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Donne e salute, la cardiologa: “Non solo nei libri il cuore può essere infranto”

SPECIALE 'DONNE E SALUTE' | A sfatare il mito delle malattie cardiovascolari 'appannaggio' degli uomini è Daniela Trabatton

Pubblicato:21-04-2022 13:00
Ultimo aggiornamento:21-04-2022 14:58

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ROMA – “È diffusa la convinzione che le malattie cardiovascolari siano patologie che colpiscono solo gli uomini, in realtà nelle donne le malattie cardiache sono la prima causa di morte in generale, superando di gran lunga l’incidenza di patologia polmonare (seconda causa di morte) e di tumore alla mammella (terza causa). Questa convinzione nella popolazione fa sì che le malattie cardiovascolari nel sesso femminile siano poco considerate”. A sfatare il mito delle malattie cardiovascolari ‘appannaggio’ degli uomini è Daniela Trabattoni, cardiologa, direttrice dell’Unità Cardiologia interventistica 3 e del Women Heart Center presso il Centro Cardiologico Monzino di Milano. In occasione della Giornata nazionale della Salute della donna, che ricorre il 22 aprile, la specialista approfondisce con la Dire i molteplici aspetti che differenziano le patologie cardiovascolari femminili da quelle maschili. Il cuore delle donne è inoltre protagonista di una sindrome che rievoca suggestioni letterarie ma esiste davvero: la sindrome del cuore infranto.

LA SINDROME DEL CUORE INFRANTO

Nota anche come cardiomiopatia da stress o sindrome di Takotsubo, dal nome del vaso utilizzato per la pesca del polpo in Giappone, prima nazione nella quale questa sindrome è stata descritta. “Il nome del vaso- illustra Trabattoni- è dovuto al fatto che quando si instaura questa sindrome il ventricolo sinistro del cuore ne assume la forma. È una sindrome sovrapponibile, in termini di esordio clinico, quindi di manifestazioni e sintomi, a un infarto vero e proprio ma colpisce soggetti che non hanno una patologia coronarica ostruttiva e che, anzi, hanno coronarie indenni da malattia aterosclerotica. È provocata da un rilascio intenso di catecolamine (l’adrenalina e la noradrenalina) dovuto a un forte stress emotivo (un dispiacere, un lutto, una paura molto forte, un’arrabbiatura), talvolta anche a situazione di intenso sforzo fisico (abbiamo visto questa sindrome in soggetti che erano stati esposti a freddo intenso). La paziente si presenta con dolore al torace, alterazioni dell’elettrocardiogramma, movimento enzimatico, ma la coronarografia mostra un quadro angiografico delle coronarie assolutamente normale. Il danno muscolare e le alterazioni elettrocardiografiche regrediscono completamente in 3/6 settimane, ma la comparsa della sindrome è la spia di un problema nella gestione di momenti di stress intenso da parte di queste pazienti. Un nostro studio ha evidenziato come esse non siano soggette solo a una iperstimolazione e iperproduzione di catecolamine, ma anche a una iperattivazione di piastrine per cui possono beneficiare non solo di terapia farmacologica per l’evento acuto e, insieme ad essa, di una terapia antiaggregante. Quest’ultima resta però un argomento dibattuto sul quale non sono state ancora definite delle linee guida”.

I SINTOMI DI ESORDIO DELLE SINDROMI CORONARICHE ACUTE NELLE DONNE

“Spesso- spiega la cardiologa- i sintomi di esordio delle sindromi coronariche acute possono risultare confondenti perché talora diversi da quelli solitamente riscontrati nel sesso maschile e con manifestazioni che possono discostarsi tanto da far ‘deragliare’ anche il medico e la stessa donna verso disturbi di ansia e depressione o verso patologie non specificamente correlate a una problematica cardiaca”. Quali sono, dunque, i campanelli d’allarme che non bisogna proprio sottovalutare? ‘Comparsa di sintomi prima non noti- elenca Trabattoni- astenia marcata, difficoltà a svolgere le attività quotidiane, sensazione di fame d’aria, costrizione alla mandibola, dolore interscapolare, devono far pensare a una problematica cardiaca che deve essere indagata”.


La difficoltà a riconoscere i sintomi come correlati a un problema cardiovascolare, i maggiori carichi di lavoro e l’impegno nella cura della famiglia, dei figli e dei genitori anziani, portano spesso le donne a sottovalutare le manifestazioni e a ritardare il consulto col medico. “In genere, la presentazione delle donne presso il medico curante è più tardiva rispetto agli uomini che, invece, al primo sintomo si fanno visitare immediatamente. Questo provoca una diagnosi più tardiva per le donne, spesso a malattia conclamata con possibilità di interventi sempre efficaci ma con esiti meno favorevoli, soprattutto per le sindromi coronariche acute, rispetto a interventi tempestivi e più precoci”.

