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Licenziati perchè Cgil, giudice del lavoro di Bologna ordina il reintegro

La ditta condannata è la Dismeco, azienda dell'area di Marzabotto (Lama di Reno)

Pubblicato:21-12-2017 16:43
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:01

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BOLOGNA – Un’ordinanza del giudice del lavoro di Bologna che rappresenta sia “una vittoria del sindacato e di tutti i lavoratori” sia “un monito per la politica, perché dimostra che il diritto ad essere reintegrati sul posto di lavoro, come previsto dall’articolo 18 dello statuto dei lavoratori” superato dal Jobs Act, è “un diritto che riguarda anzitutto la dignità delle persone”. È la Fiom-Cgil di Bologna a evidenziare tutto il valore dell’ordinanza del 18 dicembre del giudice Carlo Sorgi che ha dato ragione a due giovani lavoratori pakistani in causa contro la Dismeco, azienda dell’area di Marzabotto (Lama di Reno) che impiega una trentina di dipendenti e si occupa di smaltire i rifiuti elettronici industriali o domestici. I due, licenziati dopo essere stati assunti nel 2013, ora dovranno essere reintegrati e rimborsati dall’azienda, dalla quale si attende comunque un ricorso, di tutti gli stipendi persi (come prevede la legge Fornero) oltre alle spese.

Si tratta del 26enne Khurram Shezad e il 24enne Gukfam Shehzada, rispettivamente delegato Rsu e iscritto Fiom tra i più attivi: vengono licenziati nell’aprile scorso, accusando già una discriminazione durante un periodo di cassa integrazione. “Al processo- spiega oggi in conferenza stampa nella sede della Fiom l’avvocato Alberto Piccinini, al fianco della collega Stefania Mangione- si è provato infatti che tutti i lavoratori iscritti alla Fiom non venivano chiamati al lavoro ma restavano sospesi in cassa. Solo chi avesse cancellato la propria iscrizione alla Fiom sarebbe stato chiamato”. Addirittura, è emerso che un lavoratore è stato richiamato al lavoro per un mese dopo aver revocato la propria iscrizione per poi essere ricollocato in cassa integrazione dopo essersi ri-iscritto alla Cgil.

Poi, l’azienda ha aperto una procedura di licenziamento collettivo, sostenendo di dover silurare almeno cinque lavoratori con una generica motivazione di crisi del settore, che però si è chiusa con un nulla di fatto. È stata aperta successivamente una seconda procedura, infatti, di licenziamento individuale a carico dei due pakistani, di nuovo per “riorganizzazione aziendale” e dismettendo la lavorazione in linea. Nel corso del processo, la Dismeco (Claudio Tedeschi l’amministratore delegato) aveva anche citato l’impossibilità di ricollocare i due lavoratori in altri reparti equivalenti, ma la motivazione si è rivelata inconsistente.


Sono stati sentiti infatti otto testimoni, nell’ambito di un’ampia istruttoria: “Mentre molti lavoratori, la maggioranza dei testimoni, hanno descritto i lavori che svolgevano i due licenziati evidenziando che potevano essere impiegati anche altrove, altri tre testimoni hanno negato. Per questo il giudice- spiega ancora Piccinini- ha pure segnalato i loro nomi alla Procura per verificare il reato di falsa testimonianza”. Il segretario Fiom Michele Bulgarelli evidenzia il peso dell’ordinanza anche stigmatizzando l’atteggiamento più generale di alcune imprese, come quello in questo caso della Dismeco: “Queste aziende non possono avere cittadinanza in un territorio, come Bologna, che ha nella qualità delle relazioni sindacali e industriali un tratto distintivo”. Contestualizza inoltre il funzionario Fiom Amos Vezzali: “Questo è un caso-limite, ma riscontriamo nel territorio della montagna in particolare altri tentativi di azione antisindacale. La crisi ha complicato alcune situazioni, non tutto il quadro è così preoccupante però situazioni critiche ce ne sono”.

di Luca Donigaglia, giornalista professionista

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