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ROMA – “Facciamo tappa nelle scuole con le cliniche mobili; lì non c’è nessun alunno a seguire lezioni ma soltanto persone sfollate, che hanno bisogno di tutto, cure mediche ma anche solo conforto o un consiglio per capire come fare, dove andare”: a parlare con l’agenzia Dire è suor Antoinette Assaf, 57 anni, una testimone della guerra in Libano.
La sua voce arriva da Rosuiesset-Jdideh, un quartiere del nord di Beirut dove cristiani e musulmani vissero insieme anche durante il conflitto civile combattuto tra il 1975 e il 1990. Questo pure è un tempo di violenza, con i bombardamenti di Israele, la sfida a Hezbollah e le vittime civili nel raid “mirati”. Esplosioni e crolli sono stati numerosi soprattutto nel sud del Libano ma non hanno risparmiato neanche il cuore di Beirut.
Quel che resta suor Assaf lo vede ogni giorno con i propri occhi: le persone sfollate, oltre un milione e 200mila secondo le stime del governo libanese, affollano le scuole e spesso anche piazze e marciapiedi, con materassi, buste, pacchetti e quel che sono riuscite a portar via fuggendo dalle loro case e dai loro villaggi. In tanti conoscono le Sorelle del Buon pastore, una congregazione che dal 1893 è al fianco delle fasce vulnerabili della popolazione sia in Libano che in Siria. Suor Assaf, a Rosuiesset-Jdideh, gestisce il loro dispensario medico. “Forniamo supporto di base, si tratti di alimenti, prodotti per l’igiene o medicinali” spiega la religiosa. “Allo stesso tempo, c’è la possibilità di consulenze, vaccinazioni, risonanze magnetiche ed esami del sangue, radiologici ed ecografici”.
Nell’ultimo mese, però, il quadro è mutato. “Alla popolazione del posto, già sottoposta a una serie di pressioni sul piano economico, della salute e dell’istruzione, se n’è aggiunta un’altra” riferisce suor Assaf. “Di fatto, le persone che hanno bisogno sono raddoppiate: ci rendiamo conto che la nostra squadra è piccola mentre le necessità sono enormi”. Le nuove difficoltà non fanno però venir meno l’impegno.
“Dalle persone sfollate”, dice suor Assaf, “ci rechiamo insieme con assistenti sociali che le visitano, le ascoltano e provano a dare un consiglio, a orientarle su cosa fare, dove andare, come farcela”. Anche a Rosuiesset-Jdideh l’aumento della popolazione è stato all’origine di episodi di tensione. “Sempre più spesso le persone litigano per piccole cose” riferisce suor Assaf: “Capita a volte tra chi ha sempre abitato nel quartiere e i nuovi arrivati, che portano addosso il trauma della violenza, dei bombardamenti e della morte dei propri cari“. In settimana un reportage dall’emittente tedesca Deutsche Welle ha raccontato di come le persone in fuga siano accampate anche nella pista da ballo dello Skin, uno dei nightclub più popolari, non lontano dal porto.
L’impegno delle missionarie arriva anche lì. “Tutti provano un sentimento di paura” dice suor Assaf: “In nessun quartiere ormai ci si può sentire al sicuro e questo timore si riflette sulla salute delle persone: non ci sono solo malattie contagiose come il colera che rischiano di diffondersi ma anche irritabilità, disturbi digestivi e comportamentali, incapacità di concentrazione“. Al dispensario se ne vedono tante. “C’è chi ha problemi digestivi e chi malattie croniche, e poi arrivano le madri incinte e quelle con bambini piccoli che stanno male” dice suor Assaf. “Ognuno ha le sue difficoltà, tutti hanno paura ma vogliono farcela, proprio come chi è rimasto ferito, ha perso un braccio o una gamba, ed è riuscito magari a trovare un letto in ospedale”.
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