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ROMA – Arriva nelle librerie un testo che può riscattare quanti hanno subito tanta educazione sessantottina e di sinistra da genitori degli Anni 70, o chi negli 80 era in preda alla classica scissione da nerd: nelle orecchie risuonavano gli Smiths o i Cure, ma avrebbe tanto voluto saper giocare bene a calcio. Questo e tanto altro nelle 240 pagine del libro ‘Figlio di un sex symbol… e altri disastri!’ (Biblioteca Clueb). È una testimonianza esilarante dell’educazione all’italiana in una famiglia fuori dal comune negli anni Settanta e Ottanta. “Sono partito da piccoli racconti della mia infanzia postati su Facebook– dice lo sceneggiatore Tommaso Capolicchio- che piano piano hanno trovato molto pubblico riscuotendo like e risate. Poi una piccola casa editrice mi ha chiesto se avessi voglia di far diventare quei racconti brevi un libro di 160 pagine- continua l’autore- a quel punto ho accettato e sono arrivato a 240”.
Capolicchio ha scritto un’autobiografia perché effettivamente di materiale ne aveva in abbondanza: un’infanzia atipica, segnata da un’educazione cinematografica femminista, dalla separazione traumatica dei genitori, ma soprattutto dall’impossibilità di vedere Goldrake come tutti gli altri, essere mandato a scuola di mimo in un tendone nelle mani di un pazzo e a un laboratorio artistico da una signora nobile di Autonomia Operaia che gli faceva scrivere ‘Vietnam libero’ con la pasta cruda. Senza contare l’acquisto di un ridicolo completino fuxia per la comunione del cugino, sfoggiato in una paesino delle Marche. Come superare questi traumi? “Ne sono uscito con tanta autoironia, in fondo anche i miei erano molto ironici– racconta lo sceneggiatore- mia madre mi imponeva queste regole ma poi non ci credeva nemmeno lei fino in fondo o dimenticava pure di avermele imposte”.
Il libro è diviso in tre parti: l’educazione femminista di sua madre e la pesantezza di essere il figlio di uno per cui palpitavano le madri delle sue amichette, l’adolescenza complicata dalle medie al liceo, le influenze musicali degli Anni 80 (tifare Depeche Mode quando tutti sono divisi tra Spandau Ballet e Duran Duran) e poi gli anni 2000, la fine delle certezze. Le location sono infinite, dalla casa porto di mare nel quartiere Prati a Roma piena di divinità dell’epoca al paesino delle Marche che improvvisamente riceve una serie di celebrità, i primi viaggi con l’interrail e gli amori più o meno devastanti. Nonché, sempre in filigrana, la difficoltà di sopravvivere a genitori esuberanti e divertentissimi. Perché essere figli di un divo non è cosa facile. “In questo caso il sex symbol è Lino Capolicchio- precisa lo scrittore- un attore che incidentalmente è anche mio padre e che ha incarnato la figura del bello e ribelle, biondo e maledetto del ‘68. Per una generazione il nome di mio padre ha significato tanto- sottolinea Tommaso Capolicchio- poi nel tempo racconto di come non sia riuscito a costruirsi la carriera che voleva, ma per quel periodo è stato molto famoso”. Complesso, inoltre, è crescere come figlio di un uomo così bello. “Non posso negarlo- confessa lo scrittore- è dura quando le mamme delle bambine con cui vorresti fidanzarti ti chiedono l’autografo di tuo padre. Certo, essere il figlio di Lino Capolicchio è stato pesante ma pure divertente”.
La terza parte del libro è decisamente più intima. “Non avevo materiale pronto da risistemare e ho dovuto fare uno sforzo per raccontare me stesso- aggiunge- non essendo né Napoleone o Garibaldi, e non avendo invaso con un esercito alcun Paese, non è stato facile raccontare la mia vita perché rischiavo l’autoesaltazione, raccontare i miei drammi d’amore come se fossi Stendhal”. Però Tommaso un asso nella manica lo aveva per la sua storia: “Ero un ragazzino evoluto che ha dovuto confrontarsi col genere femminile con la spada di Damocle di un’educazione sentimentale molto difficile. Venivo da quella famiglia e da quel padre, ora sono il frutto di quelle difficoltà che mi hanno segnato. Ho pensato che invece di sedurre le donne mi conveniva prima capirle”. Bisogna ammetterlo il suo è un libro che invita tutta la generazione dei nati degli Anni 70 e 80 a un confronto, a una ricezione o quantomeno a un feedback. Capolicchio lo ha fatto sorprendendosi: “Rileggendo il mio libro mi sono stupito di come abbia scavato nell’intimità e l’abbia messa nero su bianco. Se avessi un figlio oggi non sarei così drastico nell’educazione– conclude- gli farei provare un po’ di tutto per lasciarlo più libero nel fare le sue scelte personali. Poi magari sarà traumatizzato, ma per altri motivi”.
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