ETÀ DI ESORDIO E FATTORI DI RISCHIO

L’età media di comparsa delle patologie cardiovascolari nelle donne “è quella peri e post menopausale– spiega la direttrice del Women Heart Center- Infatti, mentre durante l’età fertile i livelli di estrogeni sono sufficientemente protettivi, nel periodo peri-menopausale il decadere dei livelli ormonali si rende più evidente, innesca il processo infiammatorio a carico dei vasi e quindi l’evidenza delle patologie cardiovascolari e l’ipertensione arteriosa”. “Esistono però degli elementi clinici, nel corso della vita fertile della donna, che vanno osservati con attenzione- tiene a sottolineare la specialista- ad esempio, una donna che abbia avuto parti prematuri, una storia di poliabortività, diabete o ipertensione in gravidanza o con ovaio micro-policistico, è un soggetto va monitorato dal punto di vista cardiovascolare prima che arrivi alla menopausa, perché più a rischio di sviluppare patologie cardiovascolari, diabete e ipertensione. I nostri dati, raccolti in 5 anni (dal 2017 a oggi) su oltre 500 donne che si sono sottoposte al nostro programma di screening, hanno documentato in quasi il 20% dei soggetti asintomatici fattori di rischio che meritavano una correzione e in un 5-6% l’evidenza di patologia cardiaca già presente e documentabile, che quindi ha necessitato di ulteriori approfondimenti diagnostici in assenza di chiara sintomatologia”.

IL WOMEN HEARTH CENTER DEL CENTRO CARDIOLOGICO MONZINO

“Il nostro centro- spiega la direttrice- è nato nel 2017 con l’idea di eseguire un percorso di valutazione di I livello, tenendo in considerazione non solo i fattori di rischio cardiovascolari, ma anche gli aspetti endocrinologici, ginecologici, metabolici, eventuali patologie neoplastiche pregresse e trattamenti specifici chemio e radioterapici. È abbastanza recente, infatti, la considerazione di nuovi fattori di rischio cardiovascolari nella donna che abbracciano aspetti clinici che esulano dall’ambito prettamente cardiologico e vascolare. Da qui la necessità di un approccio multidisciplinare che comprenda anche il supporto psicologico perché- sottolinea Trabattoni- quello che sta emergendo è che molto spesso stati di stress intenso, ansia e depressione del tono dell’umore possono essere primo trigger di manifestazioni cardiache acute in assenza di patologia coronarica evidente. Sono le ‘sindromi del cuore infranto’, patologie prettamente femminili che hanno comunque un impatto sulla qualità di vita della donna e che, anche se hanno un’etichetta di patologie benigne e reversibili, sono replicabili, possono quindi recidivare. Per questo- chiarisce la cardiologa- è importante conoscere il profilo psicologico della donna per capire se sia in grado di affrontare lo stress in modo autonomo o se necessiti di un supporto per gestire le situazioni più difficili, nel corso della giornata e della vita”.

TERAPIE FARMACOLOGICHE E MEDICINA DI GENERE

Uno dei tanti aspetti della medicina di genere riguarda la sperimentazione clinica dei farmaci sulla popolazione femminile, che ha caratteristiche biologiche e necessità diverse rispetto a quella maschile. “È noto che molto spesso le indicazioni in linee guida per il trattamento farmacologico per le patologie cardiache sia standardizzato per entrambi i sessi senza discriminazioni– ricorda Trabattoni- Ma ci sono documenti e studi che hanno evidenziato come l’aderenza al trattamento farmacologico risulti più bassa a causa della scarsa tolleranza a trattamenti farmacologici che non sono ritagliati sulle caratteristiche cliniche del soggetto, in questo caso le donne. Ad esempio, la statina, un farmaco per il colesterolo che viene prescritto in post dimissioni dopo una sindrome coronarica acuta, da linea guida deve essere prescritto ad alto dosaggio, ma molto spesso nella donna la minore superficie corporea e la minore massa muscolare provocano la comparsa di effetti collaterali a causa dei quali c’è una minore aderenza alla terapia e il farmaco viene sospeso, con zero efficacia nel trattamento di una patologia. Lo stesso per l’ipertensione per cui spesso le donne non raggiungono i target di valori pressori prescritti. Ad oggi- prosegue la cardiologa- la percentuale di donne arruolate negli studi di valutazione di II livello dei farmaci è intorno al 35%, una percentuale bassa dovuta al fatto che in questi studi non vengono arruolate le donne in età fertile e quelle nel post gravidanza. Quindi, si traducono come ugualmente efficaci per le donne i risultati ottenuti nelle sperimentazioni sugli uomini. Lo scorso maggio- ricorda- è stato elaborato un documento da The Lancet Commission con l’obiettivo, a livello internazionale, di aumentare l’attenzione per la medicina di genere che non è la medicina delle patologie delle donne, ma un’attenzione dell’influenza delle caratteristiche biologiche (definite dal sesso), socio-economiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona (definizione dell’Organizzazione mondiale della sanità). Questo- conclude Trabattoni- per avvicinarci quanto più possibile a una medicina personalizzata e quindi più efficace”.

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