina e Bolivia e arriva la prima sorpresa promessa da Gino: Siamo nel bel mezzo della seconda “caldera” più grande del mondo, ma nella più alta 4650 metri sul livello del mare, un cratere che ha 5 milioni di anni e 2350 chilometri quadrati di estensione. La seconda sorpresa non ha un nome. Cioè qui lo chiamano il mirador de Tara e dice Gino che quando ci ha portato due fotografi professionisti che preparavano un reportage, i due si sono commossi e hanno deciso di non scattare nemmeno, perché nessuna foto avrebbe reso giustizia a questa meraviglia. Provo a fare un video, con la consapevolezza che nulla sarà equiparabile a quello che vedono i miei occhi. A livello naturalistico è la cosa più bella che abbia mai visto, è la Sistina della natura. Piango quasi. Resterei ancora per vedere altre meraviglie e sentire altri racconti, ma è ora di partire. All’aeroporto ci salutiamo e ci abbracciamo forte. Grazie Gino, fiero figlio dell’Atacama. 























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