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La mamma di Federico Barakat, massacrato dal padre: “Dopo Cedu non mi fermo”

La sentenza della Corte Europea dei diritti umani in buona sostanza non ha da rimproverare nulla alla giustizia italiana. Il legale Sinicato: "Non ha avuto giustizia per un vuoto normativo"

Pubblicato:21-05-2021 17:36
Ultimo aggiornamento:21-05-2021 17:42
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ROMA – “Non mi fermo, andrò avanti, perchè mio figlio non è stato protetto. Dopo questa sentenza ho avuto bisogno di qualche giorno. Non mi sono riconosciuta nè italiana nè europea”. A parlare è Antonella Penati, mamma di Federico Barakat, il bambino ucciso dal padre, durante un incontro protetto nel consultorio ASL di San Donato Milanese, il 25 febbraio 2009. In una conferenza stampa, oggi pomeriggio, i legali di mamma Penati hanno commentato la sentenza dell’11 maggio della Corte Europea dei diritti umani che in buona sostanza non ha da rimproverare nulla alla giustizia italiana. La mamma di Federico Barakat aveva infatti presentato appello alla Corte Europea dopo la sentenza della Cassazione che aveva assolto i tre imputati, operatori dei servizi sociali.

“Tutto nasce- ha ricordato l’avvocato Federico Sinicato- dal Tribunale per i minorenni che decide di voler garantire il rapporto del minore con entrambi i genitori e dispone colloqui con un ‘padre particolare’ (all’uomo era stato infatti diagnosticato un disturbo bipolare di personalità, era diventato violento e ossessivo e la signora Penati lo aveva denunciato e chiesto protezione per sè e per il bambino). Nel momento in cui questo bimbo biene prelevato da scuola o da casa”- la responsabilità di Federico Barakat era stata tolta alla mamma, accusata di essere ostativa e alienante, e affidata ai servizi sociali- “e obbligato a vedere il padre, nelle ore in cui è nelle mani delle autorità chi risponde della protezione e sicurezza della sua vita? È qui- ha ribadito Sinicato- che si apre uno iato e che lo Stato aveva il dovere di proteggere il minore”.

Il legale ha evidenziato le parti salienti della sentenza, secondo cui le autorità italiane hanno eseguito indagini seguendo misure ragionevoli e il processo penale con tempi congrui. “L’assoluzione degli imputati- ha continuato il legale commentando la sentenza CEDU- non vuol dire, secondo la Corte europea, che il processo penale non sia stato fatto bene. Quegli stessi servizi sociali, sempre secondo questa sentenza, non avrebbero avuto l’incarico di proteggere il bambino, a meno che il Tribunale per i minorenni non lo avesse indicato esplicitamente. Questo è il vuoto normativo per cui non ha avuto giustizia e stiamo decidendo l’appello alla Grande Camera”.


Un rischio che minerebbe la tutela di tutti i bambini che sono affidati all’autorità dei servizi sociali, secondo mamma Penati che con l’associazione ‘Federiconelcuore’ segue tanti casi analoghi a quelli del suo bambino.

Mi hanno tolto l’affido esclusivo di mio figlio, Federico è stato prelevato da scuola, massacrato e lo Stato non ha fatto nulla per impedirlo. Nella struttura dove è stato ucciso e in altre non c’è alcun controllo. A cosa è servita la sua morte?” ha chiesto la mamma coraggio Penati.

Ed è proprio il punto della tutela della vita del piccolo e delle misure di prevenzione quello a cui la sentenza CEDU non ha risposto. “Voglio capire- ha aggiunto infatti il legale- se lo Stato italiano abbia protetto questo bambino e abbia cercato di prevenire l’omicidio. Questa era ed è la domanda che facevamo alla Corte e su cui questa sentenza non dice nulla”.

“La Grande Camera potrebbe ribaltare in parte o tutto questa sentenza”, ha dichiaro Bruno Nascimbene, ricordando che questa sentenza “va in controtendenza rispetto agli ideali di protezione umanitaria e alla Convenzione di Istanbul. La sentenza Penati non deve essere un precedente“.

Lo stesso monito che viene dall’Unione Donne Italiane: “Questo potrebbe essere un passo indietro, non ci sono parole per commentare questa sentenza. Il terrore è che sia un precedente. Questa donna aveva denunciato e suo figlio era nelle mani di uno Stato. L’auspicio è che sia riformata”.

Antonella Penati, “donna, mamma e cittadina distrutta alla quale è stato tolto tutto” come lei stessa ha detto, ha ricordato che persino durante una gita scolastica se a un bambino succede qualcosa gli insegnanti ne rispondono. “In quel momento mio figlio era affidato allo Stato e io avevo denunciato quell’uomo, avevo chiesto protezione per me e per mio figlio”. Ma Federico è morto a 8 anni, per mano di suo padre, con 37 coltellate dopo 56 minuti di agonia in un incontro che viene definito ‘protetto’.

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