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ROMA – A livello mondiale, l’intreccio tra crisi ambientali e conflitti è sempre più stretto: a confermarlo lo studio ‘Global Report on Internal Displacement’ (Grid 2024), secondo il quale lo scorso anno i disastri naturali hanno causato oltre 26 milioni di spostamenti forzati entro i confini nazionali.
Tra i 45 Paesi che hanno visto sfollamenti dovuti a conflitti, tutti tranne tre hanno registrato migrazioni causate anche da disastri naturali. La conferma, secondo gli autori del rapporto, starebbe nel fatto che chi fugge ha una biografia in cui si sovrappongono sempre di più guerre e sconvolgimenti ambientali.
Sul tema è intervenuta Laura Greco, esperta dell’Associazione A sud. “Oggi più che mai i fattori climatico-ambientali dovrebbero avere un ruolo determinante nella valutazione della vulnerabilità di chi cerca protezione, così come nella valutazione dei governi dei cosiddetti Paesi di origine ‘sicuri’” ha sottolineato Greco. “Una valutazione che non può non tener conto del nesso tra povertà cronica, debiti, violazione dei diritti umani e conflitti connessi alla crisi climatica”.
Il tema sarà ora affrontato nel nuovo Dossier statistico immigrazione, realizzato dal Centro studi e ricerche Idos, una realtà nata come cooperativa e casa editrice nel 2004 da un gruppo di esperti operanti presso la Caritas di Roma. È anche Idos a sottolineare come la crisi climatica sia già “un’emergenza umanitaria” e continuerà a costringere alla fuga “milioni di persone”. Luca Di Sciullo, presidente del Centro, ha calcolato che “attualmente oltre il 40 per cento della popolazione mondiale – circa tre miliardi e mezzo di persone – vive in contesti di estrema vulnerabilità agli shock climatici”.
A preoccupare sono poi le previsioni future. “Si stima che tra 250 milioni fino a un miliardo di persone saranno costrette a spostarsi, sia all’interno dei loro Paesi sia oltre i confini nazionali, a causa degli eventi climatici estremi” ha evidenziato Di Sciullo. “È in questo scenario che i governi hanno il dovere di prendere atto che la mobilità umana forzata è strettamente legata alla crisi climatica che stiamo alimentando” ha continuato il presidente di Idos. “Così come deve essere un diritto riconosciuto chiedere protezione anche a causa di fattori climatico-ambientali, nella prospettiva di arrivare al riconoscimento dello status di rifugiato climatico a livello internazionale”.
La tesi di Idos è che la valutazione delle crisi ambientali debba entrare nelle scelte relative al riconoscimento del diritto di asilo. In una nota il Centro sottolinea: “L’assenza dei rischi associati a fattori climatico-ambientali nella valutazione della vulnerabilità di chi cerca protezione fuori dal proprio Stato, in un apparato di gestione delle migrazioni che, anche alla luce del nuovo Patto europeo su migrazione e asilo, tende a restringere l’accesso all’asilo è uno dei temi analizzati nel Dossier statistico immigrazione 2024”. Lo studio è frutto di un lavoro corale. A partecipare alla sua realizzazione anche A Sud, con il contributo di Maria Marano. L’esperta ha già curato tre report, tutti disponibili online, dedicati a ‘Crisi ambientale e migrazioni forzate’. Il nuovo Dossier statistico immigrazione sarà presentato il 29 ottobre a Roma, alle 10.30, presso il Nuovo Teatro Orione e in contemporanea in altre regioni e province autonome italiane.
Del nesso tra cambiamento climatico e migrazioni si occupa anche un rapporto firmato da C40 Cities, rete di circa cento sindaci in più continenti, da Rio de Janeiro a Londra, da Addis Abeba a New Delhi.
Lo studio si intitola ‘Future Urban Landscapes’. Stime e previsioni indicano che un numero sempre maggiore di persone sarà costretto a spostarsi dalle proprie terre d’origine a causa di fenomeni come siccità, innalzamento del livello del mare, inondazioni e riduzione della resa agricola. Nell’ultimo decennio, sempre stando alla ricerca, quasi la metà degli sfollamenti interni a livello globale sono stati causati da disastri legati al clima.
Il focus dello studio di C40 è sull’Africa. Entro il 2050 gli esperti calcolano che almeno otto milioni di persone migreranno verso le sole dieci città analizzate nel rapporto, tra le quali Accra, la capitale del Ghana, e Freetown, in Sierra Leone. La tesi di fondo è che senza azioni preventive locali, la migrazione climatica rischia di aggravare le sfide esistenti, come la rapida urbanizzazione e la crescente pressione sui servizi locali.
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