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Luca a 10 mesi in casa famiglia: “Ctu usa condizionali e non fa test”

Per l'ospedale Gemelli, dove la donna ha partorito, la relazione madre-figlio era "congrua"

Pubblicato:21-07-2020 09:05
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 19:39
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ROMA – “Il 29 aprile ho dovuto consegnare io mio figlio, di appena 10 mesi, alla dottoressa della Questura, venuta a casa, con altri due agenti in uniforme. Lei ci ha spiegato tutto, con umanità, e ci ha avvisati che se non avessi dato io il bambino, dopo di lei sarebbero venuti i Carabinieri e di nuovo la Polizia e avrebbero usato maniere non così democratiche. Non volevo che fosse tutto ancor più doloroso per il bambino e per mia moglie. Poi dopo che lo hanno portato via, mia moglie S. ha smesso di parlare, è andata a letto e da allora chiede continuamente quando tornerà a casa”. E’ la cronaca del giorno più lungo nella casa di questa famiglia di Roma, dove vivono P. e sua moglie S., con la mamma di lui, la nonna del piccolo Luca (nome di fantasia).
E’ proprio P. a raccontare all’agenzia Dire cosa è accaduto al loro unico figlio che ora “si trova in una struttura per bambini a via del Casaletto, dove possiamo vederlo per un’ora a settimana. Durante il Covid ci era consentita soltanto una videochiamata a settimana. Lo abbiamo visto giocare con una conchiglia, come faceva a casa con la mamma facendo finta che fosse un telefono. Era disorientato”.

“La sospensione della responsabilità genitoriale è stata decisa dal Tribunale per i minorenni, inaudita altera parte- si legge nelle memorie legali sul caso- a fronte di una CTU che, pur non conclusa, senza i test di rito e utilizzando dei verbi al condizionale, rilevava un atteggiamento oppositivo dei due”.

La storia di Luca inizia poco dopo la sua nascita, avvenuta a giugno del 2019, con la segnalazione che parte dall’Ospedale Gemelli di Roma e che induce il PM a presentare ricorso al competente Tribunale per i Minorenni della Capitale per “approfondire le capacità genitoriali” dei due genitori del piccolo, come si legge nelle memorie dell’avvocato Edoardo Scordamaglia, esperto di Diritto di famiglia, che ha preso in esame il caso. La mamma di Luca è “affetta da ritardo cognitivo moderato e da disturbo bipolare di tipo I. Durante la gravidanza ha avuto un grave scompenso psicoemotivo trattato con TSO e ricovero”. Suo marito, insieme a lei da 6 anni, è il suo caregiver: “Quello di S. è un disturbo che si può seguire, come facciamo”, racconta ancora spiegando che vivono insieme alla nonna paterna proprio per avere ogni tipo di supporto. P. fa lavori saltuari di ogni tipo, “S. ha una piccola rendita da un locale in affitto” e la mamma di P. ha “una pensione sociale”.


La sorte del piccolo Luca, dalla sua nascita, quando l’Ospedale Gemelli pur segnalando la coppia per richiedere una valutazione e un supporto scrive che “la relazione mamma- bambino è congrua, che la mamma è felice e desiderosa di accudirlo”, cambia nel corso della Consulenza tecnica d’ufficio chiesta dal Tribunale. La dottoressa incaricata, come si legge nelle memorie, rappresenta “da parte della coppia genitoriale e della nonna paterna un atteggiamento oppositivo e svalutante del suo operato”. Ed è proprio questo, secondo l’avvocato Scordamaglia il punto “critico” della storia. “Lo studio delle due personalità dei genitori- ha detto intervistato dalla Dire- all’inizio andava bene. La signora, la mamma di Luca, ha un rapporto molto conflittuale con sua madre e con sua sorella e lo ha dichiarato da subito alla consulente che nonostante questo – e nonostante le due ‘non avessero mai espresso interesse ad occuparsi del bambino, anzi ne avrebbero voluto l’aborto chiedendo anche la chiusura delle tube di S.’ come ha raccontato P. – le hanno incluse invece nella perizia. La signora appena le ha viste si è chiusa e come lei il marito, per proteggerla e perché si sono spaventati, e l’incontro si è bruscamente interrotto. La CTU, a quel punto- spiega ancora il legale- si rivolge al Tribunale asserendo di non essere riuscita a portare a termine il lavoro per atteggiamento oppositivo della coppia e ottiene un provvedimento ‘inaudita altera parte’ il 13 febbraio 2020 che abbiamo impugnato il 25 febbraio, anche se l’impugnazione non ne blocca l’esecuzione. Non sono stati sentiti i genitori, né la nonna che vive con loro. Il giudice ha preso per buono quanto riferito dalla CTU, senza nemmeno i test psicodiagnostici”.

P. nell’intervista tiene a sottolineare infatti che lui e sua moglie “sono stati sentiti dal giudice solo dopo il provvedimento, il 9 luglio” e mentre si divide tra tanti lavori saltuari e l’assistenza a sua moglie, non si rassegna: “I servizi sociali – del Municipio IX – hanno sempre trovato il bambino in buone condizioni, come anche il pediatra. Bisogna completare la perizia, revocare quel provvedimento. Intanto io e mia moglie abbiamo iniziato il percorso psicoterapeutico, privatamente perché nel pubblico è impossibile ora e S. sta mettendo ulteriormente a punto la terapia del CIM”, anche per affrontare questa situazione così dolorosa.

“L’udienza in corte appello è fissata per l’8 settembre”, ricorda l’avvocato. E P. non si dà pace: “Dal 29 aprile all’8 settembre, doveva esser fissata prima. Abbiamo chiesto di poterlo vedere due volte a settimana, ma il curatore si è opposto. Che male possiamo fare a nostro figlio? E poi, quando era con noi risultava da tutte le relazioni che era un bambino solare: perché in caso non affidarlo alla nonna? Mia madre non è mai stata nemmeno mai ascoltata dal giudice”, ha detto.

“A questi due genitori- dice l’avvocato- non è stata data alcuna opportunità. Purtroppo i procedimenti sull’affido dei minori non seguono il rito contenzioso con diritto al contradditorio, ma rientrano nella volontaria giurisdizione, nel cui ambito il contraddittorio non è garantito, al pari di un rito amministrativo, ma qui parliamo di affido minori e non di una pratica qualsiasi. Forse una donna con patologie non ha diritto a crescere i suoi figli? Eventualmente con il sostegno del caso? Siamo alla Rupe Tarpea“.

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