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VIDEO | Paolo Di Paolo: “Va ripensata la promozione dei libri, non hanno la data di scadenza”

Lo scrittore alla Dire: "Negli ultimi vent'anni non abbiamo inventato niente. Bene la riapertura delle librerie, ma il libro non è la medicina per l'anima"

Pubblicato:21-04-2020 11:10
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:10

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ROMA – Ripensare la promozione dei libri nuovi. Riflettere su quanto poco tempo il mondo editoriale ha destinato alle novità fino ad oggi, cercando soluzioni che possano farli durare di più. E’ la proposta avanzata in questi giorni dallo scrittore, Paolo Di Paolo, autore di romanzi, racconti, saggi, da sempre attento a indagare gli aspetti della società in cui viviamo. “Negli ultimi vent’anni non siamo stati capaci di inventare nulla di nuovo, ma i libri non hanno una data di scadenza” spiega durante un colloquio Skype con l’agenzia Dire.

Prima di iniziare, però, Di Paolo fa una premessa: “Io non credo che quando sarà passata l’emergenza, saremo migliori. Anzi temo che saremo anche peggiori. Mi irrita molto la riflessione a gamba tesa di chi immagina che nulla debba essere cambiato, che dobbiamo fare una corsa a riprenderci tutto com’era prima, perché mi sembra che invece ci sia qualcosa che si può correggere senza diventare utopisti o ridicoli”.


Come la durata delle novità in libreria?

“I libri usciti poco prima di questa sospensione sono libri che rischiano di non aver avuto una vita. Da qui partirei per ragionare su cos’è la vita di un libro. Finora, dopo un periodo di promozione, superata la soglia di massima visibilità, abbiamo considerato vecchio un libro a due mesi dalla sua uscita. Anche perché la quantità di novità immesse sul mercato è enorme. Non credo che i 60 mila titoli l’anno siano troppi, perché allora dovremmo chiederci ‘troppi rispetto a che?’. Siamo in linea con altri Paesi. Però questo è il momento di farsi venire nuove idee. Io ammetto di non averle, ma mi interrogo e spero lo facciano tanti altri come me. Ribadisco: negli ultimi vent’anni non abbiamo inventato niente. Facciamo gli stessi festival, gli stessi incontri, la stessa tipologia di Saloni. Senza contare che anche i librai sono in affanno. Tutto questo significa che c’è un problema”.

Qualche mese fa dicevi che ti sarebbe piaciuto misurare la necessità di un romanzo. Rispetto ai migliaia di titoli in uscita, sostenevi che oggi chi scrive un romanzo deve chiedersi in modo martellante perché lo sta facendo, come se ogni volta dovesse giustificare a se stesso e al lettore l’apparente naturalezza che è pubblicare un romanzo. Dopo questa pandemia, è una domanda ancora più martellante?

“Assolutamente sì. E’ una domanda che diventa ancora più radicale. Mi ha colpito quanto ha detto Sergio Castellitto in un’intervista rispetto al futuro del cinema. Più che aspettarsi i ‘covid-movies’, ha sottolineato che sarà importante scoprire qualcuno capace di leggere le emozioni nuove che tutti noi stiamo provando in questi giorni, tirando fuori qualcosa di diverso. E’ ozioso chiedersi come sarà la letteratura che scriveremo dopo quanto ci è successo. Probabilmente uscirà una valanga di paccottiglia sul virus, ma anche il libro geniale, che sono certo non verrà dall’Italia ma magari da un ventenne di Wuhan che ci farà vedere tutto questo con un linguaggio diverso, con un’immaginazione nuova. Ma quella domanda sarà ancora più radicale, ci sarà voglia di cose più decisive, più necessarie e più incisive”.

Hanno riaperto le librerie in molte regioni d’Italia. Nei giorni scorsi i librai si sono divisi tra chi era d’accordo a riaprire, e chi avrebbe aspettato il 4 maggio. 

“Ho sentito diversi librai e c’e’ una generale soddisfazione per la riapertura. Molte persone sono andate anche solo per attestare fiducia e solidarietà e questo mi e’ sembrato bellissimo. Pero’ ci tengo a dire che una delle retoriche che mi sono sembrate assolutamente inaccettabili era che il libro fosse un bene di prima necessita’. Lo so che mi tiro dietro anche delle possibili polemiche lavorando nel mondo dell’editoria. Ma uno deve essere lucido: un libro non e’ un bene di prima necessita’. Non e’ un cibo. Non e’ un medicinale. Quando sento paragonare il libro alla medicina per l’anima, cambierei mestiere, perché e’ ridicolo, patetico e retorico. La persona che aveva bisogno di libri in questi giorni non discuto che ci fosse, ma di solito e’ una persona mediamente attrezzata, sia economicamente che culturalmente, che i libri li ha dentro casa. Quando se ne parla come fosse un bene di prima necessita’, supponi che tutta la collettività ne abbia bisogno, ma probabilmente chi sente il bisogno dei libri e’ chi ne dispone. Quindi io dubito che nelle persone che oggi sono andate giustamente in libreria, anche con grande slancio, non avessero un libro da rileggere dentro casa o non avessero altri modi per procurarselo, per esempio con la consegna a domicilio. Quindi questa e’ una retorica stupida, bolsa, e prodotta da chi non ha veramente a cuore le cose. I librai hanno avuto posizioni molto diverse, ma tutte legittime. Adesso se questa riapertura, sapendo la fatica che tutti stanno facendo, produrrà un movimento di lento ritorno alla normalità, nessuno può mettersi contro questa cosa e credo sia validissimo provarci. Come ha scritto un libraio su Facebook: ‘O ti arrendi o devi fare qualcosa’. Non sara’ facile riprendersi perché tutto il mondo del libro ha avuto un contraccolpo pesantissimo da questi due mesi di fermo. Soffriranno moltissimo le piccole librerie e le piccole case editrici. Credo che possiamo tornare in libreria ma anche acquistare libri direttamente a casa, non necessariamente investendo sulla grande distribuzione ma sulla piccola, perché i librai si stanno facendo in quattro per andare incontro alle esigenze di tutti”.

